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GRAZIE !
LA FRAGILITA' UMANA DIMOSTRA LA
FORZA E L'ESISTENZA DI DIO: le stesse variazioni climatiche
imprevedibili dimostrano l'esistenza di DIO.
Che lo Spirito Santo porti buon senso e
serenita' a tutti gli uomini di buona volonta' !
CRISTO RESUSCITA PER TUTTI GLI UOMINI DI VOLONTA' NON PER QUELLI
DELLO SPRECO PER NUOVI STADI O SPONSORIZZAZIONI DI 35 MILIONI DI
EURO PAGATI DALLE PAUSE NEGATE AGLI OPERAI ! La storia del ricco
epulone non ha insegnato nulla perché chi e morto non può
tornare per avvisare i parenti ! Mb 05.04.12; 29.03.13;
Archivio personale online di Marco BAVA
OPINIONI ai sensi art.21 Costituzione
per un nuovo modello di sviluppo
UDIENZE PUBBLICHE
IN CORSO
1)
PROCESSO IPI-COPPOLA: IL 23.06.11 TRIBUNALE
TORINO 1^SEZ.PENALE HA SANCITO LA SUA INCOMPETENZA TERRITORIALE
SPOSTANDO LA COMPETENZA SU MILANO IN CUI SI CELEBRERA' IL PROCESSO
QUANDO SARA' RESO NOTO.
Sopravvaluta sempre il tuo avversario , per poterlo vincere.Mb
15.05.13
Torino 08.04.13
Il mio paese l'Italia non crede nella mia teoria
economica del valore che definisce
1) ogni prodotto come composto da energia e lavoro:
Il costo dell'energia può tendere a 0 attraverso il
fotovoltaico sui tetti. Per dare avvio la volano economico del
fotovoltaico basta detassare per almeno 20 anni l'investimento, la
produzione ed il consumo di energia fotovoltaica sui tetti.
2) liberalizzazione dei taxi
collettivi al costo di 1 euro per corsa in modo tale da dare un lavoro a
tutti quelli che hanno un 'auto da mantenere e non lo possono piu fare
per mancanza di un lavoro; ed inoltre dare un servizio a tutti i
cittadini.
3) tre sono gli obiettivi principali
della politica : istruzione, sanita', cultura.
4) per la sanità occorre un centro
acquisti nazionale ed abolizione giorni pre-ricovero.
LA VITA E' : PREGHIERA, LAVORO E
RISPARMIO.(02.02.10)
Se non hai via di uscita,
fermati..e dormici su.
E' PIU' DIFFICILE
SAPER PERDERE CHE VINCERE ....
Ciascun uomo vale in funzione
delle proprie idee... e degli stimoli che trova dentro di se...
Vorrei ricordare gli uomini
piu' per quello che hanno fatto che per quello che avrebbero potuto
fare !
LA VERA UMILTA' NON SI DICHIARA
MA SI DIMOSTRA, AD ESEMPIO CONTINUANDO A STUDIARE....ANCHE SE
PURTROPPO L'UNIVERSITÀ' E' FINE A SE STESSA.
PIU' I MEZZI SONO POVERI X
RAGGIUNGERE L'OBIETTIVO, PIU' E' CAPACE CHI LO RAGGIUNGE.
L'UNICO LIMITE AL PEGGIO E' LA
MORTE.
MEGLIO NON ILLUDERE CHE
DELUDERE.
L'ITALIA , PER COLPA DI
BERLUSCONI STA DIVENTANDO IL PAESE DEI BALOCCHI.
IL PIL CRESCE SE SI RIFA' 3
VOLTE LO STESSO TAPPETINO D'ASFALTO, MA DI FATTO SIAMO TUTTI PIU'
POVERI ALMENO 2 VOLTE.
LA COSTITUZIONE DEI DIRITTI
DELL'UOMO E QUELLA ITALIANA GARANTISCONO GIA' LA LIBERTA',
QUANDO TI DICONO L'OVVIETÀ' CHE SEI LIBERO DI SCEGLIERE
E' PERCHE' TI VOGLIONO IMPORRE LE LORO IDEE. (RIFLESSIONE DEL
10.05.09 ALLA LETTERA DEL CARDINALE POLETTO FATTA LEGGERE NELLE
CHIESE)
la vita eterna non puo' che
esistere in quanto quella terrena non e' che un continuo superamento
di prove finalizzate alla morte per la vita eterna.
SOLO ALLA FINE SI SA DOVE PORTA
VERAMENTE UNA STRADA.
QUANDO NON SI HANNO ARGOMENTI
CONCRETI SI PASSA AI LUOGHI COMUNI.
L'UOMO LA NOTTE CERCA DIO PER
AVERE LA SERENITA' NOTTURNA (22.11.09)
IL PRESENTE E' FIGLIO DEL
PASSATO E GENERA IL FUTURO.(24.12.09)
L'ESERCIZIO DEL POTERE E' PER
DEFINIZIONE ANDARE CONTRO NATURA (07.01.10)
L’AUTO ELETTRICA FA SOLO PERDERE TEMPO E DENARO PER
ARRIVARE ALL’AUTO AD IDROGENO (12.02.10)
BERLUSCONI FA LE PENTOLE MA NON I COPERCHI (17.03.10)
GESU' COME FU' TRADITO DA GIUDA , OGGI LO E' DAI
TUTTI I PEDOFILI (12.04.10)
IL DISASTRO
DELLA PIATTAFORMA PETROLIFERA USA COSA AVREBBE PROVOCATO SE FOSSE
STATA UNA CENTRALE ATOMICA ? (10.05.10)
Quante
testate nucleari da smantellare dovranno essere saranno utilizzate
per l'uranio delle future centrali nucleari italiane ?
I POTERI FORTI DELLE LAUREE HONORIS CAUSA SONO FORTI
PER CHI LI RICONOSCE COME TALI. SE NON LI SI RICONOSCE COME FORTI
SAREBBERO INESISTENTI.(15.05.10)
L'ostensione della Sacra Sindone non puo' essere ne'
temporanea in quanto la presenza di Gesu' non lo e' , ne' riservata
per i ricchi in quanto "e' piu' facile che in cammello passi per la
cruna di un ago ..."
sapere x capire (15.10.11)
la patrimoniale e' una 3^
tassazione (redditi, iva, patrimoniale) (16.10.11)
SE LE FORZE DELL'ORDINE
INTERVENISSERO DI PIU'PER CAUSE APPARENTEMENTE BANALI CI SAREBBE
MENO CONTENZIOSO: CHIAMATO IL 117 PER UN PROBLEMA BANALE MI HA
RISPOSTO : GLI FACCIA CAUSA ! (02.04.17)
GRAN PARTE DEI PROFESSORI
UNIVERSITARI SONO TRA LE MENTI PIU' FRAGILI ED ARROGANTI , NON
ACCETTANO IL CONFRONTO E SI SENTONO SPIAZZATI DIVENTANO ISTERICI (
DOPO INCONTRO CON MARIO DEAGLIO E PIETRO TERNA) (28.02.17)
Spesso chi compera auto FIAT lo
fa solo per gratificarsi con un'auto nuova, e basta (04.11.16)
The
InQuisitr -
La pagina Facebook "Jesus Daily" è popolarissima e più seguita perfino
di quella di Justin Bieber. Con 4 o 5 posts al giorno, le "parole di
Gesù" servono a incoraggiare la gente, racconta il Dr. Aaron Tabor,
responsabile della pagina. Altre due pagine Facebook cristiane fanno
parte della top 20 delle pagine più visitate del social network.
06.09.11
Annuncio
Importante che ha causato la nostra temporanea interruzione !
Cari Utenti
Questo e' il messaggio che non avrei mai voluto scrivere... ma purtroppo
devo mettervi al corrente dei fatti: HelloSpace chiudera'.
E purtroppo non e' un pesce d'aprile fuori periodo, ma la dura verita'.
E' stato bello vederlo crescere e con esso veder crescere i vostri siti,
vedere le vostre idee prendere vita, vedere i nostri impegni
concretizzati in questo fantastico progetto. Ma come ben sapete,
qualsiasi cosa ha un inizio ed una fine. E quella di HelloSpace sta
arrivando, nonostante nessuno lo avesse immaginato (me compreso), o
almeno non ora.
Non scendo nei dettagli delle motivazioni che mi hanno condotto a questa
decisione, ma vi assicuro che prima di prenderla ho valutato tutte le
possibili alternative...
Il nostro progetto, come ben sapete, e' nato gratuito per voi utenti
finali, tuttavia ci comportava delle spese che sono via via cresciute.
Tutto questo grazie al circuito di banner adsense, che ci permetteva di
pagarci le risorse necessarie per far si che HelloSpace 'vivesse'.
Cio' che e' successo e' adsense ha bannato, senza voler sentir ragione
alcuna, nonostante svariate richieste di rivalutazione e di spiegazioni,
l'intero dominio. Distruggendo cosi' il futuro di quel progetto per il
quale abbiamo passato ore e ore, notti e notti, a programmare,
configurare, testare, reingegnerizzare...
Non mi resta molto da aggiungere, se non invitarvi a fare una copia di
tutti i vostri contenuti (file e db)
ENTRO IL 6 DICEMBRE.
Desidero ringraziare infine tutte le persone che, in un modo o
nell'altro, hanno contribuito a farci crescere.
Grazie,
Giuseppe - Tommaso
HelloSpace.net
io non so quanto tutto cio sia vero di fatto mi sta
creando un disagio che ho risolto con l'apertura in contemporanea di un
nuovo sito parallelo a questo :
LA PIÙ GRANDE
STATUA DI CRISTO AL MONDO BATTE QUELLA DI RIO DE JANEIRO
http://bbc.in/byS6sZ
IL BAVAGLIO della Fiat nei miei
confronti:
IN DATA ODIERNA HO
RICEVUTO: Nell'interesse di Fiat spa e delle Societa' del
gruppo, vengo informato che l'avv.Anfora sta monitorando con
attenzione questo sito. Secondo lo stesso sono contenuti in esso
cotenuti offensivi e diffamatori verso Fiat ed i suoi
amministratori. Fatte salve iniziative
autonome anche
davanti all'Autorita' giudiziaria, vengo diffidato dal
proseguire in tale attivita' illegale"
Ho aderito alla richiesta dell'avv.Anfora,
veicolata dal mio hosting, ricordando ad entrambi le mie
tutele costituzionali ex art.21 della Costituzione, per
tutelare le quali mi riservo iniziative
esclusive
dinnanzi alla Autorita' giudiziaria COMPETENTE.
per non fare diventare l'ITALIA un'hotspot europeo
dell'immigrazione in quanto bisogna resistere come italiani nel nostro
paese dando agli immigrati un messaggio forte e chiaro : ogni paese puo'
svilupparsi basta impegnarsi per farlo con le risorse disponibili e
l'intelligenza , che significa adattamento nel superare le difficolta'.
Inventarsi un lavoro invece che fare l'elemosina.
Quanti miracoli ha fatto Maometto rispetto a Gesu' ?
1) esame
d'italiano e storia italiana per gli immigrati
2) lavori
socialmente utili
3) pulizia
e cucina autonoma
3 gennaio 1917, Suor Lucia nel Terzo segreto di Fatima:
Il sangue dei martiri cristiani non smetterà mai di sgorgare per
irrigare la terra e far germogliare il seme del Vangelo. Scrive
suor Lucia: “Dopo le due parti che già ho esposto, abbiamo visto al lato
sinistro di Nostra Signora un poco più in alto un Angelo con una spada
di fuoco nella mano sinistra; scintillando emetteva grandi fiamme che
sembrava dovessero incendiare il mondo intero; ma si spegnevano al
contatto dello splendore che Nostra Signora emanava dalla sua mano
destra verso di lui: l’Angelo indicando la terra con la mano destra, con
voce forte disse: Penitenza, Penitenza, Penitenza! E vedemmo in una luce
immensa che è Dio: “Qualcosa di simile a come si vedono le persone in
uno specchio quando vi passano davanti” un Vescovo vestito di Bianco
“abbiamo avuto il presentimento che fosse il Santo Padre”. Vari altri
vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose salire una montagna ripida, in
cima alla quale c’era una grande croce di tronchi grezzi come se fosse
di sughero con la corteccia; il Santo Padre, prima di arrivarvi,
attraversò una grande città mezza in rovina e mezzo tremulo con passo
vacillante, afflitto di dolore e di pena, pregava per le anime dei
cadaveri che incontrava nel suo cammino; giunto alla cima del monte,
prostrato in ginocchio ai piedi della grande croce venne ucciso da un
gruppo di soldati che gli spararono vari colpi di arma da fuoco e
frecce, e allo stesso modo morirono gli uni dopo gli altri i vescovi,
sacerdoti, religiosi e religiose e varie persone secolari, uomini e
donne di varie classi e posizioni. Sotto i due bracci della croce
c’erano due Angeli ognuno con un innaffiatoio di cristallo nella mano,
nei quali raccoglievano il sangue dei Martiri e con esso irrigavano le
anime che si avvicinavano a Dio”.interpretazione
del Terzo segreto di Fatima era già stata offerta dalla stessa Suor
Lucia in una lettera a Papa Wojtyla del 12 maggio 1982. In essa dice:
«La terza parte del segreto si riferisce alle parole di Nostra Signora:
“Se no [si ascolteranno le mie richieste la Russia] spargerà i suoi
errori per il mondo, promuovendo guerre e persecuzioni alla Chiesa. I
buoni saranno martirizzati, il Santo Padre avrà molto da soffrire, varie
nazioni saranno distrutte” (13-VII-1917). La terza parte del segreto è
una rivelazione simbolica, che si riferisce a questa parte del
Messaggio, condizionato dal fatto se accettiamo o no ciò che il
Messaggio stesso ci chiede: “Se accetteranno le mie richieste, la Russia
si convertirà e avranno pace; se no, spargerà i suoi errori per il
mondo, etc.”. Dal momento che non abbiamo tenuto conto di questo appello
del Messaggio, verifichiamo che esso si è compiuto, la Russia ha invaso
il mondo con i suoi errori. E se non constatiamo ancora la consumazione
completa del finale di questa profezia, vediamo che vi siamo incamminati
a poco a poco a larghi passi. Se non rinunciamo al cammino di peccato,
di odio, di vendetta, di ingiustizia violando i diritti della persona
umana, di immoralità e di violenza, etc. E non diciamo che è Dio che
così ci castiga; al contrario sono gli uomini che da se stessi si
preparano il castigo. Dio premurosamente ci avverte e chiama al buon
cammino, rispettando la libertà che ci ha dato; perciò gli uomini sono
responsabili».
Le
storie degli immigrati occupanti che cercano di farsi mantenere insieme
alle loro famiglie , non lavoro come gli immigrati italiani all'estero:
1)
Mi trovavo all'opedale per prenotare una visita delicata , mentre stato
parlando con l'infermiera, una donna mi disse di sbrigarmi : era di
colore.
2)
Mi trovavo in C,vittorio ang V.CARLO ALBERTO a Torino, stavo dando dei
soldi ad un bianco che suonava una fisarmonica accanto ai suoi pacchi,
arriva un nero in bici e me li chiede
3)
Ero su un bus turistico e' salito un nero ha spostato la roba che
occupava i primi posti e si e' messo lui
4)
Ero in un team di startup che doveva fare proposte a TIM usando
strumenti della stessa la minoranza mussulmana ha imposto di prima
vedere gli strumenti e poi fare le proposte: molto innovativo !
5)
FINO A QUANDO I MUSSULMANI NON ACCETTANO LA PARITA' UOMO DONNA , ANCHE
SE LO SCRIVE IL CORANO E' SBAGLIATO. E' INACCETTABILE QUESTO PRINCIPIO
CHE CI PORTA INDIETRO.
09.01.19
Tutti i nulllafacenti immigrati Boeri dice che ne
abbiamo bisogno : per cosa ? per mantenerli ?
04.02.17l
L'ISIS secondo me sta facendo delle prove di attentato con
l'obiettivo del Vaticano con un attacco simultaneo da terra con la
tecnica dei camion e dal cielo con aerei come a NY l'11.09.11.
- PER AFFRONTARE LA CRISI DEI PROFUGHI, L’ITALIA HA GIÀ SBORSATO 8,4
MILIARDI - INSIEME ALL’EMERGENZA TERREMOTO, PUO’ MANDARE ALL’ARIA I
PIANI DEL GOVERNO SUL DEBITO PUBBLICO - DALL’INIZIO DELL’ANNO SONO OLTRE
7 MILA I PROFUGHI SBARCATI IN ITALIA: DI QUESTO PASSO SI BATTERÀ OGNI
RECORD
Ieri le motovedette della Guardia costiera ne hanno sbarcati 623:
251 a Porto Empedocle e 372 a Lampedusa. Stamattina è attesa ad
Augusta la Nave Acquarius, con a bordo altri 783 migranti. Negli
ultimi due giorni ne sono stati soccorsi nel mare del Canale di
Sicilia, e accolti in Italia, circa 1.600.
Ieri la Marina libica ne ha bloccati altri 400 a poche miglia da
Sabrata, e nonostante gli accordi tra Tripoli ed il governo
italiano, criticati anche dalla Cei, e i nuovi impegni presi dai
leader europei al vertice di Malta, il flusso dei disperati dalle
coste libiche verso il nostro Paese non si arresta.
SPESA RECORD
Dall' inizio dell' anno sono oltre 7 mila i profughi sbarcati in
Italia, e di questo passo si batterà ogni record. Quello dei
migranti accolti (176 mila nel 2016), ma anche quello della spesa
pubblica necessaria per il soccorso e l' accoglienza, che secondo il
governo contribuisce in modo determinante, insieme all' emergenza
dovuta al terremoto, a mandare fuori linea il debito pubblico. Fino
al punto di spingere Bruxelles a valutare una procedura d'
infrazione alle regole sui conti pubblici. Il che sarebbe una doppia
beffa per l' Italia, che da anni lamenta lo scarso impegno degli
altri Paesi nel fronteggiare i flussi migratori.
In un rapporto appena inviato alla Commissione Europea sui "fattori
rilevanti" che influenzano l' andamento del debito pubblico, il
ministero dell' Economia sottolinea che quest' anno la spesa per l'
immigrazione rischia di arrivare al record storico di 4,2 miliardi
di euro. Nel 2016, al netto dei contributi della Ue (che sono stati
pari ad appena 120 milioni) sono stati spesi 3,3 miliardi. Per il
2017 ne sono stati stanziati 3,8 e senza tener conto dei 200 milioni
del «Fondo per l' Africa» per investire nei Paesi da cui partono i
flussi di immigrazione più importanti.
Ma quella prevista in bilancio è una cifra che «se il trend degli
ultimi mesi dovesse continuare», si legge nel Rapporto, potrebbe
crescere di altri quattrocento milioni.
La crisi costa 8 miliardi Si spenderà il triplo rispetto alla media
degli anni tra il 2011 e il 2013, prima dell' esplosione della crisi
migratoria: tra 2,9 e 3,2 miliardi in più. Se poi si considera la
maggior spesa in termini cumulati la dimensione dei costi sostenuti
dall' Italia per l' emergenza assume proporzioni gigantesche.
Secondo il ministero dell' Economia, dal 2014 al 2017 lo Stato avrà
speso tra 8 e 8,4 miliardi di euro in più rispetto al periodo
2011-2013.
Così cresce il debito L' Italia pretende che questa spesa sia
considerata «eccezionale» e dunque non conteggiata nel calcolo del
disavanzo annuale monitorato per verificare il rispetto degli
impegni di bilancio. La Commissione, però, è disposta a riconoscere
come «eccezionale» non tutta, ma solo la spesa eccedente rispetto
all' anno prima. In ogni caso, che pesi o meno sul deficit pubblico,
la spesa si scarica sul debito.
Nel 2017, sottolinea il rapporto, la spesa per l' accoglienza è
stimata in 2,3 miliardi di euro (1,9 l' anno scorso), quella per il
soccorso in mare e i trasporti sarà pari a 860 milioni di euro (nel
2016 furono 913).
L' assistenza sanitaria costerà 250 milioni, l' educazione (nel 2016
sono arrivati anche 26 mila minori non accompagnati) 310 milioni.
Riforma sostenuta da una maggioranza trasversale: «Non razzismo, ma
realismo» Case Atc agli immigrati La Regione Piemonte cambia le regole
Gli attuali criteri per le assegnazioni penalizzano gli italiani .
Screening pagato dalla Regione e affidato alle Molinette Nel Centro
di Settimo esami contro la Tbc “Controlli da marzo” Tra i profughi in
arrivo aumentano i casi di scabbia In sei mesi sono state curate un
migliaio di persone.
Il Piemonte è la quarta regione italiana per numero di richiedenti
asilo. E gli arrivi sono destinati ad aumentare. L’assessora Cerutti:
“Un sistema che da emergenza si sta trasformando in strutturale”.
Coinvolgere maggiormente i Comuni.In Piemonte ci sono 14.080 migranti e
il flusso non accenna ad arrestarsi: nel primo mese del 2017 sono già
sbarcati in Italia 9.425 richiedenti asilo, in confronto ai 6030 dello
scorso anno e ai 3.813 del 2015. Insomma, serve un piano. A illustrarlo
è l’assessora all’Immigrazione della Regione Monica Cerutti, che spiega
come la rete di accoglienza in questi anni sia radicalmente cambiata,
trasformando il sistema «da emergenziale a strutturale».
La Regione punta su formazione e compensazioni mentre aumentano i
riconoscimenti In Piemonte 14 mila migranti Solo 1200 nella rete dei
Comuni A Una minoranza inserita in progetti di accoglienza gestiti dagli
enti locali umentano i riconoscimenti delle commissioni prefettizie,
meno rigide rispetto al passato prossimo: la tendenza si è invertita, le
domande accolte sono il 60% rispetto al 40% dei rigetti. Non aumenta,
invece, la disponibilità a progetti di accoglienza e di integrazione da
parte dei Comuni. Stando ai dati aggiornati forniti dalla Regione, si
rileva che rispetto ai 14 mila migranti oggi presenti in Piemonte quelli
inseriti nel sistema Sprar - gestito direttamente dai Comuni - non
superano i 1.200. Il resto lo troviamo nelle strutture temporanee sotto
controllo dalle Prefetture. Per rendere l’idea, nella nostra regione i
Comuni sono 1.2016. La trincea dei Comuni Un bilancio che impensierisce
la Regione, alle prese con resistenze più o meno velate da parte degli
enti locali: il termometro di un malumore, o semplicemente di
indifferenza, che impone un lavoro capillare di convincimento. «Di
accompagnamento, di compensazione e prima ancora di informazione contro
la disinformazione e certe strumentalizzazioni politiche», - ha
precisato l’assessora Monica Cerutti riepilogando le azioni previste nel
piano per regionale per l’immigrazione. A stretto giro di posta è
arrivata la risposta della Lega Nord nella persona del consigliere
regionale Alessandro Benvenuto: «Non esistono paure da disinnescare ma
necessità da soddisfare sia in termini di sicurezza e controllo del
territorio, sia dal punto di vista degli investimenti. Il Piemonte ha di
per sé ben poche risorse, che andrebbero utilizzate per creare lavoro e
risolvere i problemi che attanagliano i piemontesi, prima di essere
adoperate per far fare un salto di qualità all’accoglienza». Progetti di
accoglienza Tre i progetti in campo: «Vesta» (ha come obiettivo il
miglioramento dei servizi pubblici che si relazionano con i cittadini di
Paesi terzi), “Petrarca” (si occupa di realizzare un piano regionale per
la formazione civico linguistica), “Piemonte contro le discriminazioni”
(percorsi di formazione e di inclusione volti a prevenire le
discriminazioni). Inoltre la Regione ha attivato con il Viminale un
progetto per favorire lo sviluppo delle economie locali sostenendo
politiche pubbliche rivolte ai giovani ivoriani e senegalesi. Più
riconoscimenti Come si premetteva, aumentano i riconoscimenti: 297 le
domande accolte dalla Commissione di Torino nel periodo ottobre-dicembre
2016 (status di rifugiato, protezione sussidiaria e umanitaria); 210 i
rigetti. In tutto i convocati erano mille: gli altri o attendono o non
si sono presentati. I tempi della valutazione, invece, restano lunghi:
un paio di anni, considerando anche i ricorsi. Sul fronte
dell’assistenza sanitaria e della prevenzione, si pensa di replicare nel
Centro di Castel D’Annone, in provincia di Asti, lo screening contro la
tubercolosi che dal marzo sarà attivato al Centro Fenoglio di Settimo
con il concorso di Regione, Croce Rossa e Centro di Radiologia Mobile
delle Molinette.
INTANTO :«Non sono ipotizzabili anticipazioni di risorse» per l’asilo
che Spina 3 attende dal 2009. La lunga attesa aveva fatto protestare
molti residenti e c’era chi già stava perdendo le speranze. Ma in
Circoscrizione 4, in risposta a un’interpellanza del consigliere della
Lega Carlo Morando, il Comune ha messo nero su bianco che i fondi dei
privati per permettere la costruzione dell’asilo non ci sono. Quella di
via Verolengo resta una promessa non rispettata. Con la crisi
immobiliare, la società Cinque Cerchi ha rinunciato a costruire una
parte dei palazzi e gli oneri di urbanizzazione versati, spiegò mesi fa
l’ex assessore Lorusso, erano andati per la costruzione del tunnel di
corso Mortara. Ad ottobre c’è stata una nuova riunione. L’esito è stata
la fumata nera da parte dei privati. «Sarà necessario che la
progettazione e la realizzazione dell’opera vengano curate direttamente
dalla Città di Torino», scrive il Comune nella sua risposta. Senza
specificare come e dove verranno reperiti i fondi necessari, né quando
si partirà.
20 gen 2011 -L'immigrazione"circolare"
è quella in cui i migranti, dopo un certo periodo di lavoro
all'estero, tornano nei loro Paesi d'origine. Un sistema più ...
Tutto è iniziato quando è stato chiuso il bar. I 60 stranieri che
erano a bordo del traghetto Tirrenia diretto a Napoli volevano
continuare a bere. L’obiettivo era sbronzarsi e far scoppiare il caos
sulla nave. Lo hanno fatto ugualmente, trasformando il viaggio in un
incubo anche per gli altri 200 passeggeri. In mezzo al mare, nel cuore
della notte, è successo di tutto: litigi, urla, botte, un tentativo di
assalto al bancone chiuso, molestie ai danni di alcuni viaggiatori e
persino un’incursione tra le cuccette. La situazione è tornata alla
calma soltanto all’alba, poco prima dell’ormeggio, quando i protagonisti
di questa interminabile notte brava hanno visto che sulle banchine del
porto di Napoli erano già schierate le pattuglie della polizia. Nella
nave Janas partita da Cagliari lunedì sera dalla Sardegna era stato
imbarcato un gruppo di nordafricani che nei giorni scorsi aveva ricevuto
il decreto di espulsione. Una trentina di persone, alle quali si sono
aggiunti anche altri immigrati nordafricani. E così a bordo è scoppiato
il caos. Il personale di bordo ha provato a riportare la calma ma la
situazione è subito degenerata. Per ore la nave è stata in balia dei
sessanta scatenati. All’arrivo a Napoli, il traghetto è stato bloccato
dagli agenti della Questura di Napoli che per tutta la giornata sono
rimasti a bordo per identificare gli stranieri che hanno scatenato il
caos in mezzo al mare e per ricostruire bene l’episodio. «Il viaggio del
gruppo è stato effettuato secondo le procedure previste dalla legge,
implementate dalle autorità di sicurezza di Cagliari – si limita a
spiegare la Tirrenia - La compagnia, come sempre in questi casi, ha
destinato ai passeggeri stranieri un’area della nave, a garanzia della
sicurezza dei passeggeri, non essendo il gruppo accompagnato dalle
forze di polizia. Contrariamente a quanto avvenuto in passato, il gruppo
ha creato problemi a bordo per tensioni al suo interno che poi si sono
ripercosse sui passeggeri». A bordo del traghetto gli agenti della
questura di Napoli hanno lavorato per quasi 12 ore e hanno acquisito
anche le telecamere della videosorveglianza della nave. Nel frattempo
sono scoppiate le polemiche. «I protagonisti di questo caos non sono da
scambiare con i profughi richiedenti asilo - commenta il segretario del
Sap di Cagliari, Luca Agati - La verità è che con gli sbarchi dal Nord
Africa, a cui stiamo assistendo anche in questi giorni, arrivano poco di
buono, giovani convinti di poter fare cio’ che vogliono una volta
ottenuto il foglio di espulsione, che di fatto è un lasciapassare che
garantisce loro la libertà di delinquere in Italia. Cosa deve accadere
per far comprendere che va trovata una soluzione definitiva alla
questione delle espulsioni?» In ostaggio per ore Per ore la nave è
stata in balia dei sessanta scatenati, che hanno trasformato il viaggio
in un incubo per gli altri 200 passeggeri 21.02.17
Istituto comprensivo Regio Parco La crisi spegne la musica in classe
Le famiglie non pagano la retta da 10 euro al mese: a rischio il
progetto lanciato da Abbado, mentre la Regione Piemonte finanzia un
progetto per insegnare ai bambini italiani la lingua degli immigrati non
viceversa.
Qui Foggia Gli sfollati di una palazzina crollata nel 1999 vivono in
container di appena 24 mq Qui Messina Nei rioni Fondo Fucile e Camaro
San Paolo le baracche aumentano di anno in anno Donne e bambini Nei
rioni nati dopo il sisma le case sono coperte da tetti precari, spesso
di Eternit Qui Lamezia Terme Oltre 400 calabresi di etnia rom vivono ai
margini di una discarica a cielo aperto Qui Brescia Nelle casette
di San Polino le decine di famiglie abitano prefabbricati fatiscenti Da
Brescia a Foggia, da Lamezia a Messina. Oltre 50 mila italiani vivono in
abitazioni di fortuna. Tra amianto, topi e rassegnazione Caterina ha 64
anni e tenacia da vendere. Con gli occhi liquidi guarda il tetto di
amianto sopra la sua testa: «Sono stata operata due volte di tumore, è
colpa di questo maledetto Eternit». Indossa una vestaglia a righe
bianche e blu. «Vivo qui da vent’anni. D’estate si soffoca, d’inverno si
gela, piove in casa e l’umidità bagna i vestiti nei cassetti. Il dottore
mi ha detto di andare via. Ma dove?». In fondo alla strada abita
Concetta, che tra topi e lamiere trova la forza di sorridere: «A ogni
campagna elettorale i politici ci promettono case popolari, ma una volta
eletti si dimenticano di noi. Sono certa che morirò senza aver
realizzato il mio sogno: un balcone dove stendere la biancheria».
Antonio invece no, lui non ride. Digrigna i denti rimasti: «Gli altri li
ho persi per colpa della rabbia. In due anni qui sono diventato brutto,
mi vergogno». Slum, favela, bidonville: Paese che vai, emarginazione che
trovi. Un essere umano su sei, nel mondo, vive in una baraccopoli. In
Italia sono almeno 53 mila le persone che, secondo l’Istat, abitano nei
cosiddetti «alloggi di altro tipo», diversi dalle case. Cantine,
roulotte, automobili e soprattutto baracche. Le storie di questi
cittadini invisibili (e italianissimi) sono raccontate nel documentario
«Baraccopolis» di Sergio Ramazzotti e Andrea Monzani, prodotto da
Parallelozero, in onda domenica sera alle 21,15 su Sky Atlantic Hd per
il ciclo «Il racconto del reale». Le baraccopoli sono non luoghi
popolati da un’umanità sconfitta e spesso rassegnata. Donne, uomini,
bambini, anziani. Vittime della crisi economica o di circostanze
avverse. Vivono in stamberghe all’interno di moderni ghetti al confine
con quella parte di città degna di questo nome. Di là dal muro la
civiltà. Da questo lato fango, calcinacci, muffa, immondizia, fogne a
cielo aperto. A Messina le abitazioni di fortuna risalgono ad oltre un
secolo fa, quando il terremoto del 1908 rase al suolo la città. Qui
l’emergenza è diventata quotidianità. Fondo Fucile, Giostra, Camaro San
Paolo. Eccoli i rioni del girone infernale dei diseredati. Legambiente
ha censito più di 3 mila baracche e altrettante famiglie. I topi,
invece, sono ben di più. A Lamezia Terme oltre 400 calabresi di etnia
rom vivono ai margini di una discarica. Tra loro c’è Cosimo, che
vorrebbe andare via: «Non per me, ma per mio figlio, ha subìto un
trapianto di fegato». A Foggia gli sfollati di una palazzina crollata
nel 1999 vivono nei container di 24 mq. Andrea abita invece nelle
casette di San Polino a Brescia, dove un prefabbricato fatiscente è
diventato la sua dimora forzata: «Facevo l’autotrasportatore. Dopo due
ictus ho perso patente e lavoro. I miei figli non sanno che abito qui.
Non mi è rimasto nulla, nemmeno la dignità». Sognando un balcone «Il mio
sogno? È un balcone dove stendere la biancheria», dice la signora
Caterina nIl documentario «Baraccopolis» di Sergio Ramazzotti e Andrea
Monzani, prodotto da Parallelozero, andrà in onda domani sera alle 21.15
su Sky Atlantic Hd per il ciclo «Il racconto del reale». Su Sky Atlantic
Il documentario 3 domande a Sergio Ramazzotti registra e fotografo “Così
ho immortalato la vita dentro quelle catapecchie” Chi sono gli abitanti
delle baraccopoli? «Sono cittadini italiani, spesso finiti lì per caso.
Magari dopo aver perso il lavoro o aver divorziato». Quali sono i tratti
comuni? «Chi finisce in una baracca attraversa fasi simili a quelle dei
malati di cancro. Prima lo stupore, poi la rabbia, il tentativo di
scendere a patti con la realtà, la depressione, infine la
rassegnazione». Cosa ci insegnano queste persone? «È destabilizzante
raccontare donne e uomini caduti in disgrazia con tanta rapidità. Sono
individui come noi. La verità è che può succedere a chiunque».
Baraccopolid’Italia
01.03.17
GLI ITALIANI AIUTANO più FACILMENTE GLI EXTRACOMUNITARI RISPETTO AGLI
ITALIANI.
IL
16.11.17 Gigi Moncalvo ha
scritto:
"Il 15 novembre di diciassette anni fa moriva Edoardo Agnelli,
unico figlio maschio e uno dei tre legittimi eredi (insieme a
sua madre Marella e a sua sorella Margherita) di Gianni Agnelli.
E quindi del gigantesco impero economico e, soprattutto,
dell’immenso patrimonio (specie all’estero) accumulato dal
defunto, scomparso il 24 gennaio 2003, poco più di due anni dopo
suo figlio. Anche in questa ricorrenza sarà possibile verificare
come sia stato completamente cancellato il figlio “scomodo”
dell’Avvocato, a partire da alcuni esponenti di quel poco che
resta dell’ex Royal Family. Da anni nessun necrologio, nemmeno
sui giornali della Casa, nessuna breve notizia per ricordarlo,
nemmeno una messa celebrativa. Anche quest’anno solo un mazzo di
fiori inviati dalla sorella nella tomba di famiglia del cimitero
di Villar Perosa, e una messa celebrata col rito greco-ortodosso
nella cappella di casa Agnelli-De Pahlen ad Allaman sulle rive
del lago di Ginevra.
A parte questo, nemmeno un tweet (a meno che non lo scriva dopo
aver letto questo articolo) di Lapo Elkann, nipote di Edoardo,
che in genere è un prodigo e instancabile facitore di cinguettii
telematici. Niente neppure sul sito ufficiale della Juventus, di
cui Edoardo era stato consigliere. Ma in questo caso è in buona
compagnia, poiché da lungo tempo il club bianconero ha
dimenticato perfino di ricordare il famoso e vero “Avvocato
dell’Avvocato” – altro che Franzo Grande che si è
auto-attribuito questo appellativo… - , cioè Vittorio Chiusano
(scomparso nel periodo tra la morte di Gianni, prima, e poi di
Umberto Agnelli), per anni consigliere, poi vicepresidente e,
dal 1990 al 2004, presidente della società calcistica (con lui
vivo “Calciopoli” sarebbe andata ben diversamente…)
UN MOVENTE MAFIOSO - Questo anniversario della morte di Edoardo
Agnelli coincide con una notizia clamorosa che, in qualche modo,
rende ancora più fitto ma finalmente tenta di svelare il mistero
che circonda quell’avvenimento, aprendo nuovi scenari finora
sconosciuti: la comparsa in scena di un movente e di una
esecuzione mafiosa. Finora sulla morte di Edoardo gli
interrogativi erano questi. Fu un suicidio, come si è voluto
ostinatamente far credere arrivando perfino a occultare molte
verità e molti dati di fatto? Un suicidio eventualmente
procurato, e da chi? Oppure, tesi fino al momento meno
probabile, si trattò addirittura di un omicidio? La lacunosa e
quasi inesistente inchiesta venne condotta superficialmente sia
dalla Procura della Repubblica di Mondovì (il corpo di Edoardo
venne trovato nei pressi di Fossano, ai piedi di un viadotto
dell’autostrada Torino-Savona), sia dalla Digos di Torino (che
“dimenticò” perfino di sequestrare le videoregistrazioni delle
telecamere del perimetro di Villa Sole, la casa di Edoardo nella
collina torinese, e interrogò in modo blando gli uomini della
scorta accontentandosi di una versione scritta, prefabbricata e
identica, predisposta dal Gruppo Orione, cioè la security della
Fiat). Tutto ciò ha messo una pietra tombale sulla ipotesi di
reato su cui l’allora Procuratore di Mondovì, Riccardo Bausone
(da tempo in pensione) aprì un fascicolo: “istigazione al
suicidio”. Un titolo cui non corrispose alcun atto concreto.
Infatti, in questa direzione sarebbe stato ovvio interrogare per
primi i genitori di Edoardo, la sorella Margherita, il cognato
Serge de Pahlen (con cui quel giorno fatale ci doveva essere un
incontro a Torino), lo zio Umberto Agnelli e l’altro zio
(l’editore Carlo Caracciolo, con cui ci fu un’ultima telefonata
prima della morte), e anche i due stretti collaboratori di
Gianni Agnelli, cioè Gianluigi Gabetti e Franzo Grande Stevens,
che avevano avuto e avevano contatti con lo scomparso, specie il
primo in ambito IFI. Invece niente. Non solo, ma a contribuire
alla tesi del suicidio erano stati in questi anni certi
atteggiamenti della famiglia o comunque degli ambienti Fiat che,
specie nelle versioni accreditate dall’ufficio-stampa,
enfatizzavano la versione “ufficiale”, manipolavano notizie di
agenzia, “suggerivano” interviste con parenti ed esperti di
parte, e stroncavano (non è dato sapere su ordine di chi…) ogni
tentativo serio di arrivare alla verità e di mettere in dubbio
ciò che si è voluto far credere per diciassette anni instillando
nell’opinione pubblica solo la parola “suicidio”.
CINQUANTA LACUNE NELL’INDAGINE - Nel mio introvabile libro
“Agnelli Segreti” (lo potete acquistare su www.gigimoncalvo.it),
dopo aver esaminato con attenzione il fascicolo giudiziario che
era secretato, avevo ricostruito una cinquantina di punti oscuri
che erano in forte contrasto con la tesi del suicidio. Per cui,
conclusi, che era ed è meglio definire il tutto con l’unica cosa
certa: la morte di Edoardo. Dopo aver letto quella parte del mio
libro, e alcuni documenti successivi, Margherita Agnelli aveva
inviato un dossier (insieme al fascicolo giudiziario) ai suoi
legali per esaminare se fosse possibile chiedere la riapertura
del caso, un po’ come è avvenuto a Siena in tempi recenti e per
un lasso di tempo più vicino alla morte, da parte della vedova
di Davide Rossi, il capo della comunicazione del Monte dei
Paschi, anch’egli scomparso a seguito di un misterioso
“suicidio”. Dopo l’archiviazione da parte della Procura di
Siena, ora, dopo una inchiesta condotta dalle “Iene”, la Procura
di Genova (competente per le indagini sui magistrati senesi) non
ha riaperto le indagini, ma solo un fascicolo, senza però alcuna
ipotesi di reato. Ma, nel caso di Edoardo, l’apporto che avrebbe
potuto dare un’inchiesta tv non c’è mai stato (a parte un
encomiabile tentativo qualche anno fa nel programma “Complotti”
di Giuseppe Cruciani). Ed è andato semmai in senso contrario,
come dimostra uno scambio di e-mail con la Procura di Mondovì,
allorché “La Storia siamo noi” di Giovanni Minoli, allo scopo di
visionare i documenti secretati e di filmarne alcune parti,
scrisse al magistrato: “Dal fascicolo (dov’è vero che emergono
alcune lacune nell’indagine svolta) il nostro medico legale
neutrale sosterrà l’ipotesi della caduta in piedi (dal tipo di
fratture riportate e dall’altezza rilevata dopo la caduta che
risultava 20 cm in meno) confermando in sostanza l’ipotesi del
suicidio”. Era incredibile: prima ancora di esaminare il
fascicolo e farlo leggere ai loro “esperti”, i responsabili del
programma avevano già una tesi sostenuta dal «nostro medico
legale», ovviamente “neutrale”: dirà che non ci sono dubbi,
Edoardo si è suicidato. E aggiungerà perfino che uno dei punti
più “strani” dell’esame così poco approfondito del cadavere
(scrissero una misura di 20cm inferiore all’altezza reale di
Edoardo…) verrà spiegato così: Edoardo è caduto «in piedi», e a
causa del violento impatto, il suo corpo si è accorciato di 20
centimetri! Ecco risolto “scientificamente” il mistero
dell’errata indicazione da parte del medico legale di Fossano.
Prima di morire Edoardo era alto 1,90cm, dopo la morte è
diventato un metro e 70 (anche se nel referto medico, sbagliato,
c’è scritto 1,75 e quindi “l’accorciamento” sarebbe stato di
15cm). Davvero interessante, per quello che era stato annunciato
come un «documentario anglosassone» dal «linguaggio asciutto».
NON CI SONO IMPRONTE - Margherita Agnelli si è affidata a un
pool di investigatori italiani e stranieri. I quali sono partiti
da un dato: nel rapporto della polizia scientifica di Cuneo, che
ha esaminato l’auto di Edoardo (una Fiat Croma grigio
metallizzata, targata TO66917V appartenuta a Gianni Agnelli e su
cui era montato un motore Peugeot), emerge un dato incredibile,
e mai utilizzato come spunto per ulteriori indagini: “Sulle
superfici esterne dell’autovettura” non sono emerse “linee di
impronte papillari latenti”. Vale a dire: non c’era nessun
impronta digitale. Né sulla maniglia, né sul comando di apertura
del portellone posteriore (che era aperto). E nemmeno
all’interno dell’abitacolo: né sul volante, né sulle chiavi di
accensione, né sulla leva del cambio, né sui tasti del telefono,
né nella bottiglia d’acqua accanto al posto di guida. Com’è
possibile che non ci fossero impronte, dato che Edoardo non
indossava mai i guanti? Trentatré fotografie documentano il
lavoro della scientifica. Esaminandole con strumenti
sofisticati, gli investigatori privati hanno tratto una sola
conclusione: tutte le impronte sono state cancellate. Si è
trattato quindi, almeno per questo aspetto, di un lavoro
compiuto da esperti criminali che potrebbero aver portato l’auto
sul viadotto e l’hanno poi ripulita? C’era anche Edoardo su
quell’auto e da lì qualcuno lo ha lanciato nel vuoto? Gli
investigatori hanno elencato una serie di elementi che
potrebbero far pensare a questo. Era difficile per Edoardo
parcheggiare così bene l’auto, scendere, armeggiare per salire
sull’alto guard-rail tipo jersey, e gli era impossibile muoversi
con agilità dato il peso che egli aveva raggiunto e la necessità
di far uso di un bastone per una recente caduta in Scozia.
Possibile che fosse riuscito a salire da solo su quella barriera
e a scavalcarla senza che nessuno delle centinaia di
automobilisti che transitavano sulle due carreggiate
dell’autostrada notasse nulla?
IL MOVENTE MAFIOSO? – Se la evidente e incontestabile
cancellazione delle impronte su tutte le superfici dell’auto
rivelava un lavoro di autentici professionisti del crimine,
occorreva ripercorrere alcuni avvenimenti accaduti nel gruppo
FIAT e cercare di contestualizzarli con un eventuale movente
plausibile avente come bersaglio proprio Edoardo, uno degli
anelli più deboli della famiglia. Sono stati incrociati numerosi
dati e controllate moltissime circostanze specie di carattere
finanziario. Gli investigatori si sono soffermati su una vicenda
del 1997, allorché IFIL Spa, la società di investimento
controllata dagli Agnelli (tramite l’IFI), con un portafoglio di
5 miliardi di odierni euro, gestita da Umberto Agnelli e
Gabriele Galateri di Genola, portò a compimento una strana
operazione in uno dei settori-chiave delle sue partecipate (che
spaziavano su oltre cento società, nel settore bancario,
calcistico, turistico). IFIL a un certo punto decise di vendere
una parte cospicua di una di queste società. E scelse (o fu
“consigliata” o “costretta” a scegliere?) un signore che non
aveva alcuna dimestichezza col business di quel settore, anzi il
contrario. Si trattava di un piccolo fornitore di parti
elettriche per le auto Fiat, proprietario di un piccolo impianto
con pochi addetti. Un signore che non aveva mai manifestato
alcuna propensione per quel tipo di business che gli veniva
affidato da IFIL. Che, addirittura, per incoraggiarlo ad
accettare attraverso il San Paolo gli garantì cospicui
finanziamenti. Venne costituita una finanziaria ad hoc, e quel
signore cominciò a scegliere tra i suoi parenti prossimi gli
improvvisati manager per gestire quel grosso affare.
UNA SCALATA - Tutto sembrava filare per il meglio ma nel 1999 a
Torino si accorsero che qualcosa non andava. Forse avevano
scelto quel nome come “testa di legno” o semplice esecutore di
ordini, ma invece quel piccolo imprenditore doveva essersi
montato la testa, aveva fatto investimenti e acquisizioni ben al
di là di quello che IFIL voleva, a poco a poco aveva osato
scalare alcune società e stava diventando padrone assoluto (o si
comportava come tale) di tutto quel settore dove IFIL voleva
continuare a regnare. Non era possibile che costui si
permettesse di portare via ciò che gli era stato fiduciariamente
affidato e si appropriasse di beni non suoi, per di più senza
alcun rispetto per una potenza come IFIL. Cercarono di
convincerlo a fermarsi, ma ormai la macchina era lanciata.
Allora ordinarono alle banche di chiudergli i rubinetti del
credito e farlo rientrare. La lotta si scatenò su più fronti e
il teatro delle operazioni si concentrò in Sicilia, dove tutto
era avvenuto nel corso degli anni, e arrivò fino a denunce,
fallimenti, curatele, amministrazioni controllate, blocchi delle
attività. Con l’intervento della magistratura, i rischi di
denunce per appropriazione indebita, falso in bilancio,
bancarotta fraudolenta cominciarono a lambire i parenti stretti
del piccolo imprenditore che comparivano come amministratori
delle varie società. Uno o una di questi si confidava
continuamente con una persona di fiducia (un fidanzato, una
fidanzata, un amico, un’amica?). E a un certo punto annunciò:
“Questi di Torino se la stanno prendendo con me. Ma devono stare
attenti: non sanno che cosa significa e quali conseguenze può
avere toccare me o qualcuno della mia famiglia”). Gli
investigatori hanno rintracciato questo o questa testimone che
avrebbe firmato una lunga dichiarazione giurata e fornito date,
circostanze e particolari su questa vicenda. Concludendo con
questa affermazione: “In seguito le cose precipitarono. E la
frase che ricordo bene fu questa: “Adesso hanno esagerato. E
allora sai che ti dico? Visto che se la sono presa con qualcuno
di noi, gli faremo vedere che cosa siamo capaci di fare al
qualcuno di loro, a qualcuno della loro famiglia!”.
Da qui sarebbe nata la “vendetta”, il desiderio di “fargliela
pagare” a quelli di Torino, fino ad arrivare al bersaglio più
vulnerabile, più fragile, meno protetto, affidando il “lavoro” a
una squadra di professionisti, quelli che cancellano le
impronte. Questa ricostruzione riguarda geograficamente e per
molti aspetti, del passato e del presente, la zona di
Castelvetrano, terra mediterranea, terra di vini marsala, in
provincia di Trapani. Il luogo da cui regna, ancor oggi
indisturbato, sull’immenso impero che ha creato Matteo Messina
Denaro, la primula rossa di “Cosa Nostra”. Basta incrociare i
dati su alcune persone originarie di Castelvetrano, molto ben
collegate da anni col boss, basta legare alcune parentele con
gli amministratori di certe società, per arrivare alle
conclusioni cui sono giunti gli investigatori di Margherita
Agnelli.
IL DUBBIO DI MARGHERITA AGNELLI - E adesso? La sorella di
Edoardo è di fronte a una strada, la stessa che le si presentò
anni fa quando cominciò la sua lunga battaglia per avere
trasparenza sul patrimonio di suo padre: andare avanti o
fermarsi? Andare avanti significherebbe presentare un dossier
alla magistratura, chiedere la riapertura del caso, arrivare
perfino alla richiesta di riesumazione del corpo di Edoardo per
fare quell’autopsia (a diciassette anni dalla morte è ancora
possibile e potrebbe dare qualche risultato interessante) che
incredibilmente la Procura di Mondovì non volle ordinare,
chiudendo la (cosiddetta) inchiesta in pochi giorni e
trascurando ogni pista. Margherita Agnelli, stando a chi le è
vicino, sembra aver commentato così le conseguenze che la sua
decisione potrebbe provocare: “Già mi hanno insultata,
cancellata, diffamata per il solo fatto di aver osato andare in
Tribunale per chiedere il rendiconto dei beni di mio padre. Il
mio figlio primogenito non mi parla da anni, non mi ha nemmeno
invitato al battesimo dei suoi tre figli, né alla festa per il
suo decimo anniversario di matrimonio, nonostante si svolgesse a
Villar Perosa, che tra l’altro è casa mia, dato che mio padre me
l’ha lasciata in eredità. Cosa succederebbe se ora chiedessi di
riaprire il caso riguardante il povero Edoardo? Mi direbbero,
come minimo, che questa eventuale mia iniziativa è la conferma
che sono impazzita, che non ci sono più con la testa, che sono
incontrollabile, che di me non ci si può fidare, che ha fatto
bene la mia famiglia a rompere i ponti con me, che bisogna che
qualcuno mi fermi, che non ho limiti….. Ne vale la pena? E’ il
prezzo che devo pagare per conoscere finalmente un po’ di quella
verità che da anni sto cercando sulla morte misteriosa del mio
povero fratello?”. Come darle torto."
IO
LE DO TORTO ! Mb
IL
17.11.18 ORE 18 CHIESA S.MARIA GORETTI TORINO
V.P.COSSA ANG V.ACTIS
Edoardo, l’Agnelli cancellato dall’album di famiglia
Una messa di suffragio a Ginevra e una commemorazione islamica a
Teheran. A sedici anni dalla sua tragica morte, sul figlio
dell'Avvocato prosegue la damnatio memoriae. Cosa non nuova
nella secolare storia della schiatta - di GIGI MONCALVO
Sedici anni fa, il 15 novembre, morivaEdoardo
Agnelli,
il figlio primogenito diGiannieMarella.
Aveva 46 anni. Il suo corpo venne trovato riverso sulle pietre
accanto al torrente Stura ai piedi di un pilone dell’autostrada
Torino-Savona, nei pressi di Fossano. Quel viadotto portava il
nome di un indimenticato generale dei Carabinieri,Franco
Romano,
precipitato nell’elicottero su cui viaggiava nel dicembre 1998.
Il generale, che ha lasciato una moglie e un figlio che vivono a
Torino, tra l’altro era amico di Edoardo.
Questo sedicesimo anniversario avrà la caratteristica crudele e
tremenda delle altre analoghe ricorrenze: l’oblìo. Edoardo è
stato letteralmente cancellato dalla famiglia, o da quel poco
che resta degli Agnelli (coloro che portano questo cognome per
nascita oggi sono solo otto, di cui appena tre del ramo-Gianni e
cinque del ramo-Umberto, in attesa cheAndreaeDeniz
Akalinincrementino
il numero). Per ricordare Edoardo, come negli anni scorsi, non
ci sarà nulla, o ben poco. Non troverete sullaStampa,
o sulCorriere
della Serao
suRepubblica(di
cuiJohn
Elkannè
da poco diventato il secondo azionista dopoCarlo
De Benedetti)
nemmeno poche righe di necrologio. Eppure Jacky non dovrebbe
sborsare nemmeno un cent essendo il proprietario…
Nelle pagine di cronaca cittadina non ci sarà nemmeno una breve
che annuncia una messa di suffragio. Anche perché tale
cerimonia, nemmeno in privato, ci sarà, almeno in Italia. La
madre di Edoardo, donna Marella, ha letteralmente cancellato
dalla sua mente questa ricorrenza e probabilmente ha tentato di
farlo anche con molti ricordi per lei sgradevoli. L’unica
funzione di suffragio di cui si è avuta notizia si svolgerà, col
rito greco-ortodosso, adAllaman,
sulle sponde del lago di Ginevra, nella piccola cappella privata
che allinea alcune icone dipinte daMargherita
de Pahlen, la sorella di Edoardo. Lei, il maritoSergee
i cinque figli manderanno il consueto mazzo di rose rosse al
cimitero diVillar
Perosadove c’è la tomba di Edoardo. Lapo?
Lasciamo perdere. L’anno scorso, proprio in questo anniversario,
inondò i social media di replichealle
osservazioni ironiche diDiego
Della Vallesul
fatto che gli Elkann erano più portati alle discoteche che al
lavoro… Per zio Edoardo non sprecò nemmeno un tweet. Perfino laJuventus,
allineata e prona ai voleri dell’azionista di maggioranza (maAndreaperché
non si fa valere?), ha dato una “coltellata” alla memoria: da
anni sul sito ufficiale del club non c’è un ricordo di Edoardo
che pure era stato consigliere di amministrazione, sedeva spesso
in panchina conTrapattonie
litigò di brutto conGiampiero“Marisa”Bonipertichiedendo
che la Coppa sporca di sangue vinta a Bruxelles venisse
restituita e la partita col Liverpool rigiocata. Ma il sito del
club non è nuovo a cadute di stile: non c’è mai nemmeno una riga
nell’anniversario della morte dell’avvocatoVittorio
Chiusano, il vero e unico “avvocato dell’Avvocato” che
fu presidente della Juve per molti anni.
La ex-famiglia Agnelli non solo dimentica ma cancella
letteralmente le figure “scomode” o considerate tali. È accaduto
perfino conVirginia
Bourbon del Monte, la mamma di Gianni e dei suoi sei
fratelli e sorelle (Clara,Susanna,Cristiana,Maria
Sole,GiorgioeUmberto),
considerata “colpevole” di aver amatoCurzio
Malaparte, di essere morta in circostanze non
commendevoli, ma soprattutto di aver frequentato il GeneraleKarl
Wollfche
fu, dal febbraio all'ottobre del 1944, il Governatore Militare e
il Comandante supremo delle SS e della Polizia nel nord
d’Italia. Fu proprio in virtù di questi rapporti tessuti con
pazienza da Virginia Agnelli con il mondo cattolico che il
generale Wollf, il 10 maggio 1944, ebbe un incontro segreto in
Vaticano conPapa
Pio XII, organizzato da Virginia con i buoni uffici,
almeno sul fronte tedesco, del colonnelloEugene
Dollmann, comandante della piazza di Roma e abituale
frequentatore di casa Agnelli al Bosco Parrasio. Lo scopo di
Virginia venne raggiunto: evitare spargimenti di sangue al
momento del ritiro delle truppe tedesche incalzate dagli alleati
ormai sbarcati fin da gennaio ad Anzio. E, soprattutto, la
revoca dell’ordine di distruggere le grandi bellezze della
capitale dopo la resa. A Karl Wolff e al generaleWilhelm
Burgdorfil
Führer aveva affidato l’Operazione Rabat, ovvero di rapire il
Papa. E Wollf, nel corso di quell’incontro, informò di persona
ilPapa. Chissà perché gli Agnelli hanno sempre voluto
“nascondere” le loro collusioni col fascismo (quando Gianni da
soldato ebbe il primo incidente d’auto alla gamba vicino alla
Linea Gotica viaggiava su un’auto del comando nazista guidata da
un soldato tedesco…), pur avendo la coscienza sporca, non hanno
mai perdonato a Virginia le sue “collusioni”, anche se a fin di
bene, coi nazisti a Roma. Infatti, quell’episodio salvò molte
vite umane e soprattutto impedì la distruzione dei monumenti più
importanti della Città Eterna. Un comportamento un po’ strano,
soprattutto quello del capostipite SenatoreGiovanni
Agnellidi
cui è possibile vedere ancor oggi le immagini suyoutubementre
in camicia nera rende omaggio al Duce in visita agli
stabilimenti dellaFiataTorino.
Il nonno di Gianni era solito ripetere, a chi gli chiedeva se
fosse fascista o antifascista: “Sono sia l’una che l’altra cosa.
A Torino sono anti-fascista perché ci sono gli operai, i
sindacati e il partito comunista. A Roma invece sono fascista
perché c’è il Duce e ci sono i ministri che mi devono firmare le
commesse per la guerra”.
Virginia Agnelli non è stata mai sufficientemente ricordata e
onorata, edifici o scuole che le sono intitolate portano il nome
di suo marito Edoardo insieme al suo. Non c’è una via che la
ricordi, a parte una stradina periferica di Roma, lo stesso
Gianni non partecipò ai funerali della madre. La versione
ufficiale dice che era in Scandinavia per stipulare accordi
commerciali, in realtà era stato il nonno a farlo partire e non
perché temesse che il processo di epurazione in corso contro lui
eVittorio
Vallettapotesse coinvolgere anche il nipote prediletto.
Il testamento “segreto” del Senatore, scritto alcuni anni prima
della morte e reso noto dopo la sua scomparsa, dimostrò quanto
egli detestasse l’affascinante e indomabile nuora al punto da
lasciarle poche briciole (con la clausola che venissero versate
dai figli…) e nemmeno un tetto sotto il quale abitare. Per
fortuna, Virginia era già morta da poco più di un mese e le fu
risparmiata quest’ultima umiliazione. È stato cancellato anche
Giorgio, il secondo figlio maschio di Virginia, il fratello
numero sei –nato il 12 maggio 1929 –, morto a Rolle in Svizzera
nel 1965 alla vigilia del suo trentaseiesimo compleanno. Era
stato ricoverato in un ospedale psichiatrico dopo che Gianni e
Susanna firmarono una richiesta di internamento e chiamarono i
carabinieri per farlo portare via.
Tornando a Edoardo Agnelli l’aspetto più paradossale di questo
sedicesimo anniversario è che il defunto è stato commemorato
solo aTeheran.
Lo annuncia la giornalista iranianaAmani
Raziesu ParsToday.
Nel sito è raffigurato un manifesto commemorativo in cui una
grande forbice taglia in due una foto con la figura di Edoardo.
Dunque i tentativi di speculazione sulla sua presunta e mai
provata conversione alla religione islamica continuano.
Ad alimentare tutto questo, e soprattutto la inopinata
cancellazione del proprio parente, è proprio e anche il silenzio
del nipote di Edoardo,John
Elkann. Il quale dimostra davvero di non avere cuore
per il suo sfortunato zio. E pensare che la sua ascesa “al
trono” è stata favorita, non solo daGianluigi
GabettieFranzo
Grande Stevens, ma proprio grazie alla scomparsa di
Edoardo e dal tipo di “ostacolo” che egli rappresentava in
quanto figlio ed erede legittimo. Nella sua ultima famosa
intervista aPaolo
GriseridelManifesto(15
gennaio 1998, due anni e dieci mesi prima della morte), Edoardo
confermava per l’ennesima volta che, in caso di morte del padre,
avrebbe fatto valere quanto previsto dalle leggi successorie
italiane. Quindi, indipendentemente da ciò che c’era scritto nel
testamento, avrebbe fatto valere la sua “legittima” e cioè
sarebbe divenuto proprietario delle azioni della “Dicembre”
e dell’“Accomandita
Giovanni Agnelli” e non del corrispettivo in denaro
come aveva previsto il padre, su suggerimento dei due “grandi
vecchi”. Che Edoardo avesse un pacchetto di azioni delle due
casseforti rappresentava un “pericolo” da evitare ad ogni costo.
Si pensi che cosa sarebbe accaduto della “Dicembre” e dellagovernancedel
Gruppo se Edoardo fosse stato ancora in vita dopo la morte di
Gianni Agnelli. Le sue azioni ereditate e sommate a quelle della
sorella avrebbero potuto determinaree
condizionare certi incredibili atteggiamenti che donna Marella
ha avuto in sede di successione privilegiando uno solo degli
otto nipoti e dando una autentica pugnalata alla schiena alla
figlia. Edoardo in vita e Margherita avrebbero potuto far
cambiare idea alla madre e impedirle di consegnare il gruppo a
un giovane, imberbe e inesperto nipote, a scapito anche
dell’altra co-erede e degli altri sette nipoti?
John sembra aver dimenticato queste cose, e in questo periodo è
occupato soltanto a far credere una cosa insostenibile e
smentita da ogni documento: e cioè che egli abbia ceduto a Lapo
e Ginevra una parte delle azioni della “Dicembre”. Non è vero,
non può e non potrà mai farlo. Solo in caso di sua morte lo
statuto prevede che i suoi figli possano diventare soci
ereditando le quote del padre. ELavinia?Anche
lei potrà, ma solo a una condizione: che Gabetti, Grande Stevens
padre e figlia, eCesare
Ferrero, siano d’accordo e votino a suo favore. John è
uno che quando vuole dimentica, ma molto più spesso ricorda fin
troppo bene. Non ha mai dimenticato quel che disse il povero
Edoardo alManifesto.
Pochi giorni prima, nel dicembre 1997, c’erano stati i funerali
diGiovannino,
il figlio di Umberto, e il giovane John era stato imposto dal
nonno Giovanni nel cda della Fiat, nonostante avesse solo 22
anni e nemmeno la laurea, tra il mormorio e le proteste degli
altri soci. Edoardo nonnascose
nulla di se stesso quando disse, ad esempio, con ironia:
“Francesco d’Assisi era uno che soffrì molto perché era
considerato un matto e venne esautorato anche
dall’amministratore del suo ordine”. Edoardo aggiunse: “Allo
stato attuale ho scelto di lavorare all’interno della famiglia,
con il mio nome e cognome. Non ho cambiato paese e abito (…)”.
Edoardo, in quella sua ultima intervista, dà una risposta netta
sul suo, e di suo padre, “nipotino” Jacky: “Considero quella
scelta uno sbaglio e una caduta di stile, decisa da una parte
della mia famiglia, nonostante e contro le perplessità di mio
padre, che infatti all’inizio non voleva dare il suo assenso.
Non si nomina un ragazzo pochi giorni dopo la morte di Giovanni
Alberto, per riempire un posto. Se quel posto fosse rimasto
vacante per qualche mese, almeno il tempo del lutto, non sarebbe
successo niente. Invece si è preferito farsi prendere dalla
smania con un gesto che io considero offensivo anche per la
memoria di mio cugino”. Edoardo, e questo è un passaggio
fondamentale, afferma che suo padre nutriva perplessità per
quella scelta su Jaky. Sostiene che l’Avvocato “in un primo
tempo non voleva dare il suo assenso”. Forse era davvero questa
la realtà.
Il giornalista delManifestopone
una domanda inevitabile dopo quel giudizio molto duro
pronunciato da Edoardo a proposito di Jaky: “Formulato da lei
potrebbe far pensare a una volontà di rivincita per non essere
stato chiamato a ricoprire quell’incarico”. Ma Edoardo rincara
la dose: “Ripeto che non ho alcuna intenzione di candidarmi. Ma,
se fosse dipeso da me, non avrei operato quella sostituzione in
tempi così stretti, né avrei fatto quella scelta. Una scelta
negativa per la Fiat e per lo stesso ragazzo, un ragazzo in
gamba che rischia di venire sacrificato in un gioco più grande
di lui. Io ho grande rispetto per la Fiat e per i suoi manager,
che sono molto bravi. Ma come si giustifica, di fronte a
un’assemblea di azionisti, la presenza in consiglio di un
ragazzo di 22 anni? Quali consigli può dare sulle strategie
aziendali?”.
Griseri fa osservare che l’Avvocato si è già trovato a
fronteggiare questo problema, nessuno dimentica come
rumoreggiava la sala il giorno in cui venne annunciata la
cooptazione di Jaky. Il nonno, allora, aveva risposto in prima
persona, infastidito, prendendo il microfono, interrompendo i
lavori e ricordando agli scettici e ai perplessi che egli stesso
aveva ricoperto quell’incarico proprio a ventidue anni. “Ma
erano altri tempi – replica Edoardo – e c’era un altro spirito,
lo spirito di mio bisnonno, il fondatore della Fiat. Oggi invece
una parte della mia famiglia si è fatta prendere da una logica
barocca e decadente. Senza offesa per nessuno, siamo vicini al
gesto di Caligola che nominò senatore il suo cavallo. La Fiat è
un’azienda seria, non un club per ventenni. E poi quella
designazione fa male al ragazzo. Se lei – chiede Edoardo -
avesse un figlio di vent’anni lo metterebbe in una
situazione del genere? Un posto in consiglio di amministrazione
deve essere il coronamento di una vita in azienda, non può
essere dato così”.
Per saperne di più leggereAgnelli
SegretieI
Lupi e gli Agnellidi
Gigi Moncalvo, reperibili su www.gigimoncalvo.it o
gigimoncalvo@gmail.com
SE VUOI AVERE UNA COPIA DEL TESTAMENTO
OLOGRAFO DI GIANNI AGNELLI E DELLE LETTERE DI EDOARDO AGNELLI :
PERCHE' TORINO HA PAURA DI CONOSCERE LA VERITA'
SULLA MORTE DI EDOARDO AGNELLI ?
Il prof.Mario DE AGLIO alcuni
anni fa scrisse un articolo citando il "suicidio" di EDOARDO AGNELLI.
Gli feci presente che dai documenti ufficiali in mio possesso il
suicidio sarebbe stato incredibile offrendogli di esaminare tali
documenti. Quando le feci lui disconobbe in un modo nervoso ed
ingiustificato : era l'intero fascicolo delle indagini.
A Torino molti hanno avuto la stessa reazione senza aver visto ciò
che ha visto Mario DE AGLIO ma gli altri non parlano del "suicidio" di
Edoardo AGNELLI ma semplicemente della suo morte.
Mb
02.04.17
TUTTO DEVE PARTIRE DALL'OMICIDIO PREMEDITATO DI
EDOARDO AGNELLI
come dimostra
l'articolo sotto riportato:
È PIENA GUERRA TRA ACCUSE, SOSPETTI, RICORSI
IN TRIBUNALE E CONTI CHE NON TORNANO NELLE FONDAZIONI CHE CUSTODISCONO
IL TESORO DI FAMIGLIA
Ettore Boffano e Paolo
Griseri per "Affari&Finanza"
di "Repubblica"
È una storia
di soldi, tantissimi soldi. Almeno 2 miliardi di euro secondo la
versione più moderata tra quelle che propone Margherita Agnelli; un
miliardo e 100 milioni a sentire invece il suo ex legale svizzero, Jean
Patry, che contribuì a redigere a Ginevra il "patto successorio" del
2004 con
la
madre Marella Caracciolo.
Per l'Agenzia delle entrate di Torino, poi, i primi
accertamenti indicano una cifra minore, non coperta però dallo "scudo
fiscale": 583 milioni. Somma che Margherita non ha mai negato di aver
ricevuto, ma lasciando un usufrutto di 700mila euro al mese alla madre e
contestando davanti al tribunale di Torino il fatto che quel denaro,
depositato all'estero su una decina di trust offshore, sia davvero tutto
ciò che le spettava del tesoro personale del "Signor Fiat".
È anche la storia di una pace che non c'è mai stata, di
una serenità familiare minata. E minata probabilmente ben prima di quel
24 gennaio 2003, quando all'alba Torino apprese che il "suo" Avvocato se
n'era andato per sempre. Dissensi cominciati tra la fine degli anni ‘80
e l'inizio degli anni '90: Margherita e il fratello Edoardo (poi
suicidatosi il 15 novembre 2000) capiscono che non saranno loro a
succedere al padre alla guida della famiglia e della Fiat.
Altri nomi e
altre investiture sono già pronte: quella di Giovannino Agnelli, figlio
di Umberto, come amministratore, e addirittura del giovanissimo John
"Jaki" Elkann, il primogenito di Margherita, come futuro titolare della
società "Dicembre" e della quota del nonno nell'accomandita di famiglia,
la
"Giovanni Agnelli & C. Sapaz".
L'amarezza di
quei giorni e gli scontri in famiglia restano coperti dalla
riservatezza, più regale che borghese, abituale alla prima dinastia
industriale italiana. Ma nel segreto i tentativi di risolvere una lite
strisciante, che guarda già alla futura eredità, vanno avanti anche se
con scarsi risultati.
E sempre inseguendo la speranza della "pace familiare".
Alla pace, infatti, si ispira il nome suggestivo di una fondazione,
"Colomba Bianca", che Agnelli ordina ai suoi collaboratori di costituire
nel
1999 a
Vaduz, quando
la figlia
Margherita protesta per i "tagli" che Gianluigi
Gabetti, il finanziere di famiglia, ha imposto alla "lista delle spese"
annuale per il mantenimento suo e degli otto figli (i tre avuti dal
primo matrimonio con Alain Elkann e i cinque nati dall'unione con il
conte Serge de Pahlen).
"Colomba Bianca" è dotata di 100 milioni di dollari. «È
la nostra cagnotte (la mancia che al casinò si dà al croupier, ndr)»,
spiega Margherita al fratello Edoardo, ma poi scopre che ancora una
volta la gestione dei soldi è saldamente in mano a Gabetti.
Approfittando delle vacanze estive, allora, Margherita trasferisce tutto
il denaro sui suoi conti, scatenando l'ira dei consulenti del padre.
E sempre la
pace che non c'è, insidiata dalla tempesta, è richiamata anche nel nome
del trust offshore "Alkyone", una fondazione di Vaduz che costituisce il
capolavoro di ingegneria finanziaria di Gabetti e dell'«avvocato
dell'Avvocato», Franzo Grande Stevens. Essa è stata fondata il 23 marzo
del 2000, proprio con lo scopo di governare l'eredità di Gianni Agnelli.
Il nome è una citazione dalla mitologia greca: ricorda la storia di
Alcione figlia di Eolo, re dei venti. Trasformata in uccello, ottenne da
Zeus che il mare si placasse per farle deporre le uova sulla spiaggia. I
sofisticati statuti e regolamenti di "Alkyone" dicono che essa avrebbe
dovuto conservare, fuori dalle tempeste familiari, il patrimonio estero
di Gianni Agnelli. I "protector" e cioè i gestori erano Gabetti, Grande
Stevens e il commercialista elvetico Siegfried Maron.
PATTO
2004 CON CUI MARELLA E MARGHERITA AGNELLI RINUNCIARONO A OGNI PRETESA
Ecco, è
proprio qui, in quel "paradiso fiscale" di Vaduz inutilmente intitolato
al pacifico mito di Alcione, che bisogna cercare i dettagli della
"guerra degli Agnelli" in scena, da qualche mese, anche negli uffici
dell'Agenzia delle Entrate subalpina e, per una storia collaterale,
nella procura della Repubblica di Milano.
Così come i tre protector di "Alkyone sono le persone che
Margherita indica come "gestori" del patrimonio personale del padre e
che ha citato a giudizio (assieme alla madre) per ottenere il rendiconto
della «vera eredità». Una saga complicata e dolorosa e che Margherita ha
affidato, oltre al tribunale, anche a un libro di 345 pagine, scritto in
francese da un analista belga ed ex 007 fiscale della Ue, Marc Hurner,
stampato solo in 12 copie con un titolo molto esplicito: "Les
Usurpateurs. L'histoire scandaleuse de la succession de Giovanni
Agnelli" e, in copertina, il disegno del palazzo di famiglia che oggi a
Torino, in corso Matteotti, ospita Exor.
Anni di
reciproca rabbia e di scambi di lettere tra principi del foro che hanno
consolidato un gelo definitivo tra Margherita, la madre e i figli John e
Lapo e che, soprattutto, si sono intrecciati con l'assetto e il
controllo del gruppo ExorFiat. Nella prossima primavera il
giudice torinese
Brunella Rosso dovrebbe pronunciare il primo verdetto, ma è possibile
che il cammino mediatico della "guerra degli Agnelli" prosegua a lungo.
Cerchiamo di capire il perché. Oggi la società
"Dicembre", che fa da guida all'accomandita e al gruppo, è saldamente in
mano a John Elkann così come era in passato per il nonno. Questo assetto
è il risultato della strategia indicata dall'Avvocato.
Il 10 aprile
1996, infatti, Gianni Agnelli è alla vigilia di un delicato intervento
al cuore: cede tre quote uguali del 24,87 per cento, alla moglie, alla
figlia e al nipote, conservando per sé
il 25 ,38.
Alla sua morte, Marella, Margherita e John salgono ciascuno al 33,33 per
cento. Prima dell'apertura del testamento, però, Marella dona
il 25 ,4
per cento al nipote, trasformandolo nel socio di maggioranza assoluta
con il 58,7.
Quando il notaio
torinese Ettore
Morone legge il testamento, il 24 febbraio 2003, la notizia della
donazione scatena la lite familiare. Nelle disposizioni, Agnelli
spartisce solo i beni immobili in Italia: Margherita sostiene di aver
chiesto conto di tutto il resto, ma di non aver ricevuto risposta. Lo
scontro, soprattutto con Gabetti e Grande Stevens, si fa durissimo: il
civilista della famiglia si dimette dall'incarico di esecutore
testamentario e la figlia dell'Avvocato li accusa di «essersi sostituiti
al padre» chiedendo per sé «e per tutti i miei figli, il ripristino dei
miei diritti».
Nel frattempo, entra in possesso di un documento in
lingua inglese, il "Summary of assets", che elenca i beni esteri poi
confluiti in "Alkyone": 583 milioni di euro. Dopo una tormentata
trattativa, il 18 febbraio 2004 Marella e la figlia, entrambe cittadine
italiane residenti in Svizzera e definite nell'atto "benestanti",
stipulano un patto successorio "tombale" che prevede la rinuncia di
Margherita a qualsiasi ulteriore diritto sull'eredità del padre, su
quella della madre e sulle donazioni compiute da entrambi i genitori a
favore di John. Inoltre, cede alla madre sia la quota di "Dicembre" sia
la partecipazione nell'accomandita. La pace sembra davvero essere
ritornata e a settembre Margherita partecipa al matrimonio del figlio
con Lavinia Borromeo.
Ma il mito di Alcione resiste poco. In cambio delle
rinunce, infatti, Margherita ha ottenuto i 583 milioni del "Summary of
assets", i beni immobili e la collezione d'arte. Una parte del denaro,
105 milioni, però le è versato in forma "anonima" da
Morgan Stanley
nell'aprile 2007 e la richiesta di informazioni su chi ha dato ordine di
pagare non ha esito. Per l'erede dell'Avvocato quella sarebbe la prova
che all'estero esiste altro denaro e che i gestori sono Gabetti, Grande
Stevens e Maron. Una tesi sempre contestata dai tre: Margherita e i suoi
legali, infatti, non sono stati in grado di indicare un mandato scritto.
Il 27 giugno
2007, l
'avvocato Girolamo Abbatescianni e il suo collega svizzero Charles
Poncet avviano la causa per ottenere il rendiconto: secondo Margherita
ci sarebbero altri beni da dividere. Solo in via subordinata, invece, si
chiede di dichiarare nullo il patto successorio svizzero che viola il
codice civile italiano. Nel corso delle udienze e delle schermaglie
procedurali, la difesa di Margherita giunge anche a quantificare il
presunto ammanco nel cespite ereditario. Circa un miliardo e 400 milioni
di euro, frutto di quella che Marc Hurner ribbattezza "l'Opa pur rire" (
la finta Opa ).
Si tratta
della clamorosa operazione finanziaria lanciata nel 1998 dall'Ifi sulla
società "gemella" del Lussemburgo, "Exor Group", attraverso prima la
raccolta di un maxidividendo e poi l'acquisto con un prestito della
Chase Manhattan Bank. Secondo Hurner, i veri beneficiari dell'Opa
sarebbero i "soci anonimi" di "Exor Group" rappresentati da fiduciarie
dietro le quali potrebbe esserci, a detta dell'analista, un unico
proprietario: Gianni Agnelli. L'utile di quell'operazione sarebbe ciò
che ancora manca all'eredità.
Anche questa
ricostruzione è sempre stata contestata in toto dai legali dei presunti"
gestori" e, all'inizio dell'estate scorsa, il giudice Rosso ha respinto
la richiesta degli avvocati di Margherita di ascoltare testi e di
compiere accertamenti bancari. Nell'udienza di giovedì scorso, i nuovi
legali di Margherita (Andrea e Michele Galasso e Paolo Carbone) hanno
rovesciato la precedente impostazione chiedendo, oltre al rendi• conto,
anche la nullità del patto successorio.
Ora il giudice dovrà decidere se questa istanza è ancora
proponibile e, soprattutto, se le convenzioni giuridiche tra Italia e
Svizzera le impediscano di pronunciarsi sul documento elvetico visto
che, 'nel giugno scorso, Marella ha chiesto al tribunale di Ginevra di
confermarne
la validità. Se
però fosse accolta la tesi di Margherita, allora tornerebbe in
discussione tutto il sistema di donazioni che consente al figlio John la
guida istituzionale della galassia Fiat.
Le ultime
possibili sorprese sull'intera saga potrebbero poi venire dalla procura
di Milano, che sta indagando su una querelle tra due ex legali di
Margherita, Poncet ed Emanuele Gamna, e sulla maxiparcella da 25 milioni
di euro percepita da quest'ultimo assieme al collega Patry.
L'escalation
giudiziaria su chi potesse manovrare quelle ingenti somme alI'estero
dopo la morte di Agnelli va di pari passo con le indagini fiscali
ordinate quest'estate dal ministro Giulio Tremonti (c'è il rischio di
una sanzione pari a tre volte i 583 milioni del "Summary of Assets"). E
sarà su questi due fronti, più che ormai nella causa civile di Torino,
che si giocherà il finale di partita per il tesoro dell'avvocato.
WSJ:
LA LUCE
INDESIDERATA SUGLI AGNELLI...
Da "Il Riformista" - Ieri il "Wall Street Journal" ha pubblicato un
articolo in cui si riportano gli ultimi avvenimenti legati alla
successione dell'impero economico della famiglia Agnelli. Il titolo
dice: la causa, luce indesiderata sulla famiglia della Fiat. Dopo la
morte dell'Avvocato, scrive il "Wsj", alla figlia Margherita è stato
tenuto nascosto un patrimonio «in denaro e in beni per più di un
miliardo di euro (un miliardo e mezzo di dollari) sparsi in diversi
conti bancari e compagnie di investimento fuori dall'Italia».
L'articolo fa
presente che Gianluigi Gabetti, Franzo Grande Stevens e Siegfried Maron
dicono «di essersi solo occupati degli affari di Agnelli e di non sapere
nulla di presunte somme mancanti» e spiega che la vicenda «sta
appassionando la nazione che una volta considerava Gianni Agnelli in suo
re non ufficiale».
Secondo ilgiornale,
qualcuno sosterrebbe che la disputa ha scalzato il nome di Agnelli dal
piedistallo: «È la prova che la dinastia è finita, dice il sindacalista
Giorgio Airaudo». Dopo aver ricordato che oggi la famiglia ha una nuova
leadership in «mister Elkann», che non ha voluto commentare la causa di
sua madre con il quotidiano, il Wsj cita anche il sindaco di Torino,
Sergio Chiamparino, quando dice che «la gente al bar non parla del
processo, ma di Marchionne a Detroit, e di come questo porterà lavoro».
[19-11-2009]
grazie a Dio , non certo a Jaky, continua la ricerca
della verità sull'omicidio di Edoardo Agnelli , iniziata con i libri di
Puppo e Bernardini, il servizio de LA 7, e gli articoli di Visto, ora
il Corriere e Rai 2 , infine OGGI e Spio , continuano un percorso
che con l'aiuto di Dio portera' prima di quanti molti pensino
alla verita'. Mb -01.10.10
Se diranno che anche io mi sono suicidato
non ci credete, cosi pure agli incidenti
mortali ...potrebbero non essere causali e
dovuti alla GRANDE vendetta.
LA
DICEMBRE società semplice e' il timone di comando del gruppo
Elkan.
Come
scrive Moncalvo nel suo libro AGNELLI SEGRETI da pag.313 in poi,
attraverso la Dicembre Grande Stevens controlla di fatto Jaky e
la figlia di Grande Stevens Cristina ne prenderà il controllo
quando Jaky morirà mentre ai suoi figli verrebbe liquidata solo
la quota patrimoniale nominale.
La
proposta di società ad Edoardo nel 1984-86 non si sa come sia
cambiata statutariamente in quanto il documento del mio link
e' l'
unico che sia stato dato ad Edoardo sino al 2000 quando fu
ucciso proprio perche' non voleva ne' accettare l' esclusione
dalla Dicembre ne' di condividerla con Grande Stevens padre e
figlia , Gabetti, e Ferrero perché estranei, ne' di darne il
controllo a Jaky perché inadatto , come aveva dichiarato al
Manifesto con Griseri nel 1998.
Tutto ciò
l' ho detto già anni fa alla giornalista Borromeo cognata di
JAKY al fine che ne parlasse con la sorella, o non ha capito, o
ha creduto alle bugie che le hanno detto per tranqullizzarla.
Io credo
che sia nell 'interesse di tutti che vengano chiariti al più`
presto sia il contenuto dello statuto della dicembre e le
conseguenze che ne derivano.
ANTONIO
PARISI -I MISTERI DEGLI AGNELLI - EDIT-ALIBERTI-
CRONACA
| giovedì 10 novembre 2011,
18:00
Continua la saga della famiglia ne "I misteri di Casa Agnelli".
Il
giornalista Antonio Parisi, esce con l'ultimo pamphlet sulla
famiglia più importante d'Italia, proponendo una serie di
curiosità ed informazioni inedite
Per
dieci anni è stato lasciato credere che su Edoardo Agnelli,
precipitato da un cavalcavia di ottanta metri, a Fossano,
sull'Autostrada Torino - Savona, fosse stata svolta una regolare
autopsia.
Anonime
“fonti investigative” tentarono in più occasioni di
screditare il giornalista Antonio Parisi che raccontava
un’altra versione. Eppure non era vero, perché nessuna autopsia
fu mai fatta.
Ora
Parisi, nostro collaboratore, tenta di ricostruire ciò che
accadde quel giorno in un’inchiesta tagliente e inquietante,
pubblicando nel libro “I Misteri di Casa Agnelli”, per la
prima volta documenti ufficiali, verbali e rapporti, ma anche
raccogliendo testimonianze preziose e che Panorama di questa
settimana presenta.
Perché
la verità è che sulla morte, ma anche sulla vita, dell’uomo
destinato a ereditare il più grande capitale industriale
italiano, si intrecciano ancora tanti misteri. Non gli unici
però che riguardano la famiglia Agnelli.
Passando dalla fondazione della Fiat, all’acquisizione
del quotidiano “La Stampa”, dalla scomparsa precoce dei
rampolli al suicidio in una clinica psichiatrica di Giorgio
Agnelli (fratello minore dell’Avvocato), dallo scandalo
di Lapo Elkann, fino alla lite giudiziaria tra gli eredi,
Antonio Parisi sviscera i retroscena di una dinastia che,
nel bene o nel male, ha dominato la scena del Novecento italiano
assai più di politici e governanti.
Il
volume edito per "I Tipi", di Aliberti Editore, presenta
sia nel testo che nelle vastissime note, una miniera di gustose
e di introvabili notizie sulla dinastia industriale più
importante d’Italia.
Mondo AGNELLI :
Cari amici,
Grazie mille per vostro aiuto con
la stesura di mio libro. Sono contenta che questa storia di Fiat e
Chrysler ha visto luce. Il libro e’ uscito la settimana scorsa, in
inglese. Intanto e’ disponibile a Milano nella librerie Hoepli e EGEA;
sto lavorando con la distribuzione per farlo andare in piu’ librerie
possibile. E sto ancora cercando la casa editrice in Italia. Intanto vi
invio dei link, spero per la gioia in particolare dei torinesi (dov’e’
stato girato il video in You Tube. )
Un libro che riporta palesi falsita'
sulla morte di Edoardo Agnelli come quella su una foto inesistente con
Edoardo su un ponte fatta da non si sa chi recapitata da ignoto ad
ignoti. Se fosse esistita sarebbe stata nel fascicolo dell'inchiesta.
Intanto anche grazie a queste salsita' il prezzo del libro passa da 15 a
19 euro! www.marcobava.it
Trovo strano che esista questa foto, fuori dal fascicolo
d’indagine e di cui Jennifer non ha mai parlato con me da cui ha
ricevuto tutto il fascicolo e molti altri documenti ! Mb
1- A 10 ANNI DALLA
MORTE DELL’AVVOCATO, UN LIBRO FA A PEZZI QUALCHE SANTINO FIAT - 2-
MARPIONNE CHE PIANGE PER LO SPOT CHRYSLER? MA MI FACCIA IL PIACERE! LUI
DICE SEMPRE CHE STA PER PIANGERE, MA NESSUNO L’HA MAI VISTO IN LACRIME.
DI SOLITO FAR PIANGERE GLI ALTRI (CHIEDERE A LAURA SOAVE, MAMMA DELLA
500 LICENZIATA IN TRONCO O AL SINDACALISTA RON GETTELFINGER INSULTATO
DALL’IMPULLOVERATO CON UNA FRASE DA SCHIAFFI: “I SINDACATI DEVONO
ABITUARSI A UNA CULTURA DELLA POVERTÀ”) - 3- E POI GLI ULTIMI GIORNI DI
EDOARDO, A CUI NON VIENE DATO IL NUMERO DEL CELLULARE DEL PADRE.
INGRASSATO, PAZZO, GLI UNICI AMICI SONO UN ASSISTENTE SOCIALE E UN
VENDITORE DI TAPPETI IRANIANO. PREOCCUPATO DI NON ARRIVARE ALLA FINE DEL
MESE, LEGGE NOSTRADAMUS E AVVERTE TUTTI TRE GIORNI PRIMA, CONSEGNANDO A
SUO PADRE E A UNA PERSONA DI SERVIZIO PARTICOLARMENTE CARA UNA SUA FOTO.
E’ SU UN PONTE DELLA TORINO-SAVONA DA CUI SI BUTTERÀ, UN LEGGERO
SORRISO. “VOGLIO ESSERE RICORDATO COSÌ”, DICE ALLA PERSONA DI SERVIZIO.
MA NESSUNO SE LO FILA -
"A Detroit sono rimasti tutti molto stupiti leggendo il mio libro, non
sapevano che in Italia si producono auto dalla fine dell'Ottocento". Lo
racconta a ‘'Studio'' Jennifer Clark, corrispondente per il settore auto
di Thomson-Reuters dall'Italia, fresca autrice di Mondo Agnelli: Fiat,
Chrysler, and the Power of a Dynasty (Wiley & Sons editori, $29.95),
primo dei volumoni in arrivo in libreria per il decennale della morte di
Gianni Agnelli (2013). Il libro è bello, e forse perché non è prevista
(per ora) una pubblicazione italiana, non ha i pudori a cui decenni di
"bibliografiat" (copyright Marco Ferrante, maestro di agnellitudini e
marchionnismi) ci hanno abituati.
E partiamo da
Marchionne, figura che rimane misteriosa, monodimensionale nei suoi
cliché più utilizzati - le sigarette, il superlavoro, l'equivoco
identitario (l'abbraccio del centrosinistra con la definizione
fassiniana di "liberaldemocratico", il ripensamento imbarazzato).
L'aneddotica sindacale è una chiave interessante invece per capirne di
più.
Sul Foglio dell'11
febbraio scorso, un magistrale pezzone sabbatico di Stefano Cingolani
(conflitto di interessi: chi scrive collabora col Foglio, mentre Marco
Ferrante è un valente Studio-so) raccontava che Ron Gettelfinger,
indimenticato capo della Uaw, United Auto Workers, il sindacato
dell'auto Usa, alla fine della trattativa lacrime e sangue che ha
portato all'accordo Fiat-Chrysler, in cui i sindacati hanno aderito a
condizioni molto peggiorative in termini di salari e di ore lavorate in
cambio di una partecipazione nell'azionariato della fabbrica, "rifiuta
di stringere la mano al rappresentante della Fiat".
Clark non solo
conferma l'episodio ma gli dà una tridimensionalità. "Tutto vero. Me
l'ha confermato Marchionne stesso. Nelle fasi più dure della trattativa,
Gettelfinger e Marchionne hanno un diverbio. Marchionne, che
notoriamente è un negoziatore ma non un diplomatico, dice una frase
precisa: "i sindacati devono abituarsi a una cultura della povertà".
Dice proprio così, "a culture of poverty". Gettelfinger diventa bianco,
più che rabbia è orgoglio ferito e offesa. "Gli risponde: lei non può
chiedere questo a un sindacato. A chi rappresenta operai che si stanno
giocando i loro fondi pensione. Marchionne mi ha detto di essersi non
proprio pentito, ma insomma...".
Sempre coi sindacati,
Clark racconta che col successore di Gettelfinger, General Hollifield,
volano parolacce irripetibili. Hollifield, primo afroamericano a
ricoprire un posto di prestigio nell'aristocrazia sindacale americana (è
vicepresidente della Uaw e delegato a trattare per la Chrysler) è grosso
e aggressivo quanto Gettelfinger è azzimato e composto. La trattativa
tra i due sembra un match tra scaricatori di porto. Con questi
presupposti, pare un po' difficile credere alle voci (riferite dal New
York Times e rimbalzate in Italia) secondo cui l'ad Fiat avrebbe pianto
alla visione dello spot patriottico Chrysler a di Clint Eastwood.
Anche qui Clark spiega
una sfumatura non banale. "No, non sarebbe strano. Marchionne è un uomo
molto emotivo. Non sarebbe la prima volta. Per esempio, quando il
presidente Obama annunciò il salvataggio Chrysler in televisione,
Marchionne era in un consiglio di amministrazione di Ubs a New York.
Vede la scena, si commuove e chiede di uscire dalla sala, per non farsi
vedere piangere.
Attenzione, però,
perché Marchionne non usa mai l'espressione "crying". Dice solo: "I
almost broke down". Almost. E al passato. E a rileggere il New York
Times, che racconta di come l'ad Fiat si sia commosso vedendo lo spot
insieme ai suoi concessionari, anche lì si racconta come lui chiede di
uscire dalla stanza, ha gli occhi lucidi. Ma nessuno lo vede poi
realmente piangere. "Per lui piangere è un valore" dice Clark. Piangere
va bene, perché significa tenerci molto a una cosa". Sembra sempre che
stia per piangere, ma a ben vedere nessuno l'ha mai visto in azione.
"Sì, è emotivo, ma non è sentimentale".
Famiglia Agnelli
Piangere va bene ma è
meglio se lo fanno gli altri. Come Laura Soave, capo di Fiat Usa,
"mamma" dello sbarco della 500 in America. Per la manager italiana,
Marchionne organizza una strana carrambata. Salone di Los Angeles 2010:
Soave decide di utilizzare per il lancio una gigantografia di una sua
vecchia foto da bambina, in cui lei siede proprio nella storica 500
arancio di famiglia.
Ma Marchionne, a sua
insaputa, e come un autore Rai, fa arrivare da Napoli i suoi genitori,
che appaiono all'improvviso nel bel mezzo dello show. Lei piange, il suo
amministratore delegato è molto soddisfatto. (Poi dopo qualche mese la
Soave verrà licenziata in tronco, episodio frequente nell'epica
marchionniana).
À rebours. In fondo il
libro si chiama Mondo Agnelli. Incombe il decennale, tocca fare la
fatidica domanda: differenze-similitudini tra Marchionne e l'Avvocato.
"Marchionne è considerato molto esotico, qui. Lo era già prima, con quei
maglioncini e quell'accento, ma adesso lo è ancora di più con il nuovo
look barbuto. Poi fa battute, scherza con gli operai e coi giornalisti,
conosce il suo potere sui media e lo esercita consapevolmente. In questo
è simile all'Avvocato. Ma anche a Walter Chrysler, il fondatore del
gruppo. Poi Si staglia sul grigiore. Bisogna pensare che come alla Fiat
i dirigenti erano tutti torinesi, qui in Chrysler sono tutti del
midwest".
"Però in America pochi
si ricordano di Gianni Agnelli. Ormai le nuove generazioni non sanno
nulla. Devo spiegare che l'Avvocato era amico dei Ford e dei Kennedy per
suscitare qualche vago ricordo. A una presentazione a New York, quando
ho detto che la Fiat è più antica della Ford, la gente era veramente
stupita". Nessuno si immaginerebbe che il Senatore Giovanni Agnelli nel
1906 aprì la sua prima concessionaria americana a Manhattan, Broadway.
Ma tra i ricordi
agnelliani, la parte più interessante del libro di Jennifer Clark è
forse quella che riguarda gli ultimi giorni di Edoardo, il figlio
sfortunato di Gianni, morto suicida nel 2000. La giornalista Reuters è
andata a spulciarsi le carte della polizia torinese, perché
un'inchiesta, per quanto veloce e riservata, vi fu. I dettagli sono
tristi e grotteschi: Edoardo che non ha un numero privato del padre, e
per parlarci deve passare a forza per il centralino di casa Agnelli; le
sue ultime chiamate con il suo uomo di scorta, Gilberto Ghedini, a cui
chiede piccole incombenze, come spostare l'appuntamento col dentista.
Una telefonata ad
Alberto Bini, una sorta di amico-tutore che da dieci anni lo segue
giornalmente dopo l'arresto per droga in Kenya nel 1990. Le
conversazioni quotidiane di teologia islamica con Hussein, mercante
iraniano di tappeti di stanza a Torino. È molto preoccupato per le sue
finanze, cosa di cui mette al corrente il cugino Lupo Rattazzi,
incredulo.
Manda qualche mail (le
password dei suoi account, come ricostruisce l'indagine della polizia,
sono "Amon Ra", "Sun Ra" e "Jedi"). L'ultimo file visualizzato sul suo
computer è una pagina web su Nostradamus. Poi, la lenta preparazione:
per tre giorni di fila, Edoardo si alza presto, si veste accuratamente,
guida la sua Croma blindata fino al ponte sulla Torino-Savona da cui si
butterà il 15 novembre. Tre giorni prima, consegna a suo padre e a una
persona di servizio particolarmente cara una sua foto. E' su un ponte,
con un vestito formale, un leggero sorriso. "Voglio essere ricordato
così", dice alla persona di servizio.
SE VUOI COMPERARE IL
LIBRO SUL SUICIDIO SOSPETTO DI EDOARDO AGNELLI A 10 euro manda email
all'editore (info@edizionikoine.it)
indicando che hai letto questo prezzo su questo sito , indicando il tuo
nome cognome indirizzo codice fiscale , il libro ti verrà inviato per
contrassegno che pagherai alla consegna.
TORINO 24.09.10
GENTILE SIGNOR DIRETTORE
GENERALE RAI
CONSIDERAZIONI SULLA
TRASMISSIONE DI MINOLI LA STORIA SIAMO NOI SU “EDOARDO AGNELLI” DEL
23.09.10.
1) Minoli dichiara più volte che intende fare
chiarezza per chiudere il caso, ma senza un vero e proprio
confronto-analisi verifica sulla compatibilità degli elementi con il
suicidio in quanto :
a) dall’esame esterno effettuato dal dott.
Ellena e dopo consultazione del Manuale di Medicina Legale –
Macchiarelli-Feola (che attualmente è il migliore in commercio), oltre
che di altri libri di medicina legale un po’ più datati possono
formulare le seguenti considerazioni:
“E’ esperienza comune
come possano osservarsi lesioni più gravi in caso di precipitazione di
un corpo di peso relativamente esiguo (ad esempio di un bambino) da
un’altezza non eccessivamente elevata (1° o 2° piano di un palazzo)
quando l’impatto si verifichi contro la superficie dura di un cortile o
di un selciato, rispetto a quelle rilevabili in caso di precipitazione
del corpo di un soggetto adulto (dunque di peso maggiore) da un’altezza
superiore ai 10 metri su neve, terreni erbosi e sabbiosi o in acque
sufficientemente profonde”
“L’arresto del corpo
nella sede di impatto non è accompagnato da un arresto simultaneo di
tutti gli organi interni, i quali proseguono per inerzia il loro
movimento subendo lacerazioni o distacchi a livello dell’apparato di
sostegno”
“Nel caso di
precipitazioni su tutta la lunghezza del corpo (tipica delle grandi
altezze), è comune la presenza di fratture costali multiple e dello
sterno, fratture degli arti (monolaterali in caso di impatto al suolo su
un fianco), del cranio e del bacino. Si associano invariabilmente gravi
lesioni interne da decelerazione,oppure provocate da monconi ossei
costali procidenti nella cavità toracica”
“Le lesioni esterne
cutanee sono di norma di scarsa entità. Quando rilevabili sono
caratterizzate da contusioni, ferite lacere e lacero-contuse che si
producono soprattutto quando il corpo, nella caduta, incontra ostacoli
intermedi (ringhiere, fili tesi, cornicioni, rami d’albero.
Talora la presenza di
indumenti pesanti può far mancare o può attenuare le lesioni cutanee da
impatto diretto contro la superficie d’arresto”
Nell’esame esterno, il
dott. Ellena riscontrava le seguenti lesioni:
-
Capo: ferite diffuse al capo e al volto con lacerazioni
cutanee profonde. In sede frontale sn frattura cranica con piccola
breccia e fuoriuscita di modesta quantità di encefalo. Frattura ossa
nasali.
Tali lesioni sono
indice di una caduta con la faccia a terra, quindi con il corpo riverso
bocconi.
-
Torace: escoriazioni multiple. Escoriazione ad impronta
(collana) alla base del collo. Fratture costali multiple maggiori a sn.
Cosa c’entra
l’escoriazione a collana alla base del collo? L’escoriazione è un
fenomeno vitale (tentativo di strangolamento?)
-
Addome: escoriazioni multiple
L’escoriazione è
normalmente conseguente ad uno strisciamento di un corpo contundente
contro la cute. Come possono essersi formate delle escoriazioni
sull’addome in un soggetto precipitato e, per di più, vestito?
-
Arto superiore dx: minima escoriazione al polso ed al
palmo della mano.
Può essere
compatibile con una caduta di questo tipo
-
Arto superiore sn: ferita perforante dorso avambraccio.
FLC multiple alla mano sn faccia mediale esterna.
Come se le è
procurate? Era vestito con le maniche lunghe?
Deve esserci una
perforazione del vestito oppure la perforazione dall’interno a seguito
di frattura scomposta avambraccio
-
Arto inferiore dx: escoriazioni diffuse faccia mediale
interna
Valgono le stesse
considerazioni fatte per l’addome. Oltretutto qui si parla di interno
coscia presumibilmente
Da quello che si
desume sembrerebbe che il corpo sia caduto sul lato sinistro. Ma allora
è caduto di faccia o di lato? Perché se è caduto di lato la lesione
profonda in sede frontale sn è incompatibile con una caduta di lato. E
poi com’era la frattura frontale sn? A stampo? E se era a stampo qual è
l’oggetto che ha determinato tale forma di frattura?
-
Varie: Frattura osso mascellare. Otorragia dx.
Preternaturalità del capo da frattura vertebre cervicali.
Osso mascellare
quale? Destro o sinistro? L’otorragia è un segno tipico di traumi
cranici gravi. Le fratture vertebrali cervicali sono segno di una
precipitazione cefalica e sono associate a gravi traumi cranici (es.
fratture a scoppio del cranio).
Direi che di materiale
ce n’è abbastanza da chiedere a Garofalo e Testi di ricostruire l’esatta
dinamica della precipitazione.
b) Il dipendente dell’autostrada non poteva
vedere un bel niente da sopra per il cono d’ombra del ponte , mentre il
pastore poteva vedere tutto perché sotto. Solo che gli orari non
collimano . Quindi un ex-carabinere indica come sua prassi professionale
“non affidabili dei tesi” . Ignora che questo e’ il ruolo del giudice
non dell’inquirente ? E’ per lui qual’e’ la prova scientifica ? la
“abbastanza ortogonalità” fra auto e corpo ? non sa che esistono i gps
per cui tale ortogonalità può essere ricreata ? Inoltre come fa a trarre
indicazioni da una scena del delitto solo fotografata ? Come fa a vedere
la tridimensionalità dell’impronta ? Ed analizzare il sangue? Perché non
parla della terra stretta nelle mani di E.A? Come fa a raccoglierla se
muore sul colpo? Da dove proveniva?
c)Il medico Testa come fa da una foto ad
individuare i traumi interni ? Se cosi fosse potremmo risparmiare soldi
e radiazioni ! come fa a paragonare la caduta in un aereo a quella da un
ponte ? 6 mesi dopo chi e’ stato ritrovato li sotto , ha visto
l’autopsia ?
d)Il cranio di E.A potrebbe essere stato
colpito anche da uno dei tanti sassi presenti sul terreno, visto che la
foto trasmessa ne faceva vedere proprio uno li.
e)come mai il magistrato prima di chiudere il
caso autorizza il funerale ?
f)io non ho mai sostenuto che E.A sia stato
buttato giù ma che lui li non sia mai salito ma sia stato trasportato
forse strangolato , viste le echimosi sul collo .
g)certo lo collana non provoca echimosi
perché un frega cadendo da 73 metri.
2)autosuggestione non può averla il pastore
ma solo quelli vogliono dare spiegazioni diverse al fine di ignorare i
fatti , come Gelasio, Lapo, i medici interpellati e l’ex-carabiniere in
quanto :
a) non esistono prove che abbia chiamato gli
amici il giorno prima , per dirgli cosa , a che ora , con che tono ?
b)inoltre non risulta da alcun atto
d’indagine che in mattinata abbia sentito il padre G.A anche perché
proprio il padre perche Edoardo non lo chiamasse aveva tolto la
possibile selezione diretta dagli interni di Edoardo.
c)A me stesso Carlo Caracciolo editore gruppo
REPUBBLICA-ESPRESSO, aveva detto che E.A gli aveva telefonato, ma non
gli ho mai creduto in quanto se avesse voluto ricostruire la verità ne
aveva tutti i mezzi ma non lo ha mai voluto fare nonostante io lo abbia
chiesto a lui ed al suo socio De Benedetti per 10 anni !
d)Gelasio fa un discorso senza logica si
commenta da se !
e)Ravera ha sbagliato altezza e peso ed ha
visto la buca nel terreno ?
f)Un impatto a 150 km ora di un auto fatta
per assorbire gli urti la distrugge, il corpo umano no, allora facciamo
le auto senza carrozzeria sono più sicure !
g)Certo che e possibile scavalcare il
parapetto dell’’autostrada ma dipende dalla forma fisica ed E.A non era
in forma fisica per farlo, se no il dr.Sodero cosa lo curava a fare se
non ne avesse avuto bisogno !
h)Se E.A per scavalcare il parapetto si fosse
aiutato con l’auto , come dice Sodero, come mai mancavano impronte ?
Forse Testa ha una soluzione anche a questo: la lievitazione magnetica
di E.A !
i)Del tutto illogico il ragionamento di
Tiziana : in preda a stato di esaltazione si butta giu’ ? con giri per 3
giorni ? e con 2 passaggi ? anche su questa stendiamo un velo pietoso
come sul monologo di Lapo trasmesso senza alcuna pietà umana ! Pur di
raggiungere i suoi fini Minoli da sempre non guarda in faccia a nessuno!
j)Sodero e Gelasio poi danno 2 chiavi di
lettura opposte : Sodero dice che E.A aveva paura del dolore
fisico , e pur essendo un paracadutista di getta, sapendo che poteva
farsi molto male ! Infatti riesce ancora a stringere in un pugno una
terra che non si e’ mai saputo da dove arriva ? Mi ricorda la tesi della
pallottola di Kennedy !
k)Minoli poi afferma che non e’ vero che E.A
non voleva entrare nella Dicembre e che ne chiede di farne parte ?
i.Se lui non firma un documento non chiede un
bel nulla
ii.Il documento lo hanno preparato legali e
notaio
iii.Gelasio e Lupo affermano che non voleva
entrare nella Dicembre
iv.Altro indice di superficiale faziosità di
Minoli che non legge che la Dicembre non e’ una accomandita e non vi
sono tutti gli Agnelli !
v.Come non corregge neppure l’errore
riconosciuto che Romiti dal 96 al 98 era Presidente Fiat no ad.
vi.Mi domando chi preparasse a Minoli le
interviste ai potenti dell’economia ! Forse ora non lo assiste piu’
troppo bravo per lui ?
Concludo quindi
logicamente che mi sembra dimostrato che Minoli non abbia chiarito tutto
anzi la vera incompatibilità e’ fra il suicidio e gli elementi
raffazzonati in modo del tutto approssimativo e confutabile gia’ sopra e
come e quando vuole. Molte cordialita’.
MARCO BAVA
EDOARDO AGNELLI? SOLO "UN CARATTERE COMPLESSO"...
Ritagliare e incorniciare la bella paginata della Stampa di
Torino dedicata a Edoardo Agnelli (p.21), del quale tocca
parlare solo perché giovedì va in onda un documentario di Minoli
su RaiDue. Splendida la sintesi dei sommarietti. "Il giallo: per
anni sono circolate ipotesi di complotti e teorie su un
omicidio". "La conclusione: ma le risposte si trovano nelle
pieghe personali di un carattere complesso". Ah, ecco.
20-09-2010]
1- ALL’INDOMANI DELLA PUNTATA DE "LA STORIA SIAMO
NOI" DI MINOLI SCOPPIA IL FINIMONDO - "ADESSO SI METTONO A
CONFUTARE ANCHE LE POCHE COSE SICURE. E TRA QUESTE CE N’É UNA
CHE NESSUNO PUÒ E POTRÀ MAI CONTESTARE: L’AUTOPSIA SUL CORPO DI
- EDOARDO AGNELLI NON VENNE ESEGUITA. NEL VERBALE SI PARLA DI
“ESAME ESTERNO” - 2- TUTTI ERANO CONVINTI DEL SUICIDIO E NON SI
PRESERO IN CONSIDERAZIONE ALTRE IPOTESI. "IL CORPO ERA
APPARENTEMENTE INTATTO, A PARTE UNA FERITA ALLA NUCA" ED È
STRANO PER UN CORPO DI CIRCA 120 KG DOPO UN VOLO DI 80 METRI. IL
MEDICO AGGIUNGE DI AVER NOTATO UNA SOLA “STRANEZZA”: "FU DATA
L’AUTORIZZAZIONE ALLA SEPOLTURA IMMEDIATAMENTE" - 3- NON ESISTE
LA PROVA CHE SIA STATO GIANNI AGNELLI A “PREGARE” CHE L’AUTOPSIA
NON VENISSE FATTA PROPRIO PER EVITARE DI AVERE LA CONFERMA
UFFICIALE E PUBBLICA CHE SUO FIGLIO ERA UN TOSSICO-DIPENDENTE E
CHE FORSE QUELLA MATTINA ERA IN PREDA ALLA DROGA
«Adesso si mettono a confutare anche le poche
cose sicure. E tra queste ce n'é una che nessuno può e potrà mai
contestare: l'autopsia sul corpo di Edoardo Agnelli non venne
eseguita. Misteriosamente, incredibilmente, assurdamente. Ci fu
solo un sommario esame medico esterno, durato poco più di
un'ora. Ed eseguito da un medico che venne chiamato dal
Procuratore della Repubblica nonostante in servizio quella
tragica mattina ci fosse un altro medico legale».
E, altrettanto inspiegabilmente, da parte di
qualcuno c'era molta fretta per avere il nulla osta per la
sepoltura in modo da poter portare via al più presto il
cadavere. Fonti vicine alla famiglia - "quella vera di Edoardo e
di Gianni Agnelli, e non quelle che si sono "infilate" in questa
storia senza averne alcun titolo e che sono state intervistate
dalla Rai" che sembra aver volutamente trascurato e ignorato chi
sa echi potrebbe parlare - rispondono con indignazione a una
nota dell'Ansa diffusa nel pomeriggio di ieri.
Nel dispaccio, che cita anonime «fonti
investigative» - che qualcuno fa risalire a chi quel giorno
coordinava e guidava le prime indagini «soprattutto dall'esterno
e che in seguito ha fatto una sfolgorante carriera...» - si
affermano tre cose: l'autopsia venne effettuata, lo fu «per
espressa volontà dell'Avvocato Agnelli», durò «oltre tre ore»,
fu un'autopsia accurata «proprio in considerazione del fatto che
nulla doveva essere trascurato», all'esame autoptico era
presente il Procuratore della Repubblica di Mondovì. È difficile
trovare una serie di false affermazioni come in quelle poche
righe. Tutto è facilmente confutabile. Vediamo, attraverso gli
atti come andarono veramente le cose.
NIENTE
AUTOPSIA
- Il 23 novembre 2000, otto giorni dopo la morte di Edoardo, il
dottor Mario Ellena, genovese che oggi ha 53 anni, medico presso
la ASL 17 di Savigliano (Cuneo), viene convocato dal Procuratore
Bausone per essere interrogato. Si limita a presentare una breve
memoria "a integrazione del verbale dell'esame esterno del
cadavere di Edoardo Agnelli". Nel verbale dunque si parla di
"esame esterno" e non di autopsia. Il medico nella sua breve
memoria, scrive di aver effettuato un primo sopralluogo a
Fossano sotto il viadotto della morte «alle ore 14,30 circa».
«Terminati gli accertamenti sul posto, disponevo
il trasferimento della salma presso l'obitorio comunale di
Fossano al fine di effettuare l'esame esterno del cadavere,
conclusosi alle 16,30». La memoria è composta di appena 17
righe: solo tre dedicate alle cause della morte, altre quattro
il medico le dedica a spiegare che cosa avrebbe "visto" dentro
il corpo di Edoardo se avesse eseguito l'autopsia: «L'eventuale
esame autoptico avrebbe sicuramente evidenziato lesioni
viscerali solo ipotizzabili dall'esame esterno, ma non avrebbe
apportato nessun ulteriore elemento circa l'individuazione della
causa di morte che, come già verbalizzato, è da ricondurre ad un
grave trauma cranio-facciale e toracico in grande precipitato».
Quindi in due precise circostanze, di suo pugno,
sotto giuramento e in una memoria scritta il Dr. Ellena afferma
di aver eseguito un semplice "esame esterno". Non gli
importavano altre analisi, altre prove, il prelievo di campioni,
l'accertamento di eventuali sostanze nel sangue.
UN'ORA
INVECE DI TRE
- Il sorprendente dispaccio dell'Ansa parla,
addirittura nel titolo, di un'autopsia durata "oltre tre ore".
Non è vero. Lo stesso Dr. Ellena in un altro documento, stilato
il 15 novembre (giorno della morte di Edoardo) - documento che
fa parte del fascicolo della ASL 17 - firma l'"esito della
visita necroscopica eseguita sul cadavere appartenuto in vita a
Agnelli Edoardo". Il medico scrive che «l'esame esterno del
corpo di Edoardo è cominciato alle 15,15 nella camera mortuaria
del cimitero. La morte si ritiene risalga alle ore 11,00 e fu
conseguenza di trauma cranio-facciale e toracico da grande
precipitazione».
Dunque alle 14,30 il dr. Ellena ha compiuto il
primo sopralluogo sotto il viadotto, poi è andato alla camera
mortuaria, alle 15,15 ha cominciato l'esame esterno del
cadavere, alle 16,30 - come ha scritto otto giorni dopo nella
memoria consegnata in Procura - afferma di aver terminato. Ha
impiegato solo un'ora e un quarto. E non "oltre tre ore". È
davvero portentoso come il dr. Ellena sia riuscito nel breve
lasso di tempo fra le 14,30 e le 15,15 a esaminare il corpo
sotto il viadotto, stilare un primo referto, parlare con gli
inquirenti, dare or- dine di trasferire il cadavere alla
"morgue", salire in auto, arrivare nella camera mortuaria
cominciare l'esame necroscopico.
Tutto è possibile ma tra il luogo della morte e
il cimitero di Fossano ci vogliono almeno venti minuti di auto e
i necrofori delle pompe funebri locali hanno certo corso non
poco per raccogliere il cadavere con tutte le cautele del caso,
caricarlo sul furgone, trasportarlo senza troppe scosse (vista
la strada di campagna), scaricarlo al cimitero, portarlo nella
camera mortuaria, stenderlo sul marmo e spogliarlo. Il tutto in
tre quarti d'ora dal viadotto alla morgue. Il dr. Ellena non
chiarisce un altro mistero.
Nel primo esame del cadavere, stilato dal medico
del 118, l'altezza di Edoardo è indicata in 1,75 metri (anziché
1,90) e il peso in 80 kg (anziché 120). Ellena conferma anche in
un'altra sede che non fu eseguita l'autopsia. Nell'intervista a
Giuseppe Puppo, autore del libro "Ottanta metri di mistero"
(Koinè Edizioni, febbraio 2009), il medico racconta che venne
chiamato molto tardi («dopo l'ora di pranzo», mentre Edoardo era
stato trovato prima delle undici), e arrivò sul posto verso le
15, anche se nel referto aveva scritto alle 14,30. «Gli
inquirenti della Polizia mi dissero che per loro non c'erano
problemi, era tutto chiaro».
LE
STRANEZZE -
Insomma tutti erano convinti del suicidio e non si presero in
considerazione altre ipotesi. «Il corpo era apparentemente
intatto, a parte una ferita alla nuca». Ed è strano per un corpo
di circa 120 kg dopo un volo di 80 metri. Il medico aggiunge di
aver notato una sola "stranezza": «Fu data l'autorizzazione alla
sepoltura immediatamente». Ma l'autopsia venne eseguita o no?
«Questo lo deve chiedere al Magistrato. Il mio compito era
quello di eseguire un esame esterno sul cadavere e di fornire,
se possibile, una diagnosi di morte». Già, ma lei avrebbe potuto
consigliare l'autopsia: perché non lo fece?
«Perché gli inquirenti mi sembrarono concordi e
sicuri sul suicidio e perché io non trovai proprio niente di
strano, o di contrario». Il giornalista sottolinea che Edoardo
era alto 1,90 ma sul referto c'era scritto 1,75 e quindi il
cadavere non è stato neanche misurato: «Beh, mi sembra
ininfluente. È più che probabile che si sia trattato di una
stima ad occhio... È possibile che mi sia sbagliato... Ma non
c'entra niente con tutto il resto, che è invece importante». Dal
libro di Puppo emerge un altro particolare. Il medico legale in
servizio quella mattina era Carlo Boscardini, 48 anni,
specialista in medicina legale, psichiatra forense, dottore in
giurisprudenza.
«Io non ho eseguito nessun esame e non ho visto
il cadavere di Edoardo Agnelli - dice il medico -. Ero in
servizio, il medico di turno viene chiamato dal magi- strato, il
quale, ne può chiamare anche un altro di sua fiducia. Ero a
Fossano, impegnato in colloqui sociosanitari per delle adozioni.
Seppi l'accaduto da alcune telefonate, all'ora di pranzo e in
cuor mio mi preparai ad essere convocato. Invece nessuno mi
chiamò».
E il dottor Ellena? «Era il mio superiore
gerarchico all'ASL di Savigliano. Fu lui a firmare il
certificato di morte, l'esame medico legale. Avendo
evidentemente saputo prima di me dell'accaduto, si precipitò sul
posto e furono affidate a lui le incombenze professionali. Io ho
intravisto quel certificato di morte. Qualche giorno dopo il
dottor Ellena venne da me e mi sventolò i fogli che aveva
preparato, chiedendomi se potevo darci un'occhiata. Mi rifiutai
di farlo, dal momento che non ritenevo opportuno correggere o
modificare la relazione di un'ispezione cadaverica mai
eseguita".
Ma perché non fu eseguita l'autopsia? "Per ché si
trattava di Edoardo Agnelli. Lo chieda al magistrato...». È
l'unico che può deciderla. «In casi simili viene quasi sempre
decisa, magari anche per una semplice precauzione, come a
coprirsi le spalle, da parte del magistrato. Ricordo un caso in
cui trovammo un suicida con la pistola in mano, dopo che si era
sparato un colpo in bocca e il magistrato decise lo stesso che
doveva essere eseguita l'autopsia.... Il medico legale non può
decidere l'autopsia, al massimo può suggerirla, altrimenti si
deve attenere a quanto il magistrato dispone».
Edoardo stringe- va tra le mani della terra: è
possibile dopo un simile volo che ci siano ancora funzioni
vitali tali da muovere le dita? «Lo escludo nella maniera più
assoluta. Quel luogo, fangoso, può al massimo attutire i segni
evidenti dell'impatto, ma dopo un impatto da una simile altezza
la morte è immediata». Il corpo di Edoardo aveva anche i
mocassini ancora ai piedi? È possibile? «È piuttosto raro. Un
paio di volte ho esaminato cadaveri di persone precipitate in
montagna, ebbene le abbiamo ritrovate senza scarponi nei piedi».
Il procuratore Bausone, che ha 77 anni ed è in
pensione dal giugno 2008, ha sempre respinto ogni richiesta dei
giornalisti di esaminare il fascicolo sulla morte di Edoardo. In
una lettera scrive che «gli atti non possono essere pubblicati»
poiché ancor oggi coperti dal segreto istruttorio. Noi abbiamo
esaminato il fascicolo e il mistero sulla morte e sulle indagini
si infittisce ancora di più...
L'AVVOCATO
- Chi, dunque, ha informato l'ANSA che l'autopsia venne eseguita
«per espressa volontà dell'Avvocato Agnelli», ha inventato
tutto. Se l'autopsia non c'è stata - e lo abbiamo provato -
evidentemente non c'era nemmeno una "espressa volontà", o un
"ordine" del papà del defunto, affinché ciò avvenisse. Se
l'Avvocato avesse chiesto un simile "favore" non è difficile
prevedere che sarebbe stato ascoltato. Ma il problema, in questi
casi, non è la volontà o meno del padre del defunto: è la
volontà o meno di fare chiarezza. E c'è da ritenere che non si
volessero aprire i poveri resti di Edoardo ed esaminarne le
viscere, non per un rispetto per quel povero corpo non così
martoriato come un simile volo farebbe pensare, ma per evitare
di scoprire quali sostanze ci fossero nel suo corpo o nel suo
sangue.
Non esiste la prova che sia stato Gianni Agnelli
a "pregare" che l'autopsia non venisse fatta proprio per evitare
di avere la conferma ufficiale e pubblica che suo figlio era un
tossico-dipendente e che forse quella mattina era in preda alla
droga. Ma le esigenze di un padre e quelle della giustizia
spesso divergono e queste ultime devono, o dovrebbero, sempre
prevalere. Altrimenti dieci anni dopo, «anche se John Elkann ci
ha aperto tutte le porte» - come ha detto Giovanni Minoli nel
presentare la puntata de "la Storia siamo noi" realizzata non da
lui ma da due bravi giornalisti - si rischia di far cadere sul
Nonno qualche atroce sospetto postumo, invece di onorarne la
memoria.
Gli Agnelli e quella società fantasma per la legge italiana
La 'Dicembre', fondata nel 1984, ha una visura falsa oppure
vecchia di 30 anni. Dall'ostracismo a Edoardo al potere di John:
quanti intrighi dietro la società.
Quando ha letto suRepubblicache
la società 'Dicembre' della famiglia Agnelli era controllata da
John, Lapo e Ginevra Elkann, Gigi Moncalvo, autore di tre libri
sul patrimonio dei proprietari della Fiat ora Fca (Agnelli
Segreti,I
Lupi e gli AgnellieI
Caracciolo),
ha fatto un salto sulla sedia: «Una balla colossale, un primo
caso di piaggeria del quotidiano di Eugenio Scalfari nei
confronti dei nuovi proprietari».
Del resto, la Dicembre, la prima scatola cinese e “controllante”
dell'impero Agnelli, poi distribuito tra Giovanni Agnelli & co,
Exor e Fca, è un rebus difficile da risolvere.
Anzi, è una vera e propria storia all'italiana di come una delle
famiglie più importanti del Paese abbia potuto concludere affari
nella totale omertà e compiacenza delle istituzioni per più di
30 anni.
DATI RISALENTI A 30 ANNI FA.Ora
le società degli Agnelli stanno migrando in Olanda ma dal 1984,
anno di fondazione della Dicembre, nessuno ha potuto mai sapere
chi fossero i soci e le rispettive quote della cassaforte di
famiglia.
Ancora adesso, se si fa una ricerca alla Camera di commercio,
compare una visura con dati risalenti appunto a tre decenni fa.
E pensare che nel 2015 il presidente della Camera di commercio
di Torino, Vincenzo Ilotte, ha premiato Gianluigi Gabetti,
azionista della Dicembre, come Torinese dell'anno.
Moncalvo, che ha lavorato a lungo sulla vicenda, l'ha
ricostruita passo dopo passo, incrociando inchieste della
procura di Milano e disposizioni testamentarie dell'Avvocato.
ALLA NASCITA CAPITALE DI 100 MLN DI LIRE. L'atto
costitutivo della società è del 15 dicembre 1984.
Risulta che il capitale sia poco inferiore ai 100 milioni di
lire (99.980.000).
I soci sono Gianni Agnelli (99,96 milioni di lire), Marella
Caracciolo (10 mila lire), Umberto Agnelli (1.000 lire),
Gianluigi Gabetti (1.000 lire), Cesare Romiti (1.000 lire).
Il 13 giugno 1989, con un nuovo atto del notaio Ettore Morone,
al culmine della guerra tra Umberto e Romiti, l'Avvocato farà
uscire entrambi dalla Dicembre e le loro due azioni passeranno a
Franzo Grande Stevens e a sua figlia Cristina (che ha solo 29
anni).
MONCALVO: «AZIONARIATO FALSO O VECCHIO».Da
notare, spiega Moncalvo, che «Agnelli preferirà dare un'azione a
Cristina e suo padre piuttosto che far entrare i suoi due figli,
Edoardo e Margherita».
Questa uscita di Romiti dall'azionariato, «avvenuta nel 1989 e
ciononostante ancora presente tutt’oggi nei documenti ufficiali,
è una delle prove che nel 2016 nel registro delle imprese presso
la Camera di commercio di Torino il dato sull'azionariato della
Dicembre è falso o vecchio».
John, presidente di Fca, il principale azionista, non è nemmeno
indicato in quel registro in cui ogni società, per legge,
dovrebbe comunicare ogni variazione societaria, statutaria e
azionaria..Un nuovo atto del 3 aprile 1996 registra l’ingresso
tra i soci di John e sua madre Margherita, entrambi con azioni
pari a 5 miliardi di lire.
La quota di Marella sale da 10 mila lire a 5 miliardi e 10 mila
lire.
Ed entra un altro nuovo socio, Cesare Ferrero, con una azione.
IL 25% A GIANNI AGNELLI. Gianni
Agnelli, oltre al suo 25%, mantiene per sè l'usufrutto delle tre
quote di moglie, figlia e nipote.
«C'è da notare l'articolo 7 dello statuto», evidenzia Moncalvo,
«sulla successione di un socio. È quello inserito per impedire
che Edoardo, in caso di morte del padre, possa ereditare di
diritto una quota della Dicembre ed entrare tra gli azionisti.
È una norma contraria al diritto successorio italiano che
prevede la legittima per gli eredi. Lo stesso Edoardo aveva
detto che, in caso di morte del padre, avrebbe fatto valere i
suoi diritti successori previsti dalla legge».
Tuttavia, non ci sarà bisogno dell'articolo 7, perché Edoardo
morirà nel 2000, tre anni prima di Gianni.
LO STRAPOTERE DI JOHN ELKANN. Ma
non è tutto. «Va evidenziato anche l'articolo 8, per le cessioni
delle quote a terzi», prosegue Moncalvo. «Nel caso in cui John
volesse lasciare quote a sua moglie e ai suoi figli, sarebbero
necessari due voti dei soci principali, cioè il suo e quello di
Marella, e due degli altri quattro. Ma Marella è molto anziana:
se non fosse in condizioni buone di salute e per caso dovesse
morire, dove troverebbe John il secondo voto che gli è
necessario per far entrare nuovi soci?».
La storia non finisce qui. Grazie al raffronto dei modelli unici
presentati all'Agenzia delle entrate dal 2002 al 2007 si riesce
a capire come è cambiato l'azionariato in aeguito alla morte
dell'Avvocato.
Dopo il 24 gennaio 2003, infatti, vengono modificati i patti
sociali.
LA MODIFICA ALL'ARTICOLO 7. In
questo documento c'è la nuova composizione azionaria (prima che
Margherita venga liquidata) e la modifica importantissima
dell'articolo 7.
«È importante», spiega Moncalvo, «perché prevede che solo i
figli di John (ma non sua moglie) potranno subentrare nella
quota societaria del padre, ma soltanto quando questi morirà. La
moglie potrà avere denaro (e poco in relazione al valore
effettivo della Dicembre) quando resterà vedova».
In deroga a ciò, Lavinia Elkann potrà entrare nella Dicembre
purchè non si sia separata e «a condizione che vi acconsentano
le maggioranze previste per le modifiche dei presenti patti
sociali».
Con John in vita, invece, non può entrare nessun nuovo socio.
41 MLN DI PLUSVALENZA, 6 EURO DI CAPITALE. Infine
si arriva al 2008, cioè all'ultima dichiarazione dei redditi
nota, allegata agli atti dell'inchiesta dei pm Eugenio Fusco e
Gaetano Ruta, poi archiviata per mancanza di collaborazione
delle autorità giudiziarie svizzere.
Da questo documento emerge che gli azionisti sono John
(58,706%), Marella (41,294%), Ferrero, Gabetti e i due Franzo
Grande Stevens (un'azione ciascuno).
Spiega Moncalvo: «Quello è il primo anno, dopo la morte di
Agnelli, in cui la Dicembre dichiara al fisco una plusvalenza:
ammonta a 41.442.655 euro, di cui imponibili per 25.245.883, per
una tassazione di 3.155.735 euro. Nella visura della Camera di
commercio questa società, che nel 2007 sul 2006 ha avuto una
plusvalenza di 41 milioni, ha un capitale sociale di appena 6,20
euro, diviso tra Marella con 10 azioni e Gabetti e Romiti con
una…».
DINASTIA DELLE
QUATTRORUOTE
A “Dicembre”
i segreti degli Agnelli
Scritto da Gigi
Moncalvo
Pubblicato Giovedì 11 Ottobre 2012, ore 7,50
È in cima alla
catena di comando che controlla Fiat, ma per 17 anni è stata
“fuorilegge”. E non è l’unica stranezza. Viaggio in tre puntate di Gigi
Moncalvo nel sancta sanctorum della Famiglia
E pensare che
parlano, ogni due per tre, di trasparenza, limpidezza, casa di vetro,
etica, valori morali. In quale categoria può essere catalogato ciò che
stiamo per raccontare, e che solo su queste pagine web potete leggere?
E’ una storia che riguarda la “cassaforte di famiglia”, cioè la “Dicembre
società semplice”, che detiene – tanto per fare un
esempio - il 33%, dell’“Accomandita
Giovanni Agnelli & C. Sapaz”, cioè controlla quella
gallina dalle uova d’oro che quest’anno ha consentito agli “eredi” -
senza distinzioni tra bravi e sfaccendati – di spartirsi 24,1 milioni di
euro (rispetto ai 18 milioni del 2011) su un utile di 52,4. “Dicembre”
di fatto è la scatola di controllo dell'impero di famiglia, ed è dunque
– proprio attraverso l’Accomandita - l'azionista di riferimento di Exor,
la superholding del gruppo
Fiat-Chrysler.
Non ci
crederete ma la “Dicembre”, nonostante questo pedigree, fino al luglio
scorso non risultava nemmeno nel Registro delle Imprese della Camera di Commercio di Torino,
nonostante la legge ne imponesse l’iscrizione. La “Dicembre” è una delle
società più importanti del paese, dato che, controllando dall’alto la
piramide dell’intero Gruppo Fiat, ha ricevuto dallo Stato centinaia di
miliardi di euro di fondi pubblici. Ebbene per i registri ufficiali
dell’ente presieduto da
Alessandro Barberis, un uomo-Fiat, non... esisteva.
Quindi lo Stato erogava miliardi a una società la cui “madre” non
risultava nemmeno dai registri e che ha violato per anni la legge.
“Dicembre” è
stata costituita il 15 dicembre 1984 con sede in via del Carmine 2 a
Torino (presso la Fiduciaria FIDAM di Franzo Grande Stevens),
un capitale di 99,9 milioni di lire e cinque soci: GiovanniAgnelli (col 99,9% di
quote), sua moglie Marella
Agnelli (10 azioni per un totale di 10 mila lire) e
infine Umberto Agnelli,
Gianluigi Gabetti e Cesare Romiti,
con una azione ciascuno da mille lire. Come si vede fin dall’inizio
Gianni Agnelli considerava la “Dicembre” appannaggio del proprio ramo
famigliare. Poco più di quattro anni dopo, il 13 giugno 1989, c’è un
primo colpo di scena: escono Umberto e Romiti e vengono sostituiti da
Franzo Grande Stevens e da sua figlia Cristina. Gianni
Agnelli “dimentica” di avere due figli, Edoardo e Margherita, e
privilegia invece Stevens e la sua figliola, a scapito perfino di suo
fratello Umberto Agnelli. Se si prova – come ho fatto io - a chiedere al
notaio EttoreMorone
notizie e copie di questo “strano” atto, risponde che “non li ha
conservati e li ha consegnati al cliente”. Non vi fornisce nemmeno il
numero di repertorio. Forse a rogare sarà stata sua sorella Giuseppina?
La “Dicembre”
torna a lasciare tracce qualche anno più tardi, il 10 aprile 1996: c’è
un aumento di capitale (da 99,9 milioni a 20 miliardi di lire), entrano
tre nuovi soci (Margherita
Agnelli, John
Elkann, e il commercialista Cesare Ferrero), le
quote azionarie maggiori risultano suddivise tra Gianni Agnelli,
Marella, Margherita e John (di professione “studente” è scritto
nell’atto) col 25% ciascuno, con l’Avvocato che ha l’usufrutto sulle
azioni di moglie, figlia e nipote. Tutti gli altri restano con la loro
singola azione che conferisce un potere enorme. Siamo nel 1996, come s’è
visto, e nel frattempo è entrata in vigore una legge (il D.P.R. 581 del
1995) che impone l’iscrizione di tutte le società nel registro delle
imprese. A Torino se ne fregano. Anche se la “Dicembre” ha un codice
fiscale (96624490015) è come se non esistesse… Gabetti, Grande Stevens e
Ferrero, così attenti alla legge e alle forme, dimenticano di compiere
questo semplicissimo atto. Né si può pretendere che fossero l’Avvocato o
sua moglie o sua figlia o il suo nipote ventenne, a occuparsi di simili
incombenze.
La Camera di Commercio
si “accorge” di questa illegalità solo quattordici anni dopo, il 23
novembre 2009. La Responsabile dell’Anagrafe delle Imprese, Maria Loreta Raso,
allora scrive agli amministratori della “Dicembre” e li invita a
mettersi in regola. Non ottiene nessun riscontro. Ma la signora, anziché
rivolgersi al Tribunale e chiedere l’iscrizione d’ufficio, non fa nulla.
Fino a che nei mesi scorsi un giornalista, cioè il sottoscritto, alle
prese con una ricerca di dati per un suo imminente libro (Agnellisegreti, Vallecchi
Editore) cerca di fare luce su questa misteriosa “Dicembre” e si accorge
dell’irregolarità. Si rivolge alla Camera di Commercio, la dirigente in
questione fa finta di non sapere ciò che sa dal 2009 e comincia a
chiedere documenti e dati che già ben conosce. Il giornalista fornisce
copia dell’atto di aumento di capitale del 1996 e indica il numero di
codice fiscale, ma la Camera di Commercio pone ostacoli a ripetizione:
vogliono l’atto costitutivo, quello inviato è una fotocopia, ci vuole
quello autenticato dal notaio Morone. Passano i mesi, vengono fornite
tutte le informazioni, il giornalista comincia a diventare fastidioso.
La signora Raso non può più fare a meno di rivolgersi, con tre anni di
ritardo, al Tribunale. Il giornalista va, fa protocollare le domande,
sollecita e scrive. E finalmente il 25 giugno di quest’anno la
dottoressa Anna Castellino,
giudice delle Imprese del Tribunale di Torino, ordina l’iscrizione
d’ufficio della “Dicembre”, in quanto socia della “Giovanni Agnelli & C.
Sapaz”. L’ordinanza del giudice viene depositata due giorni dopo. La
Camera di Commercio ottemperato all’ordinanza del Giudice in data 19
luglio 2012. Possibile che ci voglia un giornalista per far mettere in
regola la più importante società italiana “fuorilegge” da ben 17 anni e
che oggi ha come soci di maggioranza John Elkann e sua nonna
Marella, con il solito quartetto Gabetti-Ferrero-Grande Stevens padre e
figlia? Ma perché tanta segretezza su questa società-cassaforte? E’ il
tema della nostra prossima puntata.
RETROSCENA DI CASA
REALE
Quei lupi a
guardia degli Agnelli
Scritto da Gigi
Moncalvo
Pubblicato Venerdì 12 Ottobre 2012, ore 8,32
Chi ha in mano
le chiavi della cassaforte di “Dicembre”, società semplice con la quale
si comanda la Fiat-Chrysler? Nell’ombra si stagliano le figure di
Gabetti e Grande Stevens. Seconda puntata
GRANDI VECCHI
Grande Stevens e Gabetti
Dunque, la “Dicembre”
dal 19 luglio è finalmente iscritta al registro delle Imprese della
CameradiCommerciodiTorino – dopo che in
via Carlo Alberto hanno dormito per 14-16 anni. Ma una domanda è
d’obbligo: perché tanta segretezza? Chi sono coloro che vogliono restare
nell’ombra al punto che nel novembre 2009 non avevano nemmeno risposto a
una richiesta di regolarizzazione., ai sensi di legge, se n’erano
sonoramente “sbattuti” ed erano talmente sicuri di sé e potenti al punto
che la Camera di Commercio, al cui vertice siede un loro uomo, non fece
nulla dopo che la propria richiesta era stata snobbata e ignorata? Prima
di arrivarci, precisiamo che la sanzione che poteva essere loro
comminata per l’irregolarità, era del tutto simbolica e irrisoria:
appena 516 euro.
La domanda
diventa dunque questa: che cosa c’era e c’è di così segreto da
nascondere – è l’unica spiegazione possibile – al punto da indurre i
soci della “Dicembre”, che riteniamo essere sicuramente in possesso di
516 euro per pagare la sanzione, a evitare di rendere pubblici gli atti
della società, come prescrive la legge?
Qui viene il
bello. Questi signori, infatti, così come se ne sono “sbattuti” allora,
ugualmente se ne “sbattono” oggi. E, fino ad ora, stanno godendo - ma
speriamo di sbagliarci - ancora una volta della tacita “complicità”
della Camera di Commercio. Infatti, l’iscrizione che noi siamo riusciti
ad ottenere si basa solo su un documento: l’atto costitutivo del 15
dicembre 1984. Da esso risultano cinque soci: GiovanniAgnelli (che
nell’atto viene definito “industriale”), sua moglie MarellaCaracciolo
(professione indicata: “designer”), UmbertoAgnelli, GianluigiGabetti, CesareRomiti. La società in
quel 1984 aveva sede a Torino in via del Carmine 2, presso la FIDAM, una
fiduciaria che fa capo all’avv. FranzoGrandeStevens, il cui
studio ha lo stesso indirizzo. Il capitale sociale ammontava a 99
milioni e 980 mila lire ed era così suddiviso: Giovanni Agnelli aveva la
maggioranza assoluta con un pacco di azioni pari a 99,967 milioni di
lire, la consorte possedeva 10 azioni per un totale di diecimila lire,
gli altri tre soci avevano una sola azione da mille lire ciascuna. Una
curiosità: donna Marella a proposito di quella misera somma di diecimila
lire dichiarò in quell’atto che “è di provenienza estera ed è pervenuta
nel rispetto delle norme valutarie” arrivando in Italia il giorno prima
tramite Banca Commerciale Italiana.
Questo, dunque,
è l’unico documento che al momento da pochi mesi compare nel Registro
delle Imprese. Possibile che la Camera di Commercio – presieduta dall’ex
dirigente Fiat, AlessandroBarberis -
non si sia ancora accorta che quell’atto, essendo vecchio di ben
ventotto anni, è stato superato da alcuni eventi non secondari e che lo
rendono, così come l’iscrizione, inattuale e anacronistico? Ad esempio,
nel frattempo c’è stata l’introduzione dell’euro e la morte di due dei
cinque soci (Gianni e Umberto Agnelli, deceduti rispettivamente nel
gennaio 2003 e nel maggio 2004)? Possibile che Barberis e i suoi
funzionari non si siano accorti di questo, così come del fatto che
Romiti ha lasciato il Gruppo da quasi vent’anni, e non chiedano agli
amministratori della “Dicembre” un aggiornamento, ordinando l’invio dei
relativi atti? Tanto più - e qui vogliamo dare un aiuto disinteressato
alla ricerca della verità onde evitare inutili fatiche altrui - che
qualche “mutamento”, e non di poco conto, in questi anni è avvenuto
nella “Dicembre” e l’ha trasformata da cassaforte del ramo-Gianni
Agnelli a qualcosa di ben diverso e non più controllabile dalla Famiglia
“vera” dell’Avvocato. Vediamo alcuni passaggi, dato che ciò aiuterà a
capire quali sono, forse, i motivi all’origine di tanta ancor oggi
inspiegabile segretezza.
Appena quattro
anni dopo la costituzione, e cioè il 13 giugno 1989 (repertorio notaio
Morone n. 53820), escono dalla società due grossi calibri come Umberto
Agnelli e Cesare Romiti. Al loro posto entrano l’avv. Grande Stevens e,
colpo di scena, sua figlia
Cristina, 29 anni. Non è un po’ strano che vengano
“fatti fuori” nientemeno che Romiti, che in quel periodo contava
parecchio, e nientemeno che il fratello dell’Avvocato, e vengano
sostituiti non tanto da un nome “di peso” come quello di Grande Stevens,
ma addirittura anche dalla giovane rampolla di quest’ultimo, addirittura
a scapito dei due figli di Gianni, e cioè Edoardo e Margherita?
Alla luce anche
di questo, non ritiene la Camera di Commercio che sia bene cominciare a
farsi consegnare dalla società da pochi mesi registrata d’imperio da un
giudice, anche tutti gli atti relativi al periodo tra il 1984 e il 1989
che portarono a quel misterioso “tourbillon” che vede Gianni togliere di
mezzo il fratello e il potente amministratore delegato Fiat, e tagliar
fuori anche i propri figli per far entrare invece un avvocato e sua
figlia, mettendoli a fianco del già sempiterno Gabetti?
Andiamo avanti.
Della “Dicembre” non ci sono tracce - a parte un misterioso episodio
avvenuto tra la Svizzera e il Liechtenstein -, fino al 10 aprile 1996.
Quel giorno, sempre nello studio notarile Morone, avvengono
quattro fatti importantissimi: l’ingresso di tre nuovi soci, l’aumento
di capitale, il trasferimento della sede (dal numero 2 al numero 10
sempre di via del Carmine, questa volta presso “SimonFiduciaria”,
sempre di Grande Stevens), ma soprattutto la modifica dei patti sociali.
Accanto a Gianni Agnelli e a sua moglie, a Gabetti, a Grande Stevens e
figlia, entrano nella “Dicembre”: MargheritaAgnelli (figlia di
Gianni), JohnPhilipElkann
(nipote di Gianni e figlio di Margherita, professione indicata:
“studente”), e il commercialista torinese CesareFerrero. Il capitale
viene aumentato di venti miliardi di lire, che vanno ad aggiungersi a
quegli iniziali 99,980 milioni di lire. Gianni Agnelli mantiene il
controllo col 25% di azioni proprie, e con l’usufrutto a vita di un
altro 74,96% riguardante le azioni intestate a moglie, figlia e nipote.
Ancora una volta è platealmente escluso Edoardo, il figlio di Gianni.
Gli viene preferito il cuginetto che ha da poco compiuto vent’anni. Gli
altri quattro azionisti hanno un’azione da mille lire ciascuno. Ma
assumono (e si auto-assegnano col misterioso e autolesionistico assenso
dell’Avvocato) una serie di poteri enormi, sia a loro favore sia contro
i soci-famigliari di Gianni.
Prima di tutto
viene previsto che se un socio dovesse morire (l’Avvocato allora aveva
75 anni ed era da tempo molto malato), la sua quota non passa agli eredi
ma viene consolidata automaticamente in capo alla società con
conseguente riduzione del capitale. Agli eredi del defunto spetterà solo
una somma di denaro pari al capitale conferito. Vale a dire: appena 5
miliardi di lire per il 25% di quota dell’Avvocato, una somma
spropositatamente inferiore al valore reale. Senza pensare alla
violazione del diritto successorio italiano. L’altra clausola “folle”
sottoscritta dall’Avvocato riguarda il trasferimento di quote a terzi.
Infatti, se uno degli azionisti principali, alla sua morte o prima,
dovesse decidere di cedere la propria quota, o una parte di essa, a
terzi esterni alla “Dicembre”, ci sono due sbarramenti. E’ necessario il
consenso della maggioranza del capitale. E, oltre a questo, deve esserci
il voto a favore di quattro amministratori: due dei quali fra Marella,
Margherita e John, e due fra il “quartetto” Gabetti-Ferrero-Grande
Stevens padre e figlia. Insomma Gianni Agnelli ha consegnato ai quattro
il controllo assoluto della situazione a scapito di se stesso e dei
propri famigliari. Il quartetto degli “estranei” (Margherita li chiama
“usurpatori”) ha aperto la strada, oltreché alla loro presa di potere, a
scenari di vario tipo. Primo. Se l’Avvocato muore, suo figlio Edoardo
non eredita quote della “Dicembre” ma viene tacitato con pochi miliardi.
Dovrebbe fare un’azione legale contro la violazione della legge
successoria italiana e rivendicare la legittima, anche per la quota di
sua spettanza della “Dicembre”.
Secondo
scenario. Se Edoardo morisse prima di suo padre - come poi avverrà,
facendo pensare ad autentiche “capacità divinatorie” da parte di
qualcuno -, il problema non si verrebbe a porre. E se invece – terzo
scenario -, come poi è avvenuto (prova evidente che nella “Dicembre” c’è
qualche chiaroveggente in grado di prevedere o condizionare il futuro),
l’Avvocato morisse e il suo 25% passasse a moglie e figlia, basterà
impedire un’alleanza tra le due, farle litigare, dividerle, oppure
convincere la “vecchia” ad allearsi col giovane nipotino, ed ecco che
figlia e vedova dell’Avvocato perderanno il controllo della “Dicembre”.
Chi sono i
vincitori? Chi ha scelto il giovane rampollo, che deve tutto a due
tragedie famigliari (la morte del cugino Giovannino per tumore
e la strana morte dello zio Edoardo trovato cadavere sotto un
cavalcavia) per poterlo meglio “burattinare” e comandare? Chi ha
impedito in tal modo che Marella, Margherita e John invece si potessero
alleare per comandare insieme o scegliere qualcuno della famiglia, o non
qualche estraneo, per la sala di comando? Chi ha scelto di “lavorarsi”
John e Marella, certo più malleabili e meno determinati di Margherita?
Un mese dopo la
morte dell’Avvocato viene approvato un atto (24 febbraio 2003) che
sancisce il nuovo assetto azionario della “Dicembre”. Al capitale di
10.380.778 euro, per effetto della clausola di consolidamento viene
sottratta la quota corrispondente alle azioni di Gianni (cioè 2.633.914
euro). In tal modo il capitale diventa di 7.746.868 euro e risulta
suddiviso in tre quote uguali per Marella, Margherita e John, pari a
2,582 milioni di euro ciascuno (quattro azioni da un euro continuano a
restare nelle salde mani del “Quartetto di Torino”). Il “golpe” viene
completato lo stesso giorno con la sorprendente donazione fatta dalla
nonna al nipote del pacco di azioni che gli permettono al giovanotto di
avere la maggioranza assoluta, una donazione fatta da Marella in sfregio
ai diritti (attuali ed ereditari) della figlia e degli altri sette
nipoti: John arriva in tal modo a controllare una quota della “Dicembre”
pari a 4.547.896 euro, sua nonna mantiene una quota pari a 2.582.285
euro, la “ribelle” Margherita - l’unica che aveva osato muovere rilievi
e chiedere chiarezza e trasparenza - viene messa nell’angolo con una
quota pari a 616.679 euro. Tutto questo fino al 2003. Poi, con l’accordo
di Ginevra del febbraio 2004 tra madre e figlia, Margherita uscirà
definitivamente dalla “Dicembre”, quasi un anno dopo aver partecipato a
un gravoso aumento di capitale.
Ma oggi la
situazione, specie per quanto riguarda i patti sociali, qual è? John
comanda davvero o no? Nel caso in cui, lo ripetiamo come nel precedente
articolo, dovesse decidere di ritirarsi in un monastero o gli dovesse
accadere qualcosa (come allo zio Edoardo?) chi potrebbe diventare il
padrone della cassaforte al vertice dell’Impero Fiat? I bookmakers danno favorito
Gabetti, ma non fanno i conti con Grande Stevens, il vero azionista “di
maggioranza”, anche se con due sole azioni, grazie proprio a quella
mossa del 1989 con cui fece entrare anche sua figlia….
Qualcuno
potrebbe obiettare che oggi tra i soci della “Dicembre” ce ne potrebbero
essere alcuni nuovi, potrebbero essere i fratelli di John, cioè
Lapo o
Ginevra. Ma,
grazie alla clausola di sbarramento approvata nel 1996, il “Quartetto”
ha votato a favore dell’ingresso (eventuale) di uno o due nuovi soci o
li ha bocciati? Ecco perché forse esiste tanta segretezza. Non sarebbe
bene che dai registri della Camera di Commercio risultasse qualcosa di
attuale e di aggiornato? Che cosa aspetta la Camera di Commercio a
chiedere e pretendere ai sensi di legge che gli amministratori, così
limpidi e trasparenti, della “Dicembre”, forniscano al più presto tutti
i documenti? Dobbiamo di nuovo attivare le nostre misere forze e
chiedere l’intervento del Tribunale di Torino e confidare
nell’intervento della dottoressa Anna Castellino o di qualche suo
collega? Oppure bisogna aspettare altri 15 anni?
GLI
AGNELLI SEGRETI
Dicembre dei “morti viventi”
Scritto daGigi Moncalvo
Pubblicato Sabato 13 Ottobre 2012, ore 8,21
Agli atti la società-cassaforte della famiglia, grazie alla quale
controllano la Fiat-Chrysler, risulta ancora composta da Gianni e
Umberto Agnelli. Compare persino Romiti. E tutti tacciono
La
Stampano,
o almeno, non ancora. Invece anche (o perfino?) ilCorriere
della Serasi è
accorto della “stranezza” - diciamo così – riguardante il fatto che laDicembre,
la società-cassaforte che un tempo era della famigliaAgnelli,
anzi più esattamente del ramo del solo Gianni, e che si trova alla
sommità dell’ImperoFiat(oraExor),
ha impiegato ben diciassette anni, dal 1995, per mettersi in regola con
la legge in vigore da allora. La Dicembre - la cui data di nascita
risale al 1984 -, finalmente è “entrata nella legalità”, e – come
prevede una legge del 1995 – finalmente risulta iscritta nel Registro
delle Imprese. Pur trattandosi di una società non da poco, dato che la
si può considerare la più importante, finanziariamente e industrialmente
del nostro Paese, laCamera
di Commercio di Torinoha
impiegato parecchi anni prima di accorgersi dell’anomalia, di quel vuoto
che figurava nei propri registri (nonostante quella società avesse il
proprio codice fiscale). Possibile che il presidente della CCIAAAlessandroBarberis,
che ha sempre lavorato in Fiat, ignorasse l’esistenza della “Dicembre”?
Come mai l’arzillo settantacinquenne entrato in azienda a 27 anni,
rimasto in corso Marconi per trentadue anni, e poi diventato per un
breve periodo, che non passerà certo alla storia, direttore generale di
Fiat Holding nel 2002, e infine amministratore delegato e vicepresidente
nel 2003, non ha mai fatto nulla per sanare questa irregolarità?
Possibile che ci sia voluto un giornalista rompiscatole e che fa il
proprio dovere, per convincere, con un bel pacchetto di corrispondenza,
l’austero organismo camerale sabaudo a rivolgersi al Tribunale affinché
ordinasse l’iscrizione d’ufficio. Finalmente, il 19 luglio scorso, ciò è
avvenuto e l’ordine del GiudiceAnnaCastellino(che
porta la data del 25 giugno) è stato eseguito.
Grandi applausi si sono levati dalle colonne delCorrieread
opera diMarioGereviniche,
in un articolo del 23 agosto, non ha avuto parole di sdegno per gli
autori di questa illegalità ma ha parlato, generosamente e con immane
senso di comprensione, di una semplice e banale “inerzia dettata dalla
riservatezza”. Poi ha ricostruito tutta la vicenda, a modo suo e con
parecchie omissioni importanti, e ha avuto di nuovo tanta comprensione,
anche per la Camera di Commercio: si era accorta dell’anomalia, anzi del
comportamento fuorilegge, fin dal 23 novembre 2009, aveva “già inviato
una raccomandata alla Dicembre invitandola a iscriversi al registro
imprese, come prevede la legge. Senza risultato. Da lì è partita la
segnalazione al giudice”. Il che dimostra come in due righe si possano
infilare parecchie menzogne e non si accendano legittimi interrogativi.
Dunque, quella raccomandata di tre anni fa non sortì alcuna risposta. E
la Camera di Commercio di fronte a questo offensivo silenzio, anziché
rivolgersi subito al Tribunale, non ha fatto nulla, se non una grave
omissione di atti d’ufficio. Non è dunque vero che “da lì è partita la
segnalazione al giudice” dato che al Tribunale di Torino non impiegano
ben tre anni per emettere un’ordinanza in un campo del genere. E’ stato
invece necessaria, questa la verità, una ennesima raccomandata di un
giornalista che intimava ai sensi di legge alla signoraMariaLoretaRaso,
responsabile dell’Area Anagrafe Economica, di segnalare tutto quanto al
giudice. Visto che non lo aveva fatto a suo tempo come imponeva il suo
dovere d’ufficio e, soprattutto, la legge.
Gerevini aggiunge che “fino a qualche tempo fa chi chiedeva il fascicolo
della Dicembre allo sportello della Camera di commercio si sentiva
rispondere: «Non esiste». All'obiezione che è il più importante socio
dell'accomandita Agnelli, che è stata la cassaforte dell'Avvocato (ora
del nipote), che è più volte citata sulla stampa italiana e
internazionale, la risposta non cambiava. Tant'è che dal 1996 a oggi non
risulta sia mai stata comminata alcuna ammenda per la mancata
iscrizione”. Giusto, è proprio così. Ma Gerevini, rispetto al
sottoscritto, per quale ragione non ha mai pubblicato un rigo su questa
scandalosa vicenda, non ha informato i lettori, non ha denunciato
pubblicamente questa anomalia e illegalità che ammette di aver toccato
con mano? Non pensa, il Gerevini, che sarebbe bastato un piccolo
articolo sul suo autorevole giornale per smuovere le acque? No, ha
continuato a tacere, e a sentirsi ripetere “non esiste” ogni volta in
cui bussava allo sportello della Camera di Commercio chiedendo il
fascicolo della “Dicembre”. Come mai certi giornalisti delle pagine
economiche, e non solo, spesso – come dicono i colleghi americani -
“scrivono quello che non sanno e non scrivono quello che sanno? Forse ha
ragioneDagospiache,
riprendendo la notizia, la definisce “grave atto di insubordinazione e
vilipendio del Corriere al suo azionista Kaky Elkann (così impara a
smaniare con Nagel di far fuori De Bortoli)”? Questo retroscena conferma
che il direttore delCorriere,
per ora, non ha osato andare oltre tenendo in serbo qualche cartuccia,
in caso di bisogno?
Gerevini dice che “la latitanza” della Dicembre ora è finita. Non è
vero. La Camera di Commercio, infatti, nonostante sapesse tutto fin dal
2009, ha “preteso” che il giornalista che rompeva le scatole con le sue
raccomandate inviasse ai loro uffici l’atto costitutivo della
“Dicembre”. Fatto. Ma, a questo punto, non si è accontentata del primo
esaustivo documento inviato sollecitamente, bensì ha preteso, forse per
guadagnare qualche mese e nella speranza che il notaioEttoreMoronenon
la rilasciasse, una copia autenticata. Si è mai vista una Camera di
Commercio, che nel 2009 ha già fatto – immaginiamo – un’istruttoria su
una società non in regola, ed è rimasta immobile dopo che si sono fatti
beffe della sua richiesta di regolarizzare la società, chiedere a un
giornalista, e non agli amministratori di quella società, i documenti
necessari, visto che i diretti interessati non si sono nemmeno curati a
suo tempo di rispondere? Invece è andata proprio così.
A
Torino tutto è possibile. Anche che la “Dicembre” figuri (finalmente)
nel Registro delle Imprese ma solo sulla base dei dati contenuti
nell’atto costitutivo del 1984 e cioè con due morti come soci,GiovannieUmbertoAgnelli,
e con un terzo socio,CesareRomiti,
che da anni ha lasciato la Fiat e che venne fatto fuori dalla “Dicembre”
nel 1989, cioè ventitré anni fa. Non solo ma il capitale della società
risulta ancora di 99 milioni e 980 mila lire, allineando come azionisti
Giovanni Agnelli (99 milioni e 967 mila lire),MarellaCaracciolo(10.000
lire, e dieci azioni), e infine Umberto Agnelli, Cesare Romiti eGianluigiGabetti(ciascuno
con una azione da mille lire). Non pensano alla Camera di Commercio che
sia opportuno, adesso che l’iscrizione è avvenuta, aggiornare questi
dati fermi al 15 dicembre 1984, scrivendo alla “Dicembre” e intimandole
di consegnare tutti i documenti e gli atti che la riguardano dal 1984 a
oggi? Che cosa aspettano a richiederli? Forse temono che il loro
sollecito rimanga di nuovo senza riscontro? Dall’altra parte, che cosa
aspettano quei Gran Signori diGianluigi
GabettieFranzo
Grande Stevens, che danno lezioni di etica e moralità
ogni cinque minuti, a mettersi in regola? E il grande commercialista
torineseCesareFerrero,
anch’egli socio della “Dicembre”, non sente il dovere professionale di
sanare questa anomalia, anche se i suoi “superiori” magari non sono del
tutto d’accordo? Ora nessuno di loro può continuare a nascondersi. E
quindi diventa molto facile dire: ora che vi hanno scovato, ora che sta
venendo a galla la verità, non vi pare corretto e opportuno mettervi
pienamente in regola? Ora che perfino il vostro giornale ad agosto vi ha
mandato questo “messaggio cifrato” non ritenete di fare le cose, una
volta tanto, in modo trasparente, chiaro, limpido, evitando la consueta
“segretezza” che voi amate chiamare riserbo, anche se la legge in casi
come questi non lo prevede? Oppure volete che sia di nuovo un giudice a
ordinarvi di farlo? E Jaky Elkann non ha capito quanto sia importante,
per sé e per il proprio personale presente e futuro, che le cose siano
chiare e trasparenti, nel suo stesso interesse?
IlCorrierenon
va diretto al bersaglio come noi e non fa i nomi e cognomi: inarcando il
sopracciglio, forse per mettere in luce l’indignazione del suo direttoreFerruccioDeBortoli,
l’articolo di Gerevini fa capire che è ora di correre ai ripari:
“L'interesse pubblico di conoscere gli atti di una società semplice che
ha sotto un grande gruppo industriale è decisamente superiore rispetto a
una società semplice di coltivatori diretti (la forma giuridica più
diffusa) che sotto ha un campo di granoturco”. Dopo di che, trattandosi
del primo giornale italiano, ci si sarebbe aspettati qualche intervento
di uno dei coraggiosi trecento e passa collaboratori “grandi firme”,
qualche indignata sollecitazione tramite lettera aperta al proprio
consigliere di amministrazione Jaky Elkann (lo stesso che oggi controlla
la Dicembre), un editoriale o anche un piccolo corsivo nelle pagine
economiche o nell’inserto del lunedì, dando vita a un nutrito dibattito
seguito dalle cronache sull’evolversi, o meno, della situazione e da una
sorta di implacabile countdown per vedere quanto avrebbe impiegato la
società a mettersi completamente in regola, con i dati aggiornati, e la
Camera di Commercio a fare finalmente il suo mestiere.
Niente di tutto questo. E adesso? Non solo noi nutriamo qualche dubbio
sul fatto che la società si metta al passo con i documenti. E, qualcuno
ben più esperto di noi e che lavora alCorriere,
dubita perfino che la “Dicembre” accetti supinamente un’altra ordinanza
del giudice. Ma a questo punto, svelati i giochi, la partita è iniziata
e se la società di Jaky Elkann si rifiuta di adempiere alle regole di
trasparenza è di per sé una notizia. Che però dubitiamo ilCorriereavrà
il coraggio di dare. Anche perché la posta in palio è altissima: che
cosa potrebbe succedere se, ad esempio, Jaki – che è il primo azionista
con quasi l’80%, mentre sua nonna Marella (85 anni) detiene il 20% -
decidesse di farsi monaco o gli dovesse malauguratamente accadere
qualcosa? Chi diventerebbe il primo azionista del gruppo? Non certo una
anziana signora, con problemi di salute, che vive tra Marrakech e Sankt
Moritz? A quel punto, ad avere – come già di fatto hanno – prima di
tutti la realegovernanceattuale
della cassaforte sarebbero Gabetti e Grande Stevens, conCristina,
la figlia di quest’ultimo, e Cesare Ferrero a votare insieme a loro per
raggiungere i quattro voti necessari come da statuto (anche se
rappresentano solo 4 azioni da un euro ciascuna) per sancire il
passaggio delle altre quote e la presa ufficiale del potere. Ecco, al di
là di quella che sembra un’inezia – l’iscrizione al registro delle
imprese e l’aggiornamento degli atti della società – che cosa significa
tutta questa storia. Ci permettiamo di chiedere: ingegner John Elkann, a
queste cose lei ha mai pensato? E perché le tollera?
ALMENO SUA COGNATA BEATRICE BORROMEO GIORNALISTA DEL FATTO NON L’HA MAI
INFORMATA DI UNA MIA TELEFONATA DI BEN 2 ANNI FA ?
Mb
Agnelli
segreti Ju29ro.com
Con Vallecchi ha pubblicato nel 2009 “I lupi & gli Agnelli”. Il 24
gennaio del 2003, a 82 anni di età, moriva
Gianni Agnelli.
Nei prossimi mesi,
c'è da
...
Agnelli: «Bisogna cambiare il calcio italiano»
Al Centro Congressi del Lingotto partita l'assemblea dei soci della Juve
seguila con noi. Il presidente bianconero: «Bisogna cambiare il calcio
italiano e posizionarlo a livello europeo, dopo i fasti degli ultimi 30
anni stiamo avendo un declino, siamo in presenza di un tracollo
strutturale. E' necessaria una riforma strutturale del calcio
professionistico che non può più vivere essendo considerato al pari di
quello di base. Vorremmo che la locomotiva fosse in grado di procedere
al pari degli altri. Oggi siamo 4°, dopo Spagna, Inghilterra, Germania,
presto Francia e Portogallo li seguiranno»
TORINO -Stanno
via via arrivando i piccoli azionisti della Juventus al Centro Congressi
del Lingotto dove, alle 10.30, avrà inizio l'assemblea dei soci del club
bianconero. In attesa che Andrea Agnelli apra i lavori con la sua
lettera agli azionisti, la relazione finanziaria annuale unisce ai
numeri la passione. Nelle pagine iniziali sono contenute le immagini
salienti dell'ultimo anno, iniziato con il ritiro di Bardonecchia,
proseguito con l'inaugurazione dello Juventus Stadium, la conquista del
titolo di campione d'inverno e del Viareggio da parte della Primavera, e
culminato con la vittoria dello scudetto e della Supercoppa. Due dei
cinque nuovi volti del Consiglio di Amministrazione della Juventus non
sono presenti nella sala 500 del Lingotto. L'avvocato Giulia Bongiorno è
impegnata in una causa mentre il presidente del J Musuem, Paolo
Garimberti, è fuori Italia per il Cda di EuroNews, ma comunque in
collegamento in videoconferenza. Maurizio Arrivabene, Assia
Grazioli-Venier ed Enrico Vellano sono invece in platea, come gli ad
Beppe Marotta e Aldo Mazzia e il consigliere Pavel Nedved.«Da
troppi anni aspettavamo una vittoria sul campo-
scrive Agnelli -ma
il 30° scudetto e la Supercoppa sono ormai alle nostre spalle ed è più
opportuno guardare al futuro, con la consapevolezza di aver intrapreso
la strada giusta per la nostra società».La
sfida all'Europa è lanciata.
AGNELLI SU
CONTE - «Conte?
Noi siamo felici di Conte perché è il miglior tecnico che ci sia in
circolazione e ce lo teniamo stretto».
AGNELLI SU
DEL PIERO - "Alessandro
Del Piero è nel mio cuore, nei nostri cuori come uno dei più grandi
giocatori di sempre della Juve": lo ha detto Andrea Agnelli
rispondendo a una domanda sull'ex capitano bianconero."L'anno
scorso- ha
aggiunto Agnelli -ciò
che è successo qui in assemblea è stato un tributo, perché avevamo
firmato l'ultimo contratto ed era stato lui stesso a dire che sarebbe
stato l'ultimo. Ora lui ha scelto una nuova esperienza, ricca di
fascino: porterà sempre con sè la Juventus"."Per
il futuro- ha
detto Agnelli su un eventuale impiego di Del Piero nella società
bianconera -non
chiudo le porte a nessuno. Oggi la squadra è completa, lavora
quotidianamente per ottenere gli obiettivi di vincere sul campo e di
ottenere un equilibrio economico finanziario. Sono soddisfatto di tutte
le persone, quindi-
ha concluso -come
si dice, squadra che vince non si cambia".
«BISOGNA
CAMBIARE, E SUBITO, IL CALCIO ITALIANO»-
Ecco il discorso con cui Andrea Agnelli ha aperto i lavori
dell'assemblea degli azionisti:«Signori
azionisti, la Juventus è campione d’Italia, per troppo tempo i
presidenti hanno dovuto affrontare questa assemblea senza avere nel
cuore il calore che una vittoria porta con sé. Nella stagione che ci
porterà a celebrare il 90° anno del coinvolgimento della mia famiglia
nella Juventus,credo sia opportuno riflettere insieme sul fatto che la
Juventus ha sempre promosso i cambiamenti. E' una missione alla quale
questa gestione non intende sottrarsi. Quando ho ricevuto l'incarico di
presidente avevo in testa chiarissimi alcuni passaggi. Il primo è
cambiare la società e la squadra, un percorso in continua evoluzione, ma
in 30 mesi abbiamo bruciato le tappe. Churchill diceva: i problemi della
vittoria sono più piacevoli della sconfitta ma non meno ardui, lo
scudetto non ci deve far dimenticare il nostro mandato, vincere
mantenendo l'equilibrio finanziario. Il bilancio presenta numeri su cui
riflettere, la perdita è dimezzata, e contiamo di proseguire nel
percorso di risanamento».Poi il finale, con il presidente
bianconero ad affrontare un tema assai caro come quello delle riforme.«Dopo
17 anni di attesa lo Juventus stadium è una realtà davanti agli occhi di
tutti e sta dando i suoi frutti sia nei risultati sportivi sia in quelli
economici. Dal Museum al College, sono tanti i fronti di attività come
la riqualificazione dell’area della Continassa che ospiterà sede e
centro di allenamento. Il cammino procede nella giusta direzione, 'la
vita è come andare in bicicletta, occorre stare in equilibrio', diceva
Einstein. E qui arriviamo al secondo punto: bisogna cambiare il calcio
italiano e posizionarlo a livello europeo, dopo i fasti degli ultimi 30
anni stiamo avendo un declino, siamo in presenza di un tracollo
strutturale. E' necessaria una riforma strutturale del calcio
professionistico che non può più vivere essendo considerato al pari di
quello di base. Vorremmo che la locomotiva fosse in grado di procedere
al pari degli altri. Oggi siamo 4°, dopo Spagna, Inghilterra, Germania,
presto Francia e Portogallo li seguiranno. Riforma dei campionati,
riforma Legge Melandri, riforma del numero di squadre professionistiche
e del settore giovanile. Riforma dello status del professionista
sportivo, tutela dei marchi, legge sugli impianti sportivi, riforma
complessiva della giustizia sportiva, queste le tematiche su cui
vorremmo confrontarci. Bob Dylan diceva: 'I tempi stanno cambiando' e
non hanno smesso, la Juventus non intende affossare come una pietra».
PAROLA AGLI
AZIONISTI- Prima
di passare al voto di approvazione del bilancio 2011-12, la parola è
passata agli azionisti. Molti gli interventi: alcuni si sono
complimentati con il presidente e i dirigenti per le vittorie, ma in
tanti hanno sollevato dubbi sulla campagna acquisti. In particolare sono
state fatte domande sul caso Berbatov, su Iaquinta e Giovinco.«Speriamo
che immobile non faccia la fine di Giovinco, ceduto a 6 e pagato 11
milioni, spero che si compri Llorente»ha
detto l'azionista Stancapiano. Gli ha fatto eco un altro socio
bianconero:«Abbiamo
comprato due punte spendendo parecchi milioni: Bendtner non l’abbiamo
ancora visto, Giovinco ce l’avevamo in casa. Anziché prendere Giovinco,
potevamno tenerci Boakye o Gabbiadini, che sono per metà nostri, almeno
fino a gennaio per capire se sono da Juve».E
c'è chi ha ricordato anche Alessandro Del Piero:«Auguri
di buon lavoro al bravo e simpatico Del Piero che per tanti anni ha
onorato la nostra squadra: Alex fatti onore anche in Australia».
L'AZIONISTA BAVA - Dirompente l'intervento dell'azionista
Bava che ha chiesto di conoscere gli stipendi netti dei giocatori,
l'andamento dell'inchiesta sulla stabilità dello stadio, se ci sono
giocatori coinvolti nel calcioscommesse, se la società ha prestato soldi
ai giocatori, e in particolare a Buffon, per pagare debiti di gioco.
Infine si è dichiarato contrario allo stipendio di 200 mila euro che la
società elargisce a Pavel Nedved. Dopo che gli è stata tolta la parola
perché ha sforato i minuti a disposizone, Marco Bava ha movimentato
l'assemblea urlando e fermando i lavori. Nel suo discorso di apertura,
Andrea Agnelli non ha parlato di Alessandro Del Piero. Ma nel libro che
presenta il rendiconto di gestione, la Juventus ha dedicato una doppia
pagina all'ex capitano bianconero, nella quale si ricordano tutti i suoi
successi. Alla fine campeggia anche un "Grazie Alex" a caratteri
cubitali. E alcuni azionisti si soffermati su Alex chiedendo perché non
gli è stato trovato un posto in società.
APPROVA IL
BILANCIO E LA BATTUTA DI AGNELLI - È stato approvato il
Bilancio dell'esercizio 2011/12. Agnelli prende la parola alla fine
della discussione del primo punto all'ordine del giorno:"In
Italia, noi juventini siamo la maggioranza, ma ci sono anche tanti,
tantissimi anti-juventini, perché la Juventus è tanto amata, ma anche
tanto odiata. E' c'è molto odio nei nostri confronti ultimamente".
Applausi dell'assemblea.
LE RISPOSTE
DI MAZZIA - L'ad della Juventus Aldo Mazzia ha risposto alle
domande di carattere economico rivolte dagli azionisti bianconeri. In
particolare, ha spiegato l'operazione Continassa.«Abbiamo
acquisito il diritto di superficie per 99 anni, rinnovabile, su un'area
di 180 mila metri adiacente allo Juventus Stadiun, per il costo di 10
milioni e mezzo. Questa cifra comprende anche il diritto di costruire
lottizzando l’area a nostra disposizione. L'investimento complessivo
ammonterà a 35-40 milioni: oltre ai 10,5 e a un milione per le opere di
urbanizzazione, il residuo servirà per costruire la sede e il centro
sportivo. La copertura finanziaria sarà in parte coperta dal Credito
Sportivo che, il giorno dopo la presentazione del progetto, ci ha
contattato manifestando interesse a finanziare l'opera. L'obiettivo è
quello di arrivare al minimo esborso possibile, dotando il club di due
asst importanti». Per quanto riguarda il titolo in Borsa,
Mazzia ha sottolineato che«il
prezzo lo fa il mercato: rispetto al valore di 0,14 euro al momento
dell'aumento del capitale, oggi vale circa il 43% in più. Questo
apprezzamento deriva dai miglioramenti sportivi ma soprattutto
economici».
PAROLA A
COZZOLINO - Azionista Cozzolino:"I
consiglieri per me devono essere tutti di provata fede juventina. La
Juventus è una trincea mediatica. E il Cda della Juve è più visibile di
quello di Fiat. Mi rivolgo a Bongiorno, non sarà più l'avvocato che ha
difeso Andreotti, ma quella che siede nel Cda juventino. Non mi convince
la sua vicinanza a quegli ambienti romani e antijuventini, che hanno
appoggiato il mancato revisionismo su Calciopoli. La dottoressa
Grazioli-Venier la conosco poco, certo, il doppio cognome alla Juventus
non porta bene... Paolo Garimberti si è sempre professato juventino ed è
presidente del nostro museo, nel suo curriculum abbondano incarichi
importanti nei media. Eppure non ricordo neppure un articolo a difesa
della Juventus nel periodo calciopoli quando era a Repubblica e quando
era presidente della Rai perché non ha arginato la deriva antijuventina
della tv di Stato? Mazzia, si sa, era granata, ma in fondo lo era anche
Giraudo. Le ricordo comunque che Giraudo esultava allo stadio quando
segnava la Juventus, si dia da fare anche lei".
GIULIA
BONGIORNO NEL CDA JUVE - Si passa al secondo punto all'ordine
del giorno: nomina degli organi sociali. Si vota per rinnovare il Cda e
si parla dei compensi ai consiglieri (25mila euro all'anno ad ognuno dei
consiglieri). Il Consiglio proposto è: Camillo Venesi, Andrea Agnelli,
Maurizio Arrivabene, Giulia Bongiorno, Paolo Garimberti, Assia
Grazioli-Venier, Giuseppe Marotta, Aldo Mazzia, Pavel Nedved, Enrico
Vellano. Agnelli ringrazia i consiglieri uscenti, fra cui c'è l'avvocato
Briamonte.
DIECI
CONSIGLIERI -L'assemblea
degli azionisti Juventus ha votato la nomina dei 10 componenti del Cda
bianconero. Il Consiglio avrà un mandato di tre anni e ogni consigliere
percepirà 25 mila euro l'anno. Del Cda fanno parte Andrea Agnelli, Beppe
Marotta, Aldo Mazzia, Pavel Nedved e Camillo Venesio, tutti confermati,
e le new entry Giulia Bongiorno, Paolo Garimberti, Enrico Vellano, Assia
Grazioli-Venier e Maurizio Arrivabene.
Marina Salvetti
Guido Vaciago
- TROPPA GENTE VUOLE FARSI PUBBLICITÀ SULLA MORTE DI EDOARDO AGNELLI
Lettera 2
caro D'Agostino, trovo il tuo sito veramente informato ,serio,ed
equilibrato,fosse tutta così la comunicazione in Italia !!!!! Dopo
questa piccola premessa volevo dirti alcune cose su Edoardo
agnelli.Tutto quello detto scritto da vari personaggi
,giornalisti,scrittori presunti amici lo trovo molto superficiale ma
solo per il fatto di farsi un Po di pubblicità o altro, ma li conosceva
davvero questa gente ? Dubito molto non avendoli mai visti accanto ad
edo .In questi anni ho sentito tutto ed il contrario di tutto e volevo
intervenire prima ,ma solo sul tuo sito, perché ti riconosco una sicura
onesta intellettuale.
Negli ultimi 20 anni di vita di Edoardo sono stato il suo vero amico
accompagnandolo in tutte le parti del mondo,e assistendolo nel suo
lavoro,c erano con noi a volte anche altri amici sempre sinceri e che
stavano al loro posto non pronti,come ora a farsi pubblicità ogni volta
che esce il nome dello sfortunato amico.Finisco dicendoti che,la mattina
del 15 novembre 2000 giorno del fatale incidente ,edoardo fece ,prima
,solo 4 telefonate ed una era al sottoscritto come tutte le mattine
.Ti ringrazio per la tua cortese attenzione e buon lavoro con sincera
stima
Fabio massimo cestelli
CARO MASSIMO CESTELLI , DETTO DA EDOARDO CESTELLINO, io parlo con le
sentenze tu forse lo fai usando il linguaggio delle note dell'avv Anfora
? Mb
RingraziandoMarco
Bavaper l'avviso
che mi ha fatto utile per l'ascolto in diretta, segnalo - a tutti voi,
ma, mi sia concesso, aMarco
Solfanelliin
particolare, in quanto editore del mio nuovo libro dedicato agli ultimi
sviluppi, "Un giallo troppo complicato", in fase di stampa - che questa
mattina il programma "Mix 24" su Radio24 del Sole 24 ore - emittente
nazionale - condotto da Giovanni Minoli si è lungamente occupato del
caso della tragica morte di Edoardo Agnelli, mistero italiano ancora
irrisolto, dai tanti risvolti importanti quanto inquietanti, con ciò -
ed è particolarmente degno di nota - rilanciandolo all'attenzione
generale.
In sostanza, egli ha riadattato per il mezzo radiofonico la puntata del
suo programma televisivo "La storia siamo noi" andato in onda tre anni
fa, pure però con un'aggiunta significativa, un'intervista a Jas
Gawronski, amico dell' "avvocato" Gianni Agnelli, in cui ha fatto
affermazioni molto forti sul controverso rapporto padre-figlio, che è
una delle chiavi di lettura di dirompente efficacia per la comprensione
dell'intero caso.
Sia la puntata televisiva di tre anni fa, sia il programma odierno di
Minoli sono facilmente rintracciabili e consultabili sul web.
Per il resto, a fra pochi giorni per le mie ultime, sconvolgenti
acquisizioni che, oltre al riesame per intero della complessa questione,
sono dettagliate in "Un giallo troppo complicato"... Grazie a tutti.
ROMA
– Con l'aneddotica su Gianni Agnelli si potrebbero riempire
intere emeroteche. ... Lo so, c'è chi sostiene il contrario, ma è
una stupidaggine.
Edoardo, l’Agnelli da dimenticare
Scritto daGigi
Moncalvo
Pubblicato Lunedì 17 Novembre 2014, ore 17,12
Non un necrologio, una messa, un ricordo per i 14 anni
dalla scomparsa del figlio dell'Avvocato. Se ne dimentica persino Lapo
Elkann, troppo indaffarato a battibeccare a suon di agenzie con Della
Valle. E la sua morte resta un mistero - di Gigi MONCALVO
Il 15 novembre di quattordici anni fa,Edoardo
Agnelli– l’unico
figlio maschio diGiannieMarella–
moriva tragicamente. Il suo corpo venne rinvenuto ai piedi di un
viadotto dell’autostradaTorino-Savona,
nei pressi di Fossano. Settantasei metri più in alto era parcheggiata la
Croma di Edoardo, l’unico bene materiale che egli possedeva e che aveva
faticato non poco a farsi intestare convincendo il padre a cedergliela.
L’unica cosa certa di quella vicenda è che Edoardo è morto. Non sarebbe
corretto dire né che si sia suicidato, né che sia stato suicidato, né
che sia volato, né che si sia lanciato, né che sia stato ucciso e il suo
corpo sia stato buttato giù dal viadotto. Nel mio libroAgnelli
Segretisono pubblicati
otto capitoli con gli atti della mancata “inchiesta” e delle misteriose
e assurde dimenticanze del Procuratore della Repubblica diMondovì,
degli inquirenti, della Digos diTorino.
Tanto per fare alcuni esempi non è stata fatta l’autopsia, né prelevato
un campione di sangue o di tessuto organico, né un capello, il medico
legale ha sbagliato l’altezza e il peso (20 cm e 40 kg. In meno), non
sono state sequestrate le registrazioni delle telecamere di sorveglianza
della sua villa a Torino, gli uomini della scorta non hanno saputo
spiegare perché per quattro giorni non lo hanno protetto, seguito,
controllato come avevano avuto l’ordine di fare dalla madre di Edoardo.
Nessuno si è nemmeno insospettito di un particolare inquietante rivelato
dalla Scientifica: all’interno dell’auto di Edoardo (equipaggiata con un
motore Peugeot!) non sono state trovate impronte digitali né all’interno
né all’esterno. Ecco perché oggi si può parlare con certezza solo di
“morte” e non di suicidio o omicidio o altro.
Dopo 14 anni l’inchiesta è ancora secretata – anche se io
l’ho pubblicata lo stesso, anzi l’ho voluto fare proprio per questo -, e
nessun necrologio ha ricordato la morte del figlio diGianni
Agnelli. Nella cosiddetta “Royal Family” i personaggi scomodi o
“contro” vengono emarginati, dimenticati, cancellati. Basta guardare che
cosa è successo alla figlia Margherita, “colpevole” di aver portato in
tribunale i consiglieri e gli amministratori del patrimonio del padre:Gianluigi
Gabetti,Franzo
Grande StevenseSiegfried
Maron(il capo del
“family office” di Zurigo che amministrava il patrimonio personale di
Gianni Agnelli nascosto all’estero).Margherita,
quando ci sono dei lutti in famiglia, viene persino umiliata mettendo il
suo necrologio in fondo a una lunga lista, anziché al secondo posto in
alto, subito dopo sua madre, come imporrebbe la buona creanza. Per
l’anniversario della morte di Edoardo nessun necrologio su laStampané
sulCorriere–
i due giornali di proprietà di Jaky -, né poche righe di ricordo,
nemmeno la notizia di una Messa celebrativa. Edoardo, dunque,
cancellato, come sua madre, comeGiorgio Agnelli, uno
dei fratelli di Gianni, rimosso dalla memoria per il fatto di essere
morto tragicamente in un ospedale svizzero. E cancellato perfino comeVirginia
Bourbon del Monte, la mamma di Gianni e dei suoi fratelli:Umberto,
Clara, Cristiana, Maria Sole, Susanna, Giorgio. Gianni non andò
nemmeno ai funerali di sua madre nel novembre 1945. Tornando a oggi
Edoardo è stato ricordato da un paio di mazzi di fiori fatti arrivare
all’esterno della tomba di famiglia di Villar Perosa (qualcuno ha forse
negato l’autorizzazione che venissero collocati all’interno?) da
Allaman, in Svizzera, da sua sorella Margherita e dai cinque nipoti nati
dal secondo matrimonio della signora con il conteSerge
de Pahlen(si
chiamanoPietro,
Sofia, Maria, Anna, Tatiana). Margherita ha fatto celebrare una
Messa privata a Villar Perosa, così come a Torino ha fatto l’amico di
sempre,Marco Bava.
Tutto qui. I due nipoti di Edoardo, Jaky e Lapo, hanno
dimenticato l’anniversario. Lapo ha trascorso la giornata a inondare
agenzie e social network di stupidaggini puerili suDiego
Della Valle. Invece di contestare in modo convincente e solido
i rilievi del creatore di Hogan, Fay e Tod’s (“L'Italia cambierà quando
capirà quanto male ha fatto questa famiglia al Paese"), il
fratello minore di Jaky, a corto di argomentazioni, ha detto tra
l’altro: "Una macchina può far sognare più di un paio di scarpe”.
EvidentementeSergio
Marchionnenon gli ha ancora comunicato che la sua più
strepitosa invenzione è stata quella della “fabbrica di auto che non fa
le auto”. E al tempo stesso, evidentemente il fratello di Lapo non gli
ha ancora spiegato che laFIAT(anzi
laFCA) ha
smesso da tempo di produrre auto in Italia, eccezion fatta per pochi
modelli di “Ducato” in Val di Sangro o qualche “Punto” a
Pomigliano d’Arco con un terzo di occupati in meno, o poche “Maserati
Ghibli” e “Maserati 4 porte” a Grugliasco (negli ex-stabilimenti Bertone
ottenuti in regalo, anziché creare linee di montaggio per questi modelli
negli stabilimenti Fiat chiusi da tempo: aMirafiorilavorano
un paio di giorni al mese 500 operai in cassa integrazione a rotazione
su 2.770). Oggi FCA produce la Panda e piccoli SUV in Serbia, altri
modelli in Messico, Brasile, Polonia (Tichy), Spagna (Valladolid e
Madrid), Francia.
Eppure Lapo una volta davanti alle telecamere disse di
suo zio Edoardo: «Era una persona bella dentro e bella fuori. Molto più
intelligente di quanto molti l'hanno descritto, un insofferente che
soffriva, che alternava momenti di riflessività e momenti istintivi: due
cose che non collimano l'una con l'altra, ma in realtà era così». A
Villar Perosa "ci sono state tante gioie ma anche tanti dolori". Dice
Lapo: «Con tutto l'affetto e il rispetto che ho per lui e con le cose
egregie che ha fatto nella vita, mio nonno era un padre non facile...
Quel che si aspetta da un padre, dei gesti di tenerezza, non parlo di
potere... i gesti normali di una famiglia normale, probabilmente
mancavano». E poi riconosce quanto abbia pesato su Edoardo l'indicazione
di far entrare Jaky nell'impero Fiat: «Credo che la parte difficile sia
stata prima, la nomina di Giovanni Alberto. Poi, Jaky è stata come una
seconda costola tolta. Ma Edoardo si rendeva conto che non era una
posizione per lui».
Questo è vero solo in parte. Certo, Edoardo annoverava
tra gli episodi che probabilmente vennero utilizzati per stopparlo e
rintuzzare eventuali sue ambizioni, pretese dinastiche o velleità
successori, anche la virtuale “investitura” – attraverso un settimanale
francese – con cui venne mediaticamente, ma solo mediaticamente e senza
alcun fondamento reale, concreto, sincero, candidato suo cugino Giovanni
Alberto alla successione in Fiat. In realtà non c’era nessuna intenzione
seria dell’Avvocato di addivenire a questa scelta, nessuno ci aveva
nemmeno mai pensato davvero, se non Cesare Romiti per spostare
l’attenzione dai guai giudiziari e dalle buie prospettive che lo
riguardavano ai tempi dell’inchiesta “Mani Pulite”. Il nome del poveroGiovanninovenne
strumentalizzato e dato in pasto ai giornali, una beffa atroce, mentre
le vere intenzioni erano ben altre e quel nome così pulito e
presentabile veniva strumentalizzato con la tacita approvazione di suo
zio Gianni (lo rivela documentalmente in un suo libro l’ex
direttore generale Fiat,Giorgio
Garuzzo).
Edoardo non conosceva in profondità questi retroscena,
aveva anch’egli creduto davvero che la scelta del delfino fosse stata
fatta alle sue spalle, si era un poco indispettito, non per la
cooptazione del cugino, o perché ambisse essere al posto suo, ma perché
riteneva che non ci fosse alcun bisogno di anticipare i tempi in quel
modo, tanto più che a quell’epoca Giovannino era un ragazzo non ancora
trentenne. C’era un altro punto che lo infastidiva: il fatto che
Giovannino non lo avesse informato direttamente, i rapporti tra loro
erano tali per cui Edoardo si aspettava che fosse proprio lui a
dirglielo, prima che la notizia uscisse sui giornali. L’equivoco venne
risolto in fretta. Giovannino non appena venne a conoscere l’irritazione
di Edoardo per questo aspetto formale della vicenda, volle subito
vederlo, si incontrarono, chiarirono tutto, il figlio di Umberto gli
spiegò come stavano davvero le cose, e come stessero usando il suo nome
senza che potesse farci nulla. Edoardo si indispettì ancora di più
contro l’establishment della Fiat e si meravigliò che il padre di
Giovannino non avesse reagito con maggiore durezza. Ma Umberto,
francamente, che cosa avrebbe potuto fare? Stavano, per finta,
designando suo figlio per il posto di comando e lui poteva permettersi
di piantare grane?
Poi Giovannino morì e al suo posto, pochi giorni dopo il
funerale nel dicembre 1997, nel consiglio di amministrazione della Fiat
venne nominato John Elkann, che di anni ne aveva appena ventidue e
nemmeno era laureato. Edoardo, nella sua ultima illuminante intervista a
Paolo Griseri de ilManifesto(15
gennaio 1998), dà una risposta netta sul suo, e di suo padre, “nipotino”
Jaky: “Considero quella scelta uno sbaglio e una caduta di stile, decisa
da una parte della mia famiglia, nonostante e contro le perplessità di
mio padre, che infatti all’inizio non voleva dare il suo assenso. Non si
nomina un ragazzo pochi giorni dopo la morte di Giovanni Alberto, per
riempire un posto. Se quel posto fosse rimasto vacante per qualche mese,
almeno il tempo del lutto, non sarebbe successo niente. Invece si è
preferito farsi prendere dalla smania con un gesto che io considero
offensivo anche per la memoria di mio cugino”. Edoardo, e questo è un
passaggio fondamentale, afferma che suo padre nutriva perplessità per
quella scelta su Jaky. Sostiene che l’Avvocato “in un primo tempo non
voleva dare il suo assenso”. Forse era davvero questa la realtà. Forse
Gabetti e Grande Stevens già stavano tramando per mettere sul trono,
dopo la morte dell’Avvocato, una persona debole, giovane, inesperta,
fragile e quindi facilmente manovrabile e condizionabile. Le trame si
erano concretizzate tra la fine dell’inverno e la primavera del 1996 e
la vittoria di Gabetti e Grande Stevens era stata sancita nello studio
del notaioMoronedi
Torino il 10 aprile. Fu quello il momento in cui Edoardo venne,
formalmente, messo alla porta, escludendo il suo nome dall’elenco dei
soci della “Dicembre”. Anche se, in base al diritto
successorio italiano, al momento della morte di suo padre Edoardo
sarebbe entrato di diritto, come erede legittimo, nella “Dicembre”. La
società-cassaforte che ancor oggi controlla FCA, EXOR,Accomandita
Giovanni Agnellie
tutto l’impero. Una società in cui Gabetti e Grande Stevens (insieme a
sua figlia Cristina) e al commercialista Cesare Ferrero posseggono una
azione da un euro ciascuno che conferisce poteri enormi e decisivi.
Al di là di questo, c’era un’immagine che dava un enorme
fastidio a Edoardo: che suo padre si circondasse in molte occasioni
pubbliche, e private, diLuca
di Montezemolo. In quanti hanno detto, almeno una volta: “Ma
Montezemolo, per caso, è figlio di Gianni Agnelli?”. Comunque sia, un
figlio, un vero figlio, che cosa può provare nel vedere suo padre che
passa più tempo con un estraneo (perché è certo: Luca non è figlio
dell’Avvocato, anche se ha giocato a farlo credere) piuttosto che con
lui? Ad esempio in occasioni pubbliche come lo stadio, i box della
formula 1 durante i Gran Premi, per le regate di Coppa America, in
barca, sugli sci, in altre mille occasioni. Un giorno di novembre del
2000 un signore di Roma era nell’ufficio di Gianni Agnelli a Torino per
parlare d’affari. All’improvviso si aprì la porta, entrò Edoardo come
una furia ed esclamò: “Sei stato capace di farmi anche questo! Hai fatto
una cosa per Luca che per me non hai mai fatto in tutta la mia vita. E
non saresti nemmeno mai stato capace di fare”. Sbattè la porta e se ne
andò. Una settimana dopo è morto.
Comunque sia, ecco perché Jaky non ha voluto ricordare
nemmeno quest’anno suo zio Edoardo. Ma Lapo, che ha vissuto una vicenda
per qualche aspetto analoga a quella dello zio e che per fortuna si è
conclusa senza tragiche conseguenze (l’overdose a casa diDonato
Broccoin arte
“Patrizia”, la scorta che anche in questo caso “dimentica” di seguirlo,
proteggerlo, soccorrerlo, e infine dopo l’uscita dal coma Lapo
“costretto” a vendere le sue azioni per 168 milioni di euro), non
avrebbe dovuto, non deve e non può dimenticarsi di zio Edoardo. E’
proprio vero: questi giovanotti, autonominatisi “rappresentanti” della
Famiglia Agnelli” mentre invece sono solo degliUsurpateurs,
non sanno nemmeno in certi casi che cosa voglia dire rispetto,
rimembranza, memoria, dolore, culto dei propri parenti scomparsi.
www.gigimoncalvo.com
Gabetti, premio fedeltà (agli Agnelli) neppure a loro ! Mb
Scritto daGigi
Moncalvo
Pubblicato Sabato 12 Dicembre 2015, ore 7,30
"Torinese dell'anno" il manager che per oltre
mezzo secolo ha tenuto le fila dell'impero finanziario della
Famiglia e ancora oggi ne custodisce i segreti più reconditi. Il
caso della "Dicembre" e gli slurp (incauti) di Ilotte - di GIGI
MONCALVO
Nei giorni scorsiVincenzo
Ilotte, che da un anno ha ereditato dall’ex dipendente
Fiat,Alessandro Barberis, la presidenza dellaCamera
di Commercio di Torino, ha accantonato tutti gli
impegni di lavoro e ha dedicato molto del suo tempo per la cosa
cui teneva e tiene di più: correggere, rivedere, aggiustare,il
“libretto” che riguarda il “Torinese dell’anno”,Gianluigi
Gabetti, che verrà premiato domenica. I problemi
maggiori per Vincenzo sono venuti, non solo dal proprio ufficio
stampa, ma soprattutto dal premiato, il quale ha voluto
controllare tutto, sistemare ogni virgola, verificare come era
stato impaginato il libretto, quali caratteri di stampa e quale
carta erano stati scelti, con quale e quanto spazio erano state
pubblicate le foto che egli aveva graziosamente selezionato e
fornito: lui alla scrivania molto giovane con una riproduzione
alle spalle (un quadro di Ben del 1969 con la scritta:
“N’importe qui peut avoir une idée”), una immagine di Gabetti
con suo figlio e Ilotte in piena salivazione, GLG conElserino
Piola New
York, alle spalle (come sempre) di Gianni
Agnelliche
non lo guarda, conUmberto
Agnelli, conLindon
Johnson, conDavid
Rockefeller, conPertinie
ilmarchese
Dianache
gli conferiscono il cavalierato del lavoro, conMarchionnee
infine con la sua creatura, con tanto di braccia sulle spalle,Jaki
Elkann. A proposito del quale Gabetti ha preteso fosse
scritta la sua nota teoria che non trova riscontro in alcun atto
ufficiale o in alcuno scritto del defunto Gianni Agnelli:
“successore designato” (da chi?).
Con l’aggiunta di alcune falsità storiche. Ad esempio su
Marchionne: “…in perfetta sintonia Gabetti e John Elkann
chiamanoSergio
Marchionnead
assumere la carica di Amministratore Delegato della FIAT…”. A
proposito dell’equity-swap, che non viene mai chiamato con tale
nome - anche perché evoca una circostanza, cioè una condanna
penale e amministrativa e una prescrizione che se uno è
innocente non solo dovrebbe aver rifiutato ma che invece è stata
ben accolta – l’ufficio stampa di Gabetti (pardon, di
Ilotte) glissa e mente: “Tocca a Gabetti il compito di difendere
l’integrità del controllo della FIAT dalle speculazioni,
mediante un complesso di operazioni messe in opera con
l’avvocatoFranzo
Grande Stevens, che si concludono con un buon esito,
permettendo così lo straordinario rilancio del Gruppo”. Ilotte
farebbe bene a consigliare ai suoi ghost-writer di informarsi
meglio: non dico di chiedere la versione del dottorGiancarlo
Avenati Bassiché
sarebbe pretendere troppo, ma almeno di evitare termini come
“complesse operazioni”. In questo passaggio emerge la prova che
Gabetti ha corretto di suo pugno, facendo aggiungere il nome di
Grande Stevens cui evidentemente ancora non ha perdonato quei
vecchi guai e nella sua mente ultranovantenne è sempre convinto
che in quel periodo fu Franzo a eseguire e a seguire i suoi
ordini mentre egli, come sempre, nascondeva la mano e mandava
avanti l’altro.
Ciò che, soprattutto, non va perduta, è però la testimonianza
firmata da Gabetti in persona, dal titolo “Le radici della mia
Torinesità”. Con il che rinnega la sua amataGinevra,
dove ha fatto andata e ritorno più volte per quanto riguarda il
passaporto e la residenza, specie fiscale, in rue Jean Calvin
nella città vecchia, e soprattutto aMurazzano,
il paesino in provincia diCuneodove
è cresciuto e ancora abita. Gabetti sulla sua “torinesità” la
prende molto alla larga, ma cita e quindi subliminalmente ti
induce a pensare di essere come loro, i benefattori dell’Ordine
Mauriziano che crearono l’Ospedale, i Savoia che vollero la
Palazzina di Caccia di Stupinigi, i benemeriti del Monte di
Pietà, “da cui sorse l’Istituto San Paolo”, coloro che vollero
l’Università, l’Accademia delle Scienze e l’Istituto Galileo
Ferraris, per arrivare fino “a Don Giovanni Bosco, Padre
Giuseppe Cottolengo e molte altre figure spirituali”. E lui,
Gianluigi, arriva fa pensare proprio – almeno nelle sue
intenzioni – a San Giovanni Bosco e al Padre Cottolengo. Quando
si dice la modestia!
Comunque sia, dopo tanta fatica alla fine il difficoltoso
“parto” del libretto è avvenuto, e il risultato è davvero
sorprendente. Sia per quello che il premiato, Gianluigi Gabetti,
ha scritto di sé che per le clamorose omissioni che lo stesso
insignito, ma soprattutto Ilotte hanno fatto emergere, anche se
questo verbo può sembrare una contraddizione trattandosi di
omissioni, silenzi, vere e proprie “omertà”. Va beneche
Ilotte è un esperto di chiusure-lampo e che l’azienda di
famiglia (cui stranamente dedica poche righe nel suo curriculum
in cui ha fatto cancellare, chissà perché, il suo luogo di
nascita e ha perfino ignorato la fondamentale e illustre figura
imprenditoriale paterna), ma questa volta la chiusura è stata
davvero ermetica, proprio all’altezza dei prodotti della
Divisione Fonderia della “2A” di Santena, quella in cui si
producono le famose zip, oltreché parti dei propulsori di
autocarri.
Che cosa è accaduto? Ilotte forse non sa o fa finta di non
sapere che la persona che ha scelto di premiare ha commesso una
serie di gravi irregolarità e mancanza di riguardi, oltreché
autentiche violazioni di legge, proprio nei confronti della
Camera di Commercio, cioè proprio l’ente che ha deciso di
sceglierlo come “cittadino benemerito”. Invece di perdere tempo
a correggere, impaginare, lusingare, lisciare il pelo al noto
“lupo” (in contrapposizione con gli agnelli, sia con la a
maiuscola che minuscola), il presidente Ilotte doveva, avrebbe
dovuto fare una cosa semplicissima. Ed è ancora in tempo a
farla, così si rende conto della sola che ha propinato al buon
nome di Torino e della Camera di Commercio. Deve chiamare la sua
dipendente, dottoressaMaria
Loreta Raso, dirigente responsabile del “Registro delle
Imprese”, e chiederle: “Dato che ho deciso di premiare Gabetti,
vuole per cortesia verificare in archivio se è tutto in regola
per quanto riguarda costui?”. La dott. Raso aveva di fronte due
opzioni: rispondere subito (poiché ben conosce la situazione)
oppure guadagnare tempo, fingere di consultare le carte in
archivio e dopo un po’ dare al presidente Ilotte l’agognata (da
lui) risposta. Che era ed è la seguente: “Beh, guardi, caro
Presidente, farebbe meglio a cambiare la scelta del premiato
perché nei nostri confronti non è stato molto corretto né
serio”.
Ilotte si sarebbe probabilmente inalberato, visto che la
macchina era ormai avviata e non si poteva revocare la
designazione e mandare al macero le copie del libretto così
ricco di peana e di ditirambi, e si sarebbe pentito – come è
ancora in tempo a fare – per la sua scelta, dettata tra l’altro,
pensate un po’ malo
ha scritto egli stesso, dal fatto che “grazie all’amicizia
fraterna con suo figlioAlessandro, ho potuto
frequentarlo durante ormai quasi mezzo secolo e poter così
ricevere numerosi stimoli…”. Il che significa che, avendo Ilotte
quarantanove anni di età, ha cominciato a frequentare Gabetti
senior fin da quando il futuro presidente della Camera di
commercio era nella culla e lanciava i primi vagiti. E la frase
che Gabetti gli ripeteva (“Non perdere l’abbrivio”) non si sa a
quale fase della vita di Ilotte si riferisca. Alla prima
infanzia, quando ha smesso di gattonare e ha mosso i primi
passi? Oppure quando era impegnato sul vasino? O invece quando
andava all’asilo o alle elementari? Chissà. Comunque Ilotte
cresceva e Gianluigi Gabetti continuava a esortarlo
instancabilmente: “Non perdere l’abbrivio”. Per questo Ilotte ha
sempre preferito le discese, le spinte, coloro che gli tiravano
la volata, l’appoggio, il rinculo su muro di gomma che fungeva
da propulsore, sempre per prendere l’abbrivio e soprattutto non
perderlo. Ilotte scrive di aver scelto Gabetti “in deroga allo
stile di riservatezza che ci contraddistingue” (riferendosi alla
Camera di Commercio). E conclude con un autentico osanna per il
premiato, sottolineando che ha contribuito “con lungimirante
visione alla continuità dell’azienda e alla creazione di
occupazione e innovazione”. Ilotte dall’alto della sua carica
istituzionale dovrebbe ben sapere, contrariamente allaStampache
lo sa ma non lo scrive, quanti giorni al mese viene aperto lo
stabilimento di Mirafiori e per quanti, a rotazione, dei
migliaia di cassaintegrati. Per non parlare di quel che resta
degli altri stabilimenti…. Dovrebbe spiegare che cosa ha fatto,
come presidente, per salvare l’indottoFIATvessato,
costretto a spostarsi doveFCAproduce
(Serbia, Polonia, Spagna, Francia, Messico, Brasile, Stati
Uniti) e ormai ridotto ai minimi termini (lui dovrebbe saperlo
dato che la sua azienda fornisce pezzi all’IVECO).
Ma torniamo alla dottoressa Raso e alla Camera Commercio presa
in giro, così come il Tribunale e i Giudici delle Imprese, dal
dottor Gabetti. Il premiato, in qualità di socio e
amministratore della “Dicembre società semplice”
- un’invenzione di Grande Stevens che racchiude la ex cassaforte
della ex famiglia Agnelli, in cui oggi non figura più nessuno
che porti questo cognome - ha sempre rifiutato di fornire, come
impone la legge, i dati, gli atti, gli statuti, la composizione
societaria, la quantità di azioni detenute dai singoli soci, che
la Camera di Commercio nel corso di ventitré anni ha chiesto a
lui e agli altri componenti della “Dicembre”. Il dottor Gabetti,
di cui è noto il rilevante e preminente ruolo nella
“cassaforte”, non ha nemmeno mai risposto alle lettere
raccomandate che la dottoressa Raso gli ha inviato chiedendo di
mettersi in regola e di fornire al “registro delle Imprese”
presso la Camera di Commercio i dati riguardanti quella
importante società che controlla dall’alto tutto l’impero
ex-Fiat. E quindi ancheEXOR,FCA,Accomandita
Giovanni Agnelli,Juventus,
e via discorrendo. Per quale ragione il dottor Gabetti, torinese
dell’anno, non ha mai rispostoalle
richieste della Camera di Commercio, le ha ignorate, ha violato
la legge? Per quale ragione ci sono volute ben due ordinanze del
Giudice delle Imprese (prima la dottoressaAnna
Castellino, 25 giugno 2012, e poi il dottorGiovanni
Liberati, 24 maggio 2013, ha avuto bisogno di un ordine
del Tribunale) per riuscire a ottenere l’iscrizione d’ufficio
della “Dicembre” e soltanto nel 12 luglio 2012 ad opera, pensate
un po’ del giornalista che qui scrive? Come mai, Gabetti non ha
ottemperato alle fasi successive completando la documentazione
mancante visto che il sottoscritto, a causa della “reticenza”
del notaioEttore
Morone, ha potuto avere un solo documento rogato dallo
stesso, nonostante richieste e interventi perfino del Notariato
Nazionale? Chi ha “richiamato” e “tirato le orecchie” al notaio
rimproverandogli di avermi mandato tale documento, e gli ha
fatto scrivere una risposta successiva, di fronte alle richieste
di altri documenti, che ha fatto ridere l’intero notariato
italiano? E cioè (27 marzo 2012): “Gli atti da Lei richiesti non
sono stati da me conservati, in quanto consegnati da me al
cliente. Non ne ho quindi la materiale disponibilità e non mi è
conseguentemente possibile rilasciarne copia”. E non rilascia
nemmeno il numero di repertorio e nemmeno come lo ha archiviato.
Il che fa sorgere una domanda: ma l’archivio dello studio Morone
in quale stato è? Donna Giuseppina vuole parlare lei col suo
adorato fratel Ettore?
Bene, a fronte di tutto questo, il presidente Vincenzo Ilotte se
va a dare un’occhiata al registro delle Imprese di cui egli è,
tra l’altro responsabile, troverà che la “Dicembre società
semplice”, la più importante, ricca e illustre società che
ricadono sotto la sua giurisdizione torinese, una società che
ogni anno incassa milioni di euro di dividendi da EXOR e
Accomandita Giovanni Agnelli, risulta registrata in questo
singolare modo: “Codice Fiscale 96624490015. Sede legale: via
del Carmine 2 (dove c’è lo studio Grande Stevens) - Soci:
CARACCIOLO Marella, anni 88; GABETTI Gianluigi, anni 91; ROMITI
Cesare, anni 92”. La società risulta fondata nel 1984. Tutti
sanno cheRomitinon
ha più nulla a che fare con la Fiat dal 1998, da ben diciassette
anni. Ma non solo questo dimostra quanto sono aggiornati, e come
li tiene aggiornati, il presidente Ilotte. Attenzione al colpo
di scena. Il pacchetto azionario risulta così suddiviso (valori
espressi ancora in lire): CARACCIOLO Marella, 10 azioni da mille
lire ciascuna per un totale di 10.000 lire: GABETTI Gianluigi,una
azione da mille lire; ROMITI Cesare, una azione da mille lire”.
Totale: 12 azioni per un controvalore di euro 6,20. Questo
vorrebbero farci credere Gabetti & C. E allora presidente
Ilotte, quando sul palco premierà il torinese dell’anno, prenda
l’abbrivio e in nome della limpidezza, della trasparenza, della
legge, del suo dovere istituzionale gli chieda: «Senta, Gabetti,
a parte questa “marchetta” che io e lei stiamo facendo su questo
palco davanti a tutta questa bella gente, quand’è che finalmente
si decide a mandare tutti gli atti riguardanti la “Dicembre”, la
sua “Dicembre”, al mio ufficio, come prevede la legge?». Dai,
Ilotte prenda l’abbrivio. E, soprattutto – come le ha detto
Gabetti in questo mezzo secolo - non lo perda.
Post Scriptum: Se poi vuole, glieli forniamo noi i nomi e
le quote societarie della “Dicembre”. In tal modo anche Jaki
Elkann - tra una pausa e l’altra di quelle gare contro Lavinia,
con la sua amata e inseparabile playstation, perfino quando sono
allo stadio per vedere la Juve - verrà finalmente a sapere che
cosa “rischia” ad avere nella “Dicembre” come soci, anche se con
una sola azione, i signori Gabetti, Grande Stevens Franzo,
Grande Stevens Cristina, Ferrero Cesare. Stia sereno, neh!
DOCUMENTI -
ECCO IL LINK AL PDF DELLA RICHIESTA DI AUTORIZZAZIONE AD
ESEGUIRE PERQUISIZIONI NEL DOMICILIO DEL DEPUTATO BERLUSCONI,
INVIATA DAL PROCURATORE BRUTI LIBERATI AL PRESIDENTE DELLA
CAMERA
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6 gennaio 2010.
Per qualsiasi ulteriore informazione, non esitare a
metterti in contatto con il nostro staff di supporto TypePad,
all’indirizzo
contactit@sixapart.com
La
ringraziamo sinceramente per il
Suo interesse nei confronti di una produzione duramente colpita
dal recente terremoto, dalle stalle, ai caseifici fino ai magazzini
di stagionatura. Il sistema del Parmigiano Reggiano e del Grana
Padano sono stati fortemente danneggiati con circa un milione di forme
crollate a terra a seguito delle ripetute scosse che impediscono a breve
la ripresa dei lavori in condizioni di sicurezza. Questo determina di
conseguenza difficoltà nella distribuzione del prodotto “salvato”, che
va estratto dalle “scalere” accartocciate, verificato qualitativamente e
poi trasferito
in opportuni locali prima di poter essere posto in vendita. Abbiamo
perciò ritenuto opportuno mettere a disposizione nel sito
http://emergenze.coldiretti.it tutte le
informazioni aggiornate relative alla commercializzazione nelle diverse
regioni italiane anche attraverso la rete di vendita degli agricoltori
di Campagna Amica.
Report, puntata 7 aprile 2013: lo Stato
fallimentare Investire Oggi
Proprio mentre sul web infiamma la polemica per la richiesta di
risarcimento intrapresa dalla compagnia energetica nazionale a seguito
dell'inchiesta Eni di Report (è anche partita la raccolta firme,
Report: firma la petizione per il diritto di ...
Report - La Congregazione e l'Eni
07/04/2013 Rai.tv
Report - La Congregazione e l'Eni 07/04/2013. rai·12,366 videos.
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Esclusivo: alla Lega sovranista di Matteo Salvini piace offshore
Da Bergamo al Lussemburgo, via Lugano. Lungo
questa direttrice si dipanano gli affari dei cassieri del partito scelti
dal segretario neo ministro degli Interni. L'inchiesta su L'Espresso in
edicola domenica 3 giugno
di Giovanni Tizian e
Stefano Vergine
In via Angelo Maj 24, a Bergamo, c'è un piccolo studio
contabile di proprietà di Andrea Manzoni e Alberto Di
Rubba. Due professionisti come tanti, se non fosse per
la loro ascesa, a partire dal 2014, all'interno
dell'amministrazione del partito di Salvini. Alla
coppia, poco nota alle cronache, si aggiunge un terzo
uomo, più conosciuto: Giulio Centemero, il tesoriere
ufficiale del partito, voluto dal leader che ha portato
la Lega all'exploit elettorale del 4 marzo. Centemero è
stato eletto alla Camera alle ultime elezioni, ma è
soprattutto l'uomo ingaggiato da Salvini per gestire i
conti dopo gli scandali della truffa sui rimborsi
elettorali durante la gestione di Umberto Bossi e
Francesco Belsito. Di Rubba, Manzoni e Centemero: i
cassieri di Matteo, insomma.
Tutti nati nel 1979, tutti laureati in economia e
commercio all’università di Bergamo, dove si sono
conosciuti nei primi anni 2000. Un trio al cui vertice
c'è proprio il neodeputato e tesoriere. Gestiscono
decine di società con base in via Angelo Maj, nuovo
quartier generale delle finanze leghiste, sette delle
quali controllate- attraverso delle fiduciarie italiane
tra i cui soci c'è anche un'anonima impresa svizzera- da
una holding lussemburghese che fa capo a un'altra
fiduciaria. Impossibile dunque, vista la sofisticata
schermatura finanziaria, sapere chi sono i reali
proprietari delle società registrate presso lo studio di
Di Rubba e Manzoni. E impossibile è anche conoscere
l'origine dei capitali attraverso cui sono state
costituite. L'unica certezza è che seguendo il flusso di
denaro si arriva nel Granducato, uno dei principali
paradisi fiscali europei.
Ma non è tutto. Approfondendo gli
affari dei cassieri del Carroccio si arriva a un’impresa
che noleggia auto, di proprietà di Manzoni e Di Rubba,
il cui fatturato si è impennato da quando la Lega è
diventata sua cliente. E c’è pure una grande tipografia
della bergamasca, anche questa diventata fornitrice di
punta del partito dopo l'elezioni di Salvini a
segretario federale, il cui proprietario pochi giorni fa
ha fatto guadagnare oltre un milione di euro a Di Rubba.
Da aprile scorso Manzoni e Di Rubba ricoprono anche una
carica formale e delicata all'interno del partito: il
primo è stato nominato direttore amministrativo del
gruppo parlamentare alla Camera, il secondo è stato
scelto come revisore legale del gruppo Lega al Senato.
Non solo: entrambi hanno ottenuto incarichi di peso
all'interno della Pontida Fin e della Fin Group,
ammiraglie finanziarie del partito. Proprio la Fin Group
ha cambiato sede con l'entrata in scena di Salvini e
Centemero. Dalla storica via Bellerio, sede e simbolo di
una Lega nordista, secessionista, padana, è stata
trasferita in via Angelo Maj 24, presso lo studio Di
Rubba - Manzoni, con quest'ultimo che è diventato
l'amministratore unico della società.
Alle domande de L’Espresso, sia
Centemero che i colleghi Di Rubba e Manzoni hanno
risposto allo stesso modo. Non hanno fornito
informazioni sui beneficiari ultimi delle fiduciarie, ma
hanno assicurato che le sette aziende in questione non
hanno legami né diretti né indiretti con la Lega.
Tuttavia un fatto è indiscutibile: in una di queste
imprese l’amministratore è il tesoriere del partito,
cioè Centemero, e in una seconda lo stesso ruolo è
ricoperto dal professionista Manzoni, scelto per
vigilare sui conti del gruppo parlamentare alla Camera.
Sempre presso lo studio di Manzoni e Di Rubba è
registrata anche la associazione culturale “Più
Voci”: l'organizzazione fondata da Centemero,
Di Rubba e Manzoni per incamerare contributi da
imprenditori, di cui L'Espresso aveva dato conto in
esclusiva due mesi fa nell'inchiesta di copertina “
I conti segreti di Salvini ”.
Il denaro investito in modo illegale. E la onlus
Più voci per sfuggire ai giudici. Quel che non dice
l’uomo che vuole l’incarico di governo
Sull'associazione Più voci questa volta la Lega ha
risposto. Lo ha fatto con il tesoriere Centemero: «I
soldi ricevuti non sono stati trasferiti al partito o
utilizzati in attività di carattere politico, come ad
esempio la campagna elettorale». Il tesoriere ha
sottolineato che «l’associazione, come da ragione
sociale, stimola il pluralismo dell’informazione, perciò
i progetti di sostegno (le donazioni private, ndr) sono
stati indirizzati su Radio Padania e su Il Populista (il
giornale online edito da Mc Srl, ndr)». Insomma,
Centemero sostiene che quei soldi non servivano a
finanziare la campagna elettorale della Lega, ma a
sostenere l’informazione realizzata dai suoi media.
Difficile capire quale sia la differenza sostanziale,
visto che Radio Padania e Il Populista sono testate
attraverso cui la Lega fa campagna elettorale. E
piuttosto complicato risulta anche comprendere perché,
se le cose stanno così, Esselunga e Parnasi (i donatori
dell'associazione che avevamo rivelato due mesi fa) non
sono stati invitati a donare soldi direttamente a Radio
Padania e a Il Populista. Il tesoriere Centemero ci ha
anche fatto sapere che l’associazione è ancora attiva, e
che a partire dalla sua fondazione, nell’ottobre nel
2015, «ha raccolto qualche centinaia di migliaia di euro
da aziende e privati». Nessuna informazione sui nomi dei
donatori: «La normativa delle associazioni e la
riservatezza dei dati richiesti mi impediscono di
rivelare i nominativi dei contribuenti e i relativi
importi», ci ha scritto Centemero.
L'inchiesta
integrale
Esclusivo: caccia ai soldi della Lega
Il denaro investito in modo illegale. E la onlus Più
voci per sfuggire ai giudici. Quel che non dice l’uomo che
vuole l’incarico di governo
di Giovanni Tizian e Stefano
Vergine
03 aprile 2018
Un’associazione senza scopo di lucro.
Una onlus usata per ricevere finanziamenti dalle aziende e
girarli subito dopo a società controllate dalla Lega. La
porta girevole è stata creata da tre commercialisti
fedelissimi a Matteo Salvini nell’ottobre del 2015, nel
pieno del processo per truffa che ha poi mandato sul
lastrico il partito imponendo il sequestro dei conti
correnti. Ma questo non è l’unico segreto finanziario del
nuovo leader della destra italiana, in corsa per diventare
capo del governo. Al riparo da occhi indiscreti ci sono
anche milioni di euro investiti in obbligazioni societarie e
titoli derivati. Scommesse proibite per un partito politico,
stabilisce la legge. Eppure la Lega le ha fatte. I
documenti ottenuti da L’Espresso permettono di andare oltre
i bilanci ufficiali e ricostruire un pezzo delle
trame finanziarie architettate dal Carroccio negli ultimi
sei anni, quelli cioè che vanno dalla cacciata di Umberto
Bossi a oggi. Il risultato è che alla narrazione legalitaria
sostenuta pubblicamente da Salvini si sovrappone una
gestione economica opaca, che richiama il passato bossiano,
tempi che “il capitano” vuole far cadere nell’oblio al più
presto.
Ripartiamo dunque dall’inizio. Dov’è finito il tesoro della
Lega? Dove sono spariti i 48 milioni di euro messi sotto
sequestro dal tribunale di Genova dopo la condanna di Bossi
per truffa ai danni dello Stato? Da mesi i giudici di Genova
sono a caccia di quei denari: soldi pubblici, perché frutto
dei rimborsi elettorali. Finora sui conti del Carroccio sono
stati però rinvenuti poco più di 2 milioni. Gli altri?
Usati, spesi, spariti: questo hanno sempre sostenuti i
massimi dirigenti del Carroccio. «Oggi sul conto corrente
della Lega nazionale abbiamo 15 mila euro», ha detto lo
scorso 3 gennaio Salvini, che non perde occasione per
ricordare come il suo partito sia senza un quattrino. La
stessa cosa si legge sui bilanci ufficiali.
Alcuni documenti bancari aiutano però a comprendere meglio
che fine ha fatto la ricchezza leghista. Facendo emergere un
fatto inedito: sia sotto la gestione di Roberto Maroni, sia
in seguito sotto quella di Salvini, parecchi milioni sono
stati investiti illegalmente. Una legge del 2012 vieta
infatti ai partiti politici di scommettere i propri denari
su strumenti finanziari diversi dai titoli di Stato dei
Paesi dell’Unione europea. Il partito che si batte contro
«l’Europa serva di banche e multinazionali» (copyright di
Salvini) ha cercato di guadagnare soldi comprando le
obbligazioni di alcune delle più famose banche e
multinazionali. Colossi come l’americana General Electric,
la spagnola Gas Natural, le italiane Mediobanca, Enel,
Telecom e Intesa Sanpaolo. Una fiche da 300mila euro è stata
messa anche sul corporate bond di Arcelor Mittal, il gruppo
siderurgico indiano che ha acquistato l’Ilva promettendo di
lasciare a casa circa 4mila lavoratori.
Ma lasciamo stare per un attimo gli investimenti e
torniamo al momento in cui tutto è cambiato. Il 16
maggio del 2012, poco dopo che la notizia dell’inchiesta per
truffa ha costretto Bossi a dimettersi da segretario
federale, la Lega apre un conto corrente presso la filiale
Unicredit di Vicenza. Nel giro di sei mesi vi trasferisce
buona parte della liquidità parcheggiata in altre banche:
24,4 milioni di euro in totale. È l’inizio di una frenetica
girandola di bonifici e giroconti che porteranno, nel giro
di quattro anni, al prosciugamento delle risorse finanziarie
padane. O almeno di quelle registrate sul conto della Lega
nazionale.
Degli oltre 24 milioni arrivati in Unicredit, una decina
sparisce quasi subito: prelievi in contanti, pagamenti non
meglio specificati, investimenti finanziari, trasferimenti
sui conti delle sezioni locali del partito, bonifici a
favore di società di capitali controllate dalla stessa Lega
come Pontida Fin, Media Padania ed Editoriale Nord. A
gennaio del 2013 un altro colpo di scena. Il partito, allora
guidato da Maroni, apre un nuovo conto corrente. Dove sposta
una buona fetta del tesoretto custodito in Unicredit. Questa
volta la scelta ricade sulla Sparkasse, la cassa di
risparmio di Bolzano. Non un istituto a caso.
L’attuale leader della Lega e Bobo Maroni hanno
utilizzato una parte dei 48 milioni di euro frutto della
truffa orchestrata dal Senatur e dall’ex tesoriere. Lo
dimostrano le carte del partito tra la fine del 2011 e il
2014 che abbiamo consultato
Il presidente della banca altoatesina è infatti Gerhard
Brandstätter, già socio d’affari dell’avvocato della Lega di
quel momento, il calabrese Domenico Aiello. Sul conto della
Sparkasse arrivano, oltre a 4 milioni di titoli finanziari,
6 milioni di liquidità. Bastano solo sei mesi, però, e i
soldi spariscono. La maggior parte del denaro viene usata
per finanziare la campagna elettorale di Maroni alla
presidenza della regione Lombardia: decine di bonifici a
società di comunicazione e organizzazione eventi, tra cui
spiccano i quasi 400 mila euro diretti alla sede irlandese
di Google, punto di passaggio obbligato per chiunque voglia
farsi pubblicità sul motore di ricerca più usato al mondo.
Anche in questo caso non mancano i trasferimenti alle sedi
locali del partito, ma la parte del leone - come avvenuto
pochi mesi prima con il conto Unicredit - la fanno le
società di capitali della Lega. Radio Padania: 250 mila.
Editoriale Nord: 600 mila. Pontida Fin: 206 mila. Fin Group:
360 mila. Una volta prosciugato il conto Sparkasse, si torna
a puntare tutto su Unicredit. Ed è qui che vengono a galla i
dettagli sugli investimenti finanziari. Nel dicembre del
2013, quando Maroni è ancora il segretario federale, il
Carroccio ha in pancia titoli per 11,2 milioni di euro. Due
terzi della somma equivalgono a buoni del tesoro italiani,
mentre il resto sono obbligazioni societarie. Ci sono anche
380 mila euro investiti in un derivato, un titolo basato
sull’andamento del Ftse Mib, il principale indice azionario
della Borsa di Milano. Insomma una Lega che, a dispetto
della legge e delle dichiarazioni ufficiali contro la
finanza speculativa, ha scelto di rischiare parecchio con i
soldi dei rimborsi elettorali.
Strategia che non è cambiata quando a Maroni è succeduto
Salvini. Alcuni documenti bancari riassumono il saldo del
conto corrente del Carroccio presso Unicredit il 19 maggio
del 2014, quando Matteo è ormai da qualche mese in plancia
di comando. Le carte raccontano due fatti. Il primo è che
anche Salvini ha investito i denari del partito in
obbligazioni societarie. Nello specifico, Matteo ha puntato
1,2 milioni su Mediobanca, Arcelor Mittal e Gas Natural. Il
secondo fatto salta all’occhio confrontando i saldi del
conto corrente leghista a distanza di soli cinque mesi. Da
dicembre del 2013 al maggio del 2014 il patrimonio è
crollato, passando da 14,2 milioni a 6,6 milioni. Non è dato
sapere in che modo siano stati spesi così rapidamente tutti
quei soldi. Di certo Salvini fino a qualche tempo fa poteva
disporre di parecchie risorse, mentre oggi i conti della
Lega sono ufficialmente a secco. Tant’è che lo Stato
italiano, attraverso i giudici di Genova, si è dovuto
accontentare di sequestrare solo 2 milioni sui 48 teorici.
Perché la Lega ha investito soldi violando una legge dello
Stato? E come mai i finanziamenti delle imprese sono
arrivati sui conti di una sconosciuta associazione no profit
invece che su quelli ufficiali? Alle domande de L’Espresso,
il partito guidato da Salvini ha preferito non rispondere.
Scelta che alimenta un dubbio: la onlus è stata creata per
evitare il sequestro dei soldi da parte dei magistrati? In
mancanza di risposte da parte dei diretti interessati, non
resta che attenersi ai fatti documentabili.
L’associazione si chiama Più Voci, esiste dall’autunno del
2015. All’apparenza sembra una rivisitazione in salsa padana
della fondazione renziana Big Bang. Con la differenza che la
onlus sovranista non ha nemmeno un sito internet,
figuriamoci una lista pubblica dei finanziatori. A tenerne
le redini sono tre commercialisti lombardi che Salvini ha
voluto al suo fianco nel nuovo partito: Giulio Centemero,
tesoriere, assistito dai colleghi Alberto Di Rubba e Andrea
Manzoni. Se è vero che la onlus Più Voci finora non ha
pubblicizzato alcuna attività politica o sociale, il conto
corrente di riferimento mostra una certa vitalità. Soldi -
313 mila euro in pochi mesi - che entrano,
fanno una sosta e poi ripartono per altri lidi. O meglio,
verso altri conti intestati a società della galassia
leghista: aziende in cui i commercialisti preferiti da
Salvini hanno incarichi di rilievo.
Per chiarire meglio il ruolo dell’associazione Più Voci è
necessario tornare tra la metà del dicembre 2015 e i primi
mesi del 2016, quando sul conto della onlus piovono due
bonifici per un totale di 250 mila euro. La causale è la
classica usata per i contributi ai partiti: “erogazione
liberale”. I versamenti sono stati disposti dalla
Immobiliare Pentapigna srl. Un nome che ai più non rivela
molto. Scavando sulla proprietà si arriva a uno dei più noti
costruttori della Capitale: Luca Parnasi,
titolare del 100 per cento delle azioni dell’immobiliare.
Già, proprio l’uomo che dovrebbe costruire il nuovo stadio
della Roma, erede di una dinastia di palazzinari (lui
preferisce il termine “sviluppatore di progetti”) che con il
potere ha sempre flirtato. Il padre Sandro, era un comunista
convinto, ha gettato le basi dell’impero, oggi con le
finanze scricchiolanti e con i debiti in mano a Unicredit.
Il figlio Luca preferisce il basso profilo, anche se qualche
anno fa ha tentato di far rivivere lo storico quotidiano di
sinistra Paese Sera, ma si è dovuto arrendere poco dopo.
Nella sua carriera non ha disdegnato affari con personaggi
equivoci. Come quello proposto dal capo della famigerata
“Cricca”, Diego Anemone, di recente condannato in primo
grado a 6 anni per associazione a delinquere. Una decina di
anni fa, Parnasi acquistò da Anemone per 12 milioni un
complesso residenziale di pregio dietro il Pantheon, un
tempo nella disponibilità del Vaticano.
Perché Parnasi ha versato almeno 250 mila euro
all’associazione leghista? L’immobiliarista romano non ha
risposto alle domande de L’Espresso. Di certo il primo
contributo versato all’associazione Più Voci si concretizza
il 12 dicembre di tre anni fa. Nel pieno dunque della
retorica sovranista di Salvini, che già in quel momento può
contare sul movimento Noi con Salvini per fare proselitismo
sotto il Po. E sempre a cavallo tra il primo e il secondo
bonifico il leader leghista annunciava la presenza della
Lega-Noi con Salvini alle Comunali poi vinte dai Cinque
Stelle e Virginia Raggi. Insomma, il sostegno “liberale”
offerto dal re del mattone Parnasi potrebbe essere letto in
questa ottica locale-Capitale. Un luogo dove il costruttore
ha bisogno di mantenere buoni rapporti con tutti, se vuole
davvero sperare di costruire lo stadio della Roma.
Ma, forse, non si tratta solo di questioni romane. Perché i
Parnasi si stanno giocando partite decisive per il futuro
del loro gruppo anche oltre il Tevere e il raccordo. C’è per
esempio il caso Ferrara. Qui la famiglia di costruttori è
proprietaria del Palaspecchi, un grande complesso
immobiliare che versa da anni in stato di abbandono. La
politica locale, con in testa la Lega, per diversi anni ha
sostenuto l’idea di demolire tutto. Un’ipotesi rischiosa per
Parnasi. Per sua fortuna, però, le cose sono cambiate. Dopo
anni di tira e molla, all’inizio dell’anno scorso la
situazione sembra essere stata risolta con un intervento
finanziato principalmente da Cassa depositi e prestiti.
L’ente che gestisce i risparmi postali degli italiani
dovrebbe permettere di riqualificare l’intera area e
realizzare duecentosessanta alloggi sociali, affiancati da
attività commerciali, servizi e spazi verdi. Un bel sospiro
di sollievo per il gruppo Parnasi, che intanto sta facendo
parlare di sé anche nell’altra capitale d’Italia, quella
economica, Milano. Un mese e mezzo fa, infatti, il Milan ha
affidato al quarantenne Luca Parnasi il compito di
individuare un’area adatta a realizzare il futuro campo di
proprietà rossonera.
L’immobiliarista ha dunque contribuito in maniera massiccia
alla causa di questa sconosciuta associazione leghista. Non
è il solo, però. Con 40 mila euro si piazza Esselunga, la
catena di ipermercati della famiglia Caprotti. Del resto
Salvini stesso non ha mai nascosto l’ammirazione per il
gruppo concorrente per eccellenza delle Coop. «Grande uomo,
mai servo di nessuno», scriveva nel suo addio su Facebook il
giorno della scomparsa di Umberto Caprotti. La causale del
bonifico di 40 mila euro versato a giugno 2016 recita
“contributo volontario 2016”. Quasi a voler sottolineare che
anche per quell’anno sono in regola con l’attestazione di
fiducia verso la Lega sovranista. Esselunga è stata l’unica
a rispondere alle nostre domande. La catena di supermercati
non ha spiegato perché abbia scelto di versare almeno 40
mila euro all’associazione leghista invece che donarli
direttamente al partito. Si è limitata a farci sapere che
quella cifra «è stata destinata a Radio Padania nell’ambito
della pianificazione legata agli investimenti pubblicitari
su oltre 70 radio». Ma allora perché le aziende non versano
il loro contributo direttamente alla Lega o a Radio Padania?
È un modo per confondere le acque ed evitare il sequestro
dei soldi? E per quale motivo scrivere nella causale
“Contributo volontario” se di pubblicità si trattava?
Domande a cui non è possibile dare risposta. Il
loquace Salvini, questa volta, ha preferito il no comment.
C’è da dire, però, che in effetti, poco dopo essere arrivati
sul conto della onlus i soldi, non solo quelli di Esselunga,
vengono girati a società di capitali del gruppo leghista. In
quattro mesi 265 mila finiscono proprio alla cooperativa
Radio Padania, quella della storica emittente del Carroccio,
mentre altri 30 mila euro vengono versati sul conto della Mc
srl, società leghista che controlla il giornale online Il
Populista, diventato lo strumento principe della propaganda
salviniana in rete. Insomma, l’operazione ha tutta l’aria di
essere una partita di giro. Anche perché l’amministratore
unico sia della Mc che di Radio Padania è lo stesso Giulio
Centemero, tesoriere del partito, che siede nella onlus da
cui partono i denari.
Le azioni della Mc sono saldamente in mano alla Pontida Fin,
altra cassaforte storica del Carroccio ormai caduta in
disgrazia, il cui 1 per cento continua a essere in mano al
Senatur Umberto Bossi. Frammenti di un passato che Salvini
vorrebbe rottamare, ma che non riesce a tenere fuori dalla
porta. Anche se una cosa Matteo Salvini l’ha cambiata
davvero. Roma per i sovranisti cresciuti tra le valli di
Pontida non è più ladrona. Ai tempi di Umberto Bossi era
proibito frequentare i salotti. Il Senatur aveva avvertito i
parlamentari padani, guai a mischiarsi con il potere romano,
tra manager, stelle dello spettacolo e palazzinari. Con la
Lega modello Front National, certe rigidità appartengono al
passato secessionista.
Mutui, la prova della truffa Via a rimborsi
per 16 miliardi
Dopo tre anni ecco la sentenza Ue
sull'Euribor truccato da banche estere. Ma si può far causa pure alle
italiane
La Commissione
europea, tre anni dopo aver condannato quattro tra le più grandi banche
europee per aver truccato il tasso di interesse che incide sui mutui di
milioni di cittadini europei, ha finalmente tolto il segreto al testo
della sentenza. E quel documento di trenta pagine potrebbe valere, solo
per gli italiani che hanno un mutuo sulle spalle, ben 16 miliardi di
euro di rimborsi da chiedere alle banche.
La storia parte con
la scoperta di un'intesa restrittiva della concorrenza, ovvero un
cartello, tra le principali banche europee. Lo scopo, secondo
l'Antitrust europeo, era di manipolare a proprio vantaggio il corso
dell'Euribor, il tasso di interesse che funge da riferimento per un
mercato di prodotti finanziari che vale 400mila miliardi di euro. Tra
questi ci sono i mutui di 2,5 milioni di italiani, per un controvalore
complessivo stimabile in oltre 200 miliardi. L'Euribor viene calcolato
giorno per giorno con un sondaggio telefonico tra 44 grandi banche
europee, che comunicano che tasso di interesse applicano in quel momento
per i prestiti tra banche. Il risultato del sondaggio viene comunicato
all'agenzia Thomson Reuters che poi comunica il valore dell'Euribor agli
operatori e al pubblico. L'Antitrust ha scoperto che alcune grandi
banche, tra il 2005 e il 2008, si erano messe d'accordo per falsare i
valori comunicati e manipolare il valore del tasso secondo la propria
convenienza. «Alcune volte, -recita la sentenza che il Giornale ha
potuto visionare- certi trader (omissis...) comunicavano e/o ricevevano
preferenze per un settaggio a valore costante, basso o alto di certi
valori Euribor. Queste preferenze andavano a dipendere dalle proprie
posizioni commerciali ed esposizioni»
Il risultato
ovviamente si è riflettuto sui mutui degli ignari cittadini di tutta
Europa, che però finora avevano le unghie spuntate. Un avvocato di
Sassari, Andrea Sorgentone, legato all'associazione Sos Utenti, ha
subissato la Commissione di ricorsi per farsi consegnare il testo della
sentenza dell'Antitrust che condanna Deutsche Bank, Société Genéralé,
Rbs e Barclay's a pagare in totale una multa di oltre un miliardo di
euro.
La Ue ha sempre
rifiutato adducendo problemi di riservatezza delle banche, ma alla fine
l'avvocato ha ottenuto una copia della sentenza, seppur in parte
«censurata». E ora il conto potrebbe salire. E non solo per quelle
direttamente coinvolte, perché il tasso alterato veniva applicato ai
mutui variabili da tutte le banche, anche le italiane, che ora
potrebbero dover pagare il conto dei trucchi di tedesche, francesi e
inglesi. Sorgentone si dice convinto di poter ottenere i risarcimenti:
«Secondo le stime più attendibili -dice- i mutuatari italiani hanno
pagato interessi per 30 miliardi, di cui 16 indebitamente. La sentenza
europea è vincolante per i giudici italiani. Ora devono solo
quantificare gli interessi che vanno restituiti in ogni rapporto mutuo,
leasing, apertura di credito a tasso variabile che ha avuto corso dal 1
settembre 2005 al 31 marzo 2009».
27.01.17
Autovelox, nulle le multe nei centri abitati se non c'è la
pattuglia a presidiare l'apparecchio:
ROMA - Le multe per eccesso di velocità rilevato tramite
autovelox all'interno dei centri abitati devono essere annullate se la
colonnina non è presidiata da una pattuglia. Questo, almeno, è quanto
affermato dal Giudice di pace di Vigevano, con la sentenza numero
334/2015. Il giudice, in particolare, ha annullato un verbale elevato
dalla Polizia Locale di Garlasco proprio per il mancato presidio della
postazione da parte degli accertatori, affermando che, innanzitutto, le
postazioni di controllo che, come nel caso di specie, si trovano in un
centro abitato, devono essere presidiate e gestite dagli organi di
polizia stradale e che, inoltre, le apparecchiature elettroniche
utilizzate per la verifica del rispetto dei limiti di velocità devono
essere nella disponibilità di tali organi. tal senso va, del resto, il
testo dell'articolo 345, comma 4, del regolamento di esecuzione e di
attuazione del codice della strada. Per il Giudice di pace, secondo
quanto riporta il portale www.StudioCataldi.it, tali disposizioni devono
essere considerate tassative, mentre, nella specie, l'organo accertatore
non vi si era attenuto: in assenza di annotazioni a verbale precise e
indicative dell'esatta ottemperanza delle regole sopra viste, a nulla
rileva il fatto che nelle sue deduzioni, prive di fede privilegiata, la
resistente abbia affermato che la colonnina è presidiata da una
pattuglia che effettua normali controlli nelle immediate vicinanze della
stessa e ne controlla il regolare funzionamento.
La giunta di Appendino utilizzerà nel bilancio 2017 gli oneri di
urbanizzazione per far quadrare i conti della città. E cede a un
costruttore un'area al confine con Collegno per realizzare l'ennesima
zona commerciale
Torinofor sale.
Un po’ di cemento per far quadrare i conti. La giunta ha approvato
questa mattina una delibera che consentirà anche per il 2017 l’utilizzo
degli oneri di urbanizzazione per chiudere anche il primo bilancio
targatoM5s.
è quanto è stato deciso questa mattina dall’esecutivo cittadino, “in
netto contrasto con le indicazioni dei consiglieri grillini che meno di
60 giorni fa avevano imposto alla giunta di non farlo” sbotta il
capogruppoPd
Stefano Lo Russo, che già il 28 novembre definì la medesima
operazione, varata in sede di consuntivo, una porcata politica. Secondo
un noto principio contabile, infatti, gli oneri di urbanizzazione,
ovvero le risorse derivanti dalla cessione di diritti edificatori sono
considerate entrate non ripetitive e quindi da utilizzare per gli
investimenti o al limite per abbattere il debito e non inserite nel
grande calderone della spesa.
Il motto sarà pochi, maledetti e subito. Come dimostra anche il semaforo
verde concesso per la costruzione dell’ennesimo supermercato sul
territorio cittadino, più precisamente su un’area nei pressi del civico
430 di corso Francia, all’angolo con via Pasteur, poco prima del confine
con Collegno (area ex Isim). Il terreno, di 14mila metri quadrati, è già
stato ceduto attraverso trattativa diretta per una superficie di vendita
di 2.499 metri quadrati, il massimo consentito dalla legge regionale.
Tutt’intorno dovrebbe sorgere un complesso residenziale per
un’operazione che porterà nelle casse di Palazzo Civico 2,687 milioni
(la precedente amministrazione aveva messo a bando la stessa area per
3,5 milioni ma la gara andò deserta, così come quelle successive).
Pochi, maledetti e subito. La delibera è stata approvata il 28 ottobre
dello scorso anno e avrà effetto nel 2017. Accidentalmente anche in
quell’occasione ilvicesindaco
e assessore all’UrbanisticaGuido
Montanarinon era
presente e, significativamente, l’atto è stato presentato dal titolare
del Patrimonio e del BilancioSergio
Rolando.
Ad acquisire l’area è la società romana Effemme immobiliare Srl,
specializzata nella realizzazione di piattaforme commerciali, per il
tramite dell’architettoUbaldo
Bossolono. Gli acquirenti, come si legge nella delibera della
giunta, pongono anche una serie di condizioni per completare
positivamente l’acquisto, a partire dalla richiesta di ottenere due
permessi di costruire indipendenti per la parte commerciale – la più
ghiotta – e per quella residenziale. In modo da consentire ai
costruttori di partire subito con la realizzazione del supermercato,
senza vincolarlo alla realizzazione delle case e alla sistemazione di
quell’area. Condizioni di favore in cambio di denaro sonante. Pecunia
non olet.
Questo terreno in c.Francia 430 Torino era stato ceduto 20 anni fa
per costruire proprio gli immobili siti in C.Francia 430 ed avrebbe
dovuto diventare un parco, su cui il Comune non ha mai investito:
APPENDINO-FASSINO nulla cambia. Elettori purtroppo dovrete cambiare
ancora.
EYESPY.MP, IL NUOVO STRACULT BRITANNICO DEL WEB 2.0:
BASTA UN TWEET E IL POLITICO BECCATO QUA E LA' E' SUBITO IN RETE
Da "nomfup.wordpress.com"
Si sono ispirati a quel sito disgraziato di Dagospia, ma hanno
decisamente esagerato. Da pochi giorni in Gran Bretagna è nato su
Twitter EyeSpy.MP (http://twitter.com/eyespymp)
Dalle sperimentazioni in corso in Giappone
incominciano a delinearsi i dati di consumo delle auto con fuel cell a
idrogeno. Lungo un percorso di 1.132 km, i modelli Honda FCX Clarity,
Nissan X-Trail FCV e Toyota Highlander FCHV hanno percorso mediamente
118 km con un kg d'idrogeno.
Un dato promettente, tenendo conto che un chilogrammo d'idrogeno
contiene quasi la stessa energia di quattro litri di benzina (che pesano
circa 3 kg): in pratica, dal punto di vista energetico (sui costi è
attualmente impossibile fare i conti), è come se le vetture avessero
percorso 30 km con un litro benzina. Un eccellente risultato tenendo
conto che i modelli in questione hanno dimensioni abbastanza elevate. Il
problema, attualmente, è che per stivare la quantità d'idrogeno gassoso
compresso a 700 bar necessaria a percorrere 400 km occorrono ancora
ingombranti e pesanti bombole.
ARRIVA
LA CERNOBBIO DEI «BLOGGER» ECONOMICI...
(M. Ver. per il "Corriere della Sera") - La blogosfera dei commentatori
economici e finanziari va offline e s'incontra in carne ed ossa, tra
incontri, dibattiti e seminari: va in scena il 12 e 13 novembre a
Castrocaro Terme il «BlogEconomy Day», il festival dei blogger
economici, arrivato quest'anno alla seconda edizione.
Nato in una
sera di fine estate 2010 da un'idea di tre blogger attivi in ambito
economico e finanziario - Bimbo Alieno, Mercato Libero, Il Grande Bluff
- il «BlogEconomy Day» schiera oltre venti voci indipendenti del web e
si articola in un fitto calendario di incontri e sessioni di «live
blogging», che da quest'anno saranno visibili in streaming video sul
sito del blog fest (http://blogeconomyday.altervista.org):
un'integrazione tra online e offline che si estende anche all'account
Twitter aperto per l'occasione, sul quale i partecipanti «in remoto»
avranno la possibilità di fare domande ai relatori.
Dopo il debutto
di un anno fa ad Acqui Terme il BlogEconomy Day, e quella che all'inizio
poteva apparire «una mezza follia» si è rivelata un successo, con circa
450 partecipanti in sala. «Prima sono arrivate le adesioni degli altri
blogger e poi soprattutto la risposta dei nostri lettori è stata
travolgente, inducendoci a tornare quest'anno a replicare l'evento». E
quest'anno, seguendo le correnti dell'attualità, i mala tempora della
crisi la faranno da primi attori in scena, ispirando molti degli
interventi.
Tra i temi caldi
ci saranno il debito pubblico e l'ipotesi di default; fornirà carburante
al dibattito anche il tema dei Btp. Altri incontri saranno dedicati
all'euro, al signoraggio, alle tasse, alle imprese ed ai nuovi modelli
sociali possibili. Completa il programma un corso di educazione
economica per ragazzi dagli 8 ai 18 anni ed una sessione di trading.
SAPEVI CHE
L'INCENERITORE PROVOCA DANNI E MORTE CALCOLATI ECONOMICAMENTE DAL
POLITECNICO DI TORINO :
La tecnica per arrivare ad ottenere il consenso sull'inceneritore
che uccide non si raccoglie piu' l'immondizia si fa crescere l'emergenza
, si crea il consenso all'inceneritore ed il guaio e' fatto !
LA SINTESI CHE SEGUE E’ STATA REDATTA DAL DR.TOPINO IN
DATA 02,03.10 PER UNA INTERPELLANZA MAI FATTA DALL’
On. Scilipoti Domenico
Cromo esavalente nel comprensorio della Spina 3, area
Vitali, di Torino e precisamente nel quadrilatero compreso tra via
Borgaro, via Verolengo, via Orvieto e corso Mortara.
Nel corso delle indagini ambientali, condotte nel 2002
presso la sede dell'ex acciaieria Vitali a Torino, è stata riscontrata
una situazione di contaminazione dovuta alla presenza di cromo
esavalente in concentrazioni eccedenti il limite di 5 µg/litro fissato
dal DM 471/99 per le acque sotterranee, con un massimo pari a 455
µg/litro in corrispondenza del pozzo di monitoraggio denominato P4.
La sorgente principale del cromo esavalente è stata
individuata nelle vasche di neutralizzazione e di filtrazione, nonché
nell'area di terreno dove era presente la lavorazione di cromatura.
In virtù dell'elevato valore di cromo esavalente
riscontrato, è stata decisa l'installazione di un sistema di pompaggio e
di trattamento con solfato ferroso dell'acqua di falda, definito Pump &
Treat, che, come prevedibile, ha dato risultati modesti.
Gli ultimi monitoraggi indicano che i valori di
concentrazione del cromo esavalente, dal 2003 al 2005, sono rimasti
superiori ai valori stabiliti dal DM 471/99 e dal DLgs 152/06 e
pressoché costanti sia nell'area dello stabilimento, che immediatamente
a valle di esso.
L’Arpa Piemonte, in data 11 settembre 2008, ha precisato
che: “L'area è stata messa in sicurezza, sono stati eliminati i
fanghi contaminati (ndr: anche se la domanda su dove siano finiti è
rimasta senza risposta), è stato fatto un pompaggio e un trattamento
delle acque, tanto che ora negli stessi punti di prelievo del 2002, la
concentrazione di cromo esavalente va dai 0,5 ai 30 microgrammi/litro
(ndr: tenendo presente che il limite per il cromo esavalente nell’acqua
di falda è di 5 microgrammi/litro). L'area non
è ancora bonificata e i dati si riferiscono alla prima fase di messa in
sicurezza”.
La relazione tecnica in oggetto precisa che:
“L’intervenuto obbligo del D.Lgs 4/2008 di rispettare i limiti tabellari
per le acque di falda al confine del sito è ancora al vaglio degli Enti”
e che “La misura massima più recente (febbraio 2008) è stata pari
a 22 microgrammi al litro”, cioè oltre quattro volte il limite
tabellare previsto per il cromo esavalente.
Il sito dell'acciaieria, fin dall'inizio del '900 sede di
attività di tipo industriale siderurgico, ha una superficie di 250.000
metri quadri, che dovrebbe essere destinata ad uso pubblico e
residenziale.
Tale area è risultata contaminata da scorie di acciaieria
con superamento dei limiti consentiti da parte dei principali metalli
pesanti (nichel, cromo e cromo esavalente).
L'inquinamento è stato riscontrato anche all'esterno del
sito, dove sono stati trovati degli strati di riporto contenenti scorie
di acciaieria.
Il volume delle scorie è stato stimato in circa mezzo
milione di metri cubi.
Sono stati riscontrati anche altri contaminanti in
quantità superiore ai limiti.
Visto l'elevato volume di scorie di acciaieria presente e
considerato che il costo di conferimento in discarica è stato stimato
pari a circa 80 milioni di euro (nel 2003), l'intervento di rimozione di
tutta la massa dei rifiuti è stato valutato non compatibile con il
valore dell'area.
E’ stato stabilito di rimandare ad un approfondimento con
la SMAT la decisione di autorizzare lo scarico delle acque provenienti
dal trattamento nella rete fognaria o nelle acque superficiali.
Le determinazioni più recenti consistono nella
preclusione alla realizzazione di pozzi ad uso idropotabile, nell'area
costituita dalla prevedibile estensione della situazione di
contaminazione da cromo esavalente dopo un tempo di 50 anni.
La Provincia ha richiesto alcune integrazioni, perché
ritiene che dopo lo spegnimento dell'impianto Pump & Treat, con un
possibile nuovo aumento dei valori di cromo esavalente, bisognerebbe
installare un pozzo di monitoraggio nel punto limite presunto di
contaminazione.
La Provincia ha anche richiesto un monitoraggio di
carattere permanente e la registrazione sugli strumenti urbanistici dei
vincoli derivanti dal permanere di acque sotterranee contaminate, al
fine di garantire nel tempo la tutela della salute pubblica ed una
adeguata protezione dell'ambiente.
Da un documento Ufficiale della Città di Torino possiamo
apprendere che il cromo esavalente, al termine delle operazioni di
bonifica supera ancora il limite di legge di 5 microgrammi/litro.
Le concentrazioni di cromo esavalente nella falda
rimangono superiori ai limiti, cosa mai negata dalle Amministrazioni.
Divisione Ambiente e Verde
Settore Ambiente e Territorio
Ufficio Bonifiche
Prot n. 14532 Tit. 06 Cl. 9 – 7 Fasc. 3
Data: 18/09/2008 074/S147/Eh
…
La messa in sicurezza di emergenza del nucleo più
contaminato da cromo esavalente della falda è stata condotta fra ottobre
2003 e maggio 2005. A seguito di tale intervento i livelli di
concentrazione presenti in falda, seppur sempre superiori ai limiti di
legge, sono sensibilmente diminuiti, da oltre 400 a 30
microgrammi/litro.
…
Il Dirigente Settore Ambiente e Territorio
Ing. Federico Saporiti
Il cittadino potrebbe porsi alcune domande:
Non era il caso di informare la popolazione, che sembra
all'oscuro di tutto?
Non conveniva bonificare l'area subito, invece di
programmare interventi di monitoraggio per 50 anni?
L'acqua e la salute delle persone non sono beni preziosi?
Non valgono di più del costo stimato per la bonifica?
Perché in nessun punto dei documenti acquisiti viene
precisato che il cromo esavalente è un cancerogeno di prima classe al
pari del benzene, dell'amianto, delle ammine aromatiche e delle
radiazioni ionizzanti?
Perché l’inchiesta sull’inquinamento da cromo esavalente
nell’area in esame è stata archiviata pur sapendo che i valori di
inquinamento sono risultati superiori ai limiti tabellari di legge?
Cromo esavalente nella Dora a Torino
In una intervista rilasciata recentemente a Radio Impronta Digitale, il
Dott. Silvio Coraglia, direttore della Circoscrizione 2 di Torino, ha
parlato anche della questione relativa al cancerogeno cromo esavalente
trovato nella falda acquifera adiacente alla Dora Riparia nell’area
dell’ex acciaieria Vitali.
Dice il Coraglia:
“Un ultima cosa volevo dire rispetto ad allarmismi creati
anche da sedicenti esperti in materia è che questi sedicenti esperti in
materia nel più recente passato hanno suscitato allarmi e timori
infondati tipo ad esempio il cromo nella Dora che... anche qui era stata
fatta una grossa campagna di stampa sulla possibilità di cromo sulla
Dora, fatti tutti gli interventi e tutte le misurazioni si è dimostrato
assolutamente inutile, quindi invito i cittadini anche a diffidare da
sedicenti esperti e tecnici che tendono poi ad allarmare più del dovuto
la popolazione e le persone che gli vengono a contatto”.
Ma come stanno realmente le cose?
Da un documento Ufficiale della Città di Torino possiamo
apprendere che il cromo esavalente, al termine delle operazioni di
bonifica supera ancora il limite di legge di 5 microgrammi/litro.
Divisione Ambiente e Verde
Settore Ambiente e Territorio
Ufficio Bonifiche
Prot n. 14532 Tit. 06 Cl. 9 - 7 Fasc. 3
Data: 18/09/2008 074/S147/Eh
...
La messa in sicurezza di emergenza del nucleo più
contaminato da cromo esavalente della falda è stata condotta fra ottobre
2003 e maggio
2005. A
seguito di tale intervento i livelli di concentrazione presenti in
falda, seppur sempre superiori ai limiti di legge, sono
sensibilmente diminuiti, da oltre
400 a
30 microgrammi/litro.
...
Il Dirigente Settore Ambiente e Territorio
Ing. Federico Saporiti
Via Padova 29 - 10152 Torino - tel. +39.011.4426542 - fax
+39.011.4426562
Dove gli adulti
falliscono o dimostrano tutti i loro limiti, spesso sono i bambini
a rimettere le cose a posto: a questo tema il sito americano TreeHugger
ha recentemente dedicato un articolo, proponendo 6
storie di piccoli grandi ambientalisti che, con semplicità e
schiettezza, si sono resi protagonisti di azioni importanti a tutela
della natura. Noi ci siamo presi la libertà di aggiungere all’elenco
due bambini molto speciali, la canadese Severn
Suzuki e il tedesco Felix
Finkbeiner.
1. Caitlyn
Larsen
Caitlyn è un
bambina di 10 anni di Orogrande, New Mexico. Un giorno, guardando fuori
dalla finestra della sua cameretta, si è accorta che sul fianco di una montagna
vicina si stava aprendo uno strano buco. Indagando, Caytlin ha scoperto
che si trattava di una nuova cava
mineraria. A questo punto, la ragazzina ha preso carta e penna e
ha scritto ai giornali, per raccontare come quei lavori di scavo
stessero devastando il paesaggio
intorno alla sua città. La lettera non è passata inosservata ed è finita
sulla scrivania del direttore della New Mexico Mining and Mineral
Division, che ha convinto la società a bloccare le perforazioni: la
montagna di Caitlyn è salva!
2. Birke Baehr
A soli 11 anni
Birke ha le idee molto chiare in tema di alimentazione:
è infatti un convinto paladino del biologico
ed è diventato protagonista di incontri nelle scuoleamericane, per raccontare la propria esperienza e sensibilizzare
i coetanei, invitandoli a riflettere sul valore nutrizionale di
ciò che mangiano, sugli OGM e sull’uso di pesticidi
e di altre sostanze nocive nelle coltivazioni.
3. Olivia
Bouler
Ricordate il
disastro della Deepwater
Horizon, che lo scorso anno ha tenuto con il fiato sospeso il
mondo intero? Di fronte a tanta devastazione ambientale,
l’undicenne Olivia ha deciso di darsi da fare in prima persona,
collaborando con la National
Audubon Society per vendere i disegni degli esemplari di uccellipiù colpiti dallamarea nera. La vendita ha fruttato oltre 200.000 dollari,
che sono stati devoluti ad azioni di ripristino degli ecosistemi del
Golfo. In occasione del primo anniversario dell’incidente, Olivia
ha anche pubblicato un libro, perché quanto accaduto non venga
dimenticato ma rappresenti un monito per il futuro.
4. Cole
Rasenberger
A 8 anni Cole si
è impegnato attivamente per salvare le foreste della sua regione, nel North Carolina,
coinvolgendo numerosi coetanei della propria scuola. La sua iniziativa è
stata di una semplicità estrema: i bambini hanno inviato delle cartolinefirmate alle catene di fast food per chiedere loro di passare a packagingriciclati e sostenibili. La mobilitazione ha centrato un
obiettivo importante, ottenendo risposte ed impegni da un colosso del
settore, McDonald’s.
Successivamente, gli sforzi di Cole si sono concentrati su una seconda
catena, la KFC: l’azienda ha ricevuto direttamente dalle mani del
bambino ben6.000 cartoline, grazie al coinvolgimento
degli allievi di altre scuole elementari della zona, ma al momento non
ha offerto riscontri positivi. L’importante, però, è non mollare!
A 9 anni Mason ha
fatto una constatazione di una semplicità disarmante: si è reso conto
che il getto d’acqua
che scaturiva dai rubinetti del bagno della scuola, del campo di
baseball, dei negozi e delle case della sua città era inutilmente
forte. Per questo, ha scritto al sindaco chiedendogli di abbassare
la pressione dell’acqua nelle tubature, ottenendo un risparmio
idricocalcolato tra il 6% e il 25%.
6. Ashton
Stark
A 14 anni
Ashton ha deciso che era ora di tagliare le emissioni di CO2 della propria famiglia:
con questo obiettivo, ha preso la vecchia auto dei nonni, parcheggiata
in garage a prendere polvere, e l’ha dotata di nove batterie da golf cart. Ora la vecchia auto può
viaggiare ad una velocità massima di poco più di 70 km/h – non molto, ma
sufficiente per spostarsi in città – senza emettere anidride carbonica.
7. Severn
Suzuki
Nel 1992, a soli
12 anni, Severn promosse una raccolta fondi con la Environmental
Children's Organization (ECO), un gruppo di bambini ecologisti da
lei fondato 3 anni prima, per poter prendere parte al Vertice della
Terra delle Nazioni Unite, a Rio de Janeiro. Qui, in soli sei
minuti e con parole semplici, schiette ed efficaci, Severn espresse il punto
di vista di una bambina sui maggiori problemi ecologici, zittendo
(momentaneamente…) i potenti del mondo. Oggi, a 30 anni, Severn continua
nel suo impegno a favore della tutela dell’ambiente, collaborando con The
Skyfish Project.
8. Felix
Finkbeiner
A 9 anni, dopo una
lezione della sua maestra sulla fotosintesiclorofilliana, Felix decise di piantare un piccolo albero
sul davanzale della finestra della sua classe, per poi esclamare, con
quell’entusiasmo genuino tipico dei più piccoli, “Pianterò un
milione di alberi in Germania”. Oggi Felix ha 13 anni e, al
motto Stop talking! Start planting!, ha superato il suo
obiettivo: ha infatti piantato il milionesimo albero il 4 maggio 2011.
Alla cerimonia erano presenti rappresentanti politici e Ministri
dell'Ambiente di ben 45 nazioni.
Piccoli grandi
uomini da cui i "veri" grandi dovrebbero prendere esempio.
Tra Ottocento e Novecento furono
messe a punto alcune invenzioni che avrebbero potuto
rivelarsi in grado di rivoluzionare la nostra esistenza odierna.
Se l'auto
ecologica progettata da Henry Ford o l'automobile a
corrente alternata ideata da Nikola Tesla fossero state
prodotte su larga scala decenni fa, forse in questo momento non ci
troveremmo a condurre guerre spietate per il possesso del
petrolio necessario alla produzione del carburante che, secondo
Ford, avrebbe potuto essere ricavato in ingenti quantità a partire dai
vegetali. Lo stesso Tesla fu in grado di creare un motore
elettrico ad emissioni zero e di ricavare energia
sfruttando le correnti elettriche della Terra. A due donne si
devono invece l'invenzione del primo sistema antinquinamento e di un
dispositivo per rendere potabile l'acqua di mare grazie ai raggi solari.
Senza
stare a sindacare sul "perché" queste invenzioni non abbiano trovato
seguito, proviamo a ricordarle e a omaggiarle affinché siano da spunto
per un reale cambiamento di rotta, anche alla luce delle recenti
scoperte tecnologiche.
1) Energia
elettrica gratis dalla Terra
Nikola Tesla
(1856 – 1943) fu un ingegnere ed inventore di origine serba,
ma naturalizzato statunitense, che sperimentò particolarmente
nell'ambito dell'elettromagnetismo tra fine Ottocento
ed inizio Novecento. Tra le sue ideazioni vi fu quella di
riuscire a ricavare energia in maniera praticamente gratuita
sfruttando le correnti elettriche fornite dalla Terra. Tesla, da moti
considerato un genio, provò la propria capacità di sfruttare le correnti
elettriche che attraversano le rocce ed i suoni insieme ad un amico
nell'area di Pike Peak mediante due strumenti denominati
autoharp, delle arpe di trasmissione dotate di microfoni. I due
si separarono ponendosi ai lati opposti di un picco, distanziati l'uno
dall'altro da quattro chilometri di roccia. Gli strumenti furono
collegati al terreno attraverso un metodo segreto e furono sintonizzati
in base alle risonanze armoniche della Terra. Al preciso momento che
Tesla aveva stabilito, i due strumenti furono in grado di produrre
note musicali per suonare interi brani grazie all'impiego della
corrente elettrica terrestre.
2) Il primo
sistema antinquinamento
Il
primo sistema antinquinamento della storia fu inventato
da una donna statunitense nel 1879. Parliamo di
Mary Walton, la quale decise di dirigere il proprio impegno
e le proprie conoscenze verso l'obiettivo di ridurre le
emissioni inquinanti e nocive provenienti dalle fabbriche, che
in quegli anni si stavano prepotentemente diffondendo sul territorio.
L'invenzione della Walton era basata sull'utilizzo di enormi
contenitori ricolmi d'acqua, simili a serbatoi, verso i quali
venivano condotte le polveri inquinanti, che proprio dall'acqua dovevano
essere trattenute prima di venire convogliate lungo la rete fognaria. A
Mary Walton si deve inoltre la progettazione del primo sistema in grado
di limitare l'inquinamento acustico.
3)
Distillatore solare per l'acqua di mare
Maria
Telkes (1900 – 1995), nel 1920, quando all'epoca
aveva solamente vent'anni, inventò un sistema di distillazione
solare in grado di rendere potabile l'acqua di mare.
Il sistema prevedeva d versare dell'acqua salina in uno speciale
recipiente ricoperto da una lastra in vetro trasparente, che doveva
essere esposto al sole, affinché i raggi solari potessero svolgere la
propria azione di depurazione dell'acqua. Il sistema era in grado di
produrre nel giro di poche ore alcuni litri di acqua potabile,
che poteva rivelarsi indispensabile nel caso di un naufragio per la
sopravvivenza dei passeggeri di un'imbarcazione. A lei si devono inoltre
l'invenzione del forno solare e della Casa Carlisle, il
primo edificio sperimentale a riscaldamento solare.
4) L'auto
ecologica di Henry Ford
Il
fondatore della casa automobilistica più famosa di tutti i tempi fu,
all'insaputa di molti, l'ideatore di una delle prime automobili
completamente ecologiche e green, sia per via dei materiali che
la costituivano sia per via della fonte combustibile utilizzata per il
suo funzionamento. Si tratta della
Hemp Body Car, ideata da Henry Ford (1863 – 1947) nel 1941.
L'automobile era costituita principalmente da fibre di cellulosa
biodegradabili derivate dalla canapa e dalla
paglia di grano, ma non solo. Il funzionamento del suo motore era stato
reso possibile mediante l'impiego di etanolo di canapa. Già nel 1925
Ford aveva azzardato l'ipotesi di riuscire a creare un'auto
completamente realizzata ed alimentata grazie alla canapa. Era
inoltre certo che dalla maggior parte dei vegetali, comprese mele,
patate ed erbacce, potessero essere tratte sostanze combustibili da
utilizzare per il funzionamento degli stessi mezzi per la coltivazione
agricola, garantendo la possibilità di coltivare i campi con l'ausilio
di mezzi meccanici per centinaia di anni. La Hemp Body Car era
alimentata dalla canapa distillata, il cui valore inquinante era stato
indicato come pari a zero. Perché non venne mai prodotta su larga scala?
Poiché Ford morì pochi anni dopo, nel 1947, e poiché nel 1955 la
coltivazione della canapa fu proibita negli Stati Uniti.
5) L'auto a corrente alternata di
Tesla
Ancora
a Nikola Tesla si deve l'ideazione di un'automobile in grado di
sfruttare la corrente alternata, anziché la corrente continua.
Grazie a Tesla nel 1895 nei pressi delle Cascate del Niagara era entrata
in funzione una stazione idroelettrica a corrente alternata grazie alla
quale egli raggiunse la propria popolarità all'interno del panorama
scientifico. La Pierce-Arrow begli anni Trenta del '900
aveva deciso di dare vita ad un'automobile
elettrica in grado di sfruttare la corrente alternata
seguendo le istruzione fornitegli da Tesla. I suo motore era progettato
per raggiungere 1800 giri al minuto ed era dotato di una ventola
frontale per il raffreddamento. Il motore dell'automobile fu in seguito
modificato da Tesla al fine di permettere il funzionamento autonomo del
veicolo mediante un circuito elettrico in grado di produrre
energia e di garantire il funzionamento in movimento del mezzo
per decine di chilometri senza che il motore emettesse alcun rumore e
senza la produzione di sostanze inquinanti. Secondo Tesla il nuovo
dispositivo di sua invenzione non solo avrebbe potuto alimentare
un'automobile per sempre, ma anche fornire l'energia necessaria ad
interi edifici. Tesla morì solo e dimenticato nel 1943,
frustrato per non essere riuscito ad imporre al mondo i propri progetti,
che probabilmente non furono compresi poiché giudicati in
anticipo di almeno mezzo secolo.
Quasi
tutti sanno che nel 1903 Henry Ford fondò una delle case
automobilistiche che hanno fatto la storia: la
Ford
Motor Company. Sono invece pochi a conoscere chelo stesso Ford progettò un veicolo costruito principalmente di
fibre di cellulosa biodegradabili derivate da
canapa , sisal e paglia di grano, ma - soprattutto -
alimentata per mezzo di etanolo di canapa. Correva
l'anno 1941. E la vettura in questione era la
Hemp Body Car, l'auto più ecologica del mondo.
Henry
Ford non aveva mai nascosto il sogno di realizzare "...vetture a
prezzi ragionevoli, affidabile ed efficienti..." e tutt'ora,
con le dovute remore dettate dal mercato, la casa statunitense da lui
fondata è in effetti una delle più accattivanti per quanto riguarda il
rapporto qualità prezzo. Per quanto riguarda il progetto della "bio
vettura" si erano, però, creati tutti i presupposti per
trovarsi di fronte ad un mezzo che avesse le capacità di esaudire
totalmente le volontà di Ford.
Già nel 1925 lo stesso Ford rilasciò
al New York Times una
dichiarazione che fece supporre quanto avesse competenze e volontà
adeguate a creare un'autovettura capace di utilizzare carburanti
alternativi: "Il carburante del futuro sta per venire dal frutto,
dalla strada o dalle mele, dalle erbacce, dalla segatura, insomma, da
quasi tutto. C'è combustibile in ogni materia vegetale
che può essere fermentata e garantire alimentazione.
C'è abbastanza alcool nel rendimento di un anno di un campo di patate
utile per guidare le macchine necessarie per coltivare i campi per un
centinaio di anni". Ford all'epoca azzardò l'ipotesi che si potesse
arrivare a vetture fatte di canapa che utilizzassero l'etanolo come
carburante.
Unendo
la passione per la natura ed un indubbio fiuto per gli affari,
l'imprenditore americano volle ad ogni costo che venisse realizzata una
vettura che "uscisse" dalla terra. Per realizzare questo affascinante
progetto impegnò nella ricerca fior fiore di ingegneri che nel 1941,
dopo 12 anni di studi, diedero forma concreta allapiù
ecologica delle automobili. La Hemp Body Car era una realtà:
interamente composta da plastica in fibre di canapa,
biodegradabile e dieci volte più leggera delle auto con carrozzeria
d'acciaio.
Inoltre per dimostrare quanto fosse valido tale progetto si realizzò
persino uno spot in cui la vettura veniva colpita ripetutamente con un
martello da incudine senza che si scalfisse o graffiasse minimamente. Ma
la grande novità, come detto, era nel carburante: la Hemp Body Car era
difatti alimentata dalla canapa distillata, il cui
impatto inquinante era pari ad un clamoroso "valore zero". Henry Ford
morì sei anni dopo e, nel 1955, la coltivazione della canapa venne
proibita negli Usa. I re dell'acciaio e del petrolio ripresero il
controllo delle operazioni lasciando che quest'idea "fumosa" venisse
dimenticata.
A
questo punto la domanda che viene naturale porsi è: perché solo
ora, e per giunta timidamente, stanno rispuntando supposizioni,
studi, progetti e dichiarazioni che Henry Ford nei primi ventenni del
novecento aveva cercato di promuovere?
La
risposta può essere senz'altro riscontrata nel processo economico
politico che ha portato il petrolio ad essere un combustibile
dal grande "potere" finanziario, capace di non favorire la
reale funzionalità di una tecnologia rispetto ad un'altra, ma
appoggiando esclusivamente gli interessi e le strategie politiche.
Questi
progetti risultarono sicuramente scomodi all'epoca, per via della
crescita delle nazioni che potevano continuamente beneficiare di risorse
petrolifere (gli stati medio orientali, ad esempio, si scoprirono grossi
beneficiari di oro nero proprio in quegli anni). Oggi, con una crisi
petrolifera sempre più evidente, con la crescita di un'educazione
orientata alla salvaguardia ambientale e, soprattutto, con una volontà
nell'abbassare sprechi e consumi, si potranno forse
portare a termine le volontà del fondatore del marchio Ford.
La
casa automobilistica dall'ovale blu sta dimostrando di essere una delle
più motivate ad orientarsi a questo tipo di approccio, mettendo in
commercio, ed è stata la prima in assoluto a farlo, una vettura
alimentata a
bioetanoloa basso contenuto di CO2. Sembrerebbe che, a
distanza di quasi 70 anni, le previsioni del suo padre fondatore si
stiano finalmente verificando.
Alessandro Ribaldi
fonti energetiche
rinnovabili e all’attività dell’istituto eni Donegani, lsegnaliamo
alcuni documenti sul tema reperibili sul sito
www.eni.com:
Renata Gabbi di
Legambiente, spiega come dal riciclaggio di carta, plastica, acciaio si
possano ottenere utensili, biciclette, elementi dell'arredo urbano e
tanti altri oggetti d'uso quotidiano: "da ogni cosa nasce un'altra
cosa", bisogna solo scegliere il contenitore giusto.
Servizio di Lidia Casti
La Corte di Cassazione ha riconosciuto che l’eccessiva esposizione
alle radiofrequenze emesse dai telefoni cellulari potrebbe
contribuire all’insorgenza di tumori alla testa, se utilizzati per 5
– 6 ore al giorno per un numero elevato di anni (12 nel caso di
specie). Un uso per lavoro del telefonino così prolungato può,
quindi, dar luogo a malattia professionale non tabellata.
Come effettuare il bilancio dei consumi energetici di un'impresa
calcolando in Excel le spese da ridurre per ottimizzare la spesa di
energia elettrica, combustibile per il riscaldamento e carburante per il
parco veicoli.
Horizon 2020 destina 19 milioni di euro al finanziamento di progetti
dedicati a trasferire le tecnologie nate per l’industria del gioco
digitale a soluzioni ...
Le
multinazionali più cattive del mondo
Multinazionali ufficialmente Boicottate
McDonald's - Ristorazione
I dipendenti sono sottopagati. Gli animali che forniscono la
carne degli hamburger sono costretti a continue gravidanze e
vengono imbottiti di antibiotici e farmaci. L'intera "politica
pubblicitaria" della multinazionale mira a coinvolgere e
convincere i bambini (con regali, promozioni e gadgets). E,
ovviamente, quando il bambino rompe i coglioni perché vuole
andare da McDonald's, ci va tutta la famiglia. Tre piccioni con
un cheesburger.
La campagna contro questa multinazionale dura ormai da più di
una decina d'anni. La McDonald's è finita più volte sotto
processo. Ha pagato diversi milioni di dollari di risarcimento
danni ai consumatori.
Negli ultimi sei mesi il fatturato è sceso del 13%.
Nestlé - Alimentari
La campagna di boicottaggio della Nestlé è nata soprattutto
dalla politica della società nella vendita del latte in polvere
(qui l'azienda controlla più del % del mercato mondiale). La
multinazionale avrebbe provocato la morte di 1,5 milioni di
bambini per malnutrizione. La Nestlè incoraggia e pubblicizza
l'alimentazione dal biberon fornendo informazioni distorte
sull'opportunità dell'allattamento artificiale e dando campioni
gratuiti di latte agli ospedali (in particolare negli ospedali
del Terzo mondo), o "dimenticando" di riscuotere i pagamenti.
Oltre a questo la Nestlè è considerata una delle multinazionali
più potenti e più pericolose del mondo. E' criticata per frodi e
illeciti finanziari, abusi di potere, inciuci politici, appoggio
e sostegno di regimi dittatoriali. Ultimamente è stata presa di
mira per l'utilizzo di organismi geneticamente modificati nella
pasta (Buitoni), nei latticini, dolci e merendine.
Intere aree di foresta vengono distrutte per far posto alle sue
piantagioni di cacao e di caffè, dove si utilizzano pesticidi
molto pericolosi (alcuni proibiti nei paesi industrializzati).
Ecco una lista completa dei marchi di proprietà Nestlè:
Acque minerali e Bevande: Claudia, Giara, Giulia, Levissima,
Limpia, Lora Recoaro, Panna, Pejo, Perrier, Pra Castello, San
Bernardo, San Pellegrino, Sandalia, Tione, Ulmeta, Vera, Acqua
Brillante Recoaro, Batik, Beltè, Chinò, Gingerino Recoaro,
Mirage, Nestea, One-o-one, San Pellegrino, Sanbitter.
Dolci, gelati, merendine: Le ore liete, Cheerios, Chocapic,
Fibre 1, Fitness, Kix, Nesquik, Trio, Kit Kat, Lion, Motta,
Alemagna, Baci, Cioccoblocco, Galak, Perugina, Smarties, Antica
Gelateria del Corso
Cacao, caffè e derivati: Cacao Perugina, Nescafè, Malto Kneipp,
Orzoro.
Carne e pesce: Vismara, Mare fresco, Surgela,
Frutta e Verdure (anche sottolio e sottaceto): Condipasta,
Condiriso, Berni, la Valle degli Orti
Latticini e yogurt: Formaggi Mio, Fruit joy, Fruttolo, Lc1.
Olio e derivati: Sasso, Sassonaise, Maggi,
Latte in polvere: Guigoz, Mio, Nidina, Nestum.
Philip Morris - Sigarette e alimentari
E' la maggior industria del tabacco del mondo. Si stima che solo
le Marlboro uccidano più di 75mila americani all'anno. In
america è famosa per essere una delle maggiori finanziatrici di
politici che intraprendono battaglie per l'abolizione dei limiti
e divieti di fumo. Fino al 1998 finanziava gli scienziati perché
effettuassero studi da cui risultava che il fumo passivo non era
nocivo. Solo nel 1999 ha ammesso che il fumo fa male. Nel 1997
ha accettato, insieme ad altre multinazionale del tabacco di
pagare 206 milioni di dollari (in 25 anni) per risarcire lo
stato delle spese sostenute per curare i malati "di fumo".
La Kraft è stata segnalata perché usa organismi geneticamente
modificati nei suoi prodotti.
La Philip Morris controlla il marchio Kraft, Fattorie Osella,
Mozary, Invernizzi, Invernizzina, Jocca, Linderberg, Lunchables,
Maman Louise, Jacobs caffè e Hag, Simmenthal, Spuntì, Lila
Pause, Milka Tender, Terry's, Caramba, Faemino, Splendid, Cote
d'Or, Baika, Dover, Gim, Philadelphia, Sottilette, Susanna,
Leggereste, Mato-Mato.
Unilever - Alimentare e chimica
Molte associazioni animaliste come Animal Aid hanno lanciato una
campagna contro la Unilever per lo sfruttamento degli animali
durante gli esperimenti.
E' boicottata anche per i salari e le condizioni di lavoro nelle
sue piantagioni in India (dove possiede il 98% del mercato del
tè).
La Unilever controlla i marchi: Lipton Ice Tea, Coccolino, Bio
presto, Omo, Surf, Svelto,Cif, Lysoform, Vim, Algida, Carte
d'Or, Eldorado, Magnum, Solero, Sorbetteria di Ranieri, Findus,
Genepesca, Igloo, Mikana, Vive la vie, Calvè, Mayò, Top-down,
Foglia d'oro, Gradina, Maya, Rama, Bertolli, Dante, Rocca
dell'uliveto, San Giorgio, Friol, Axe, Clear, Denim, Dimension,
Durban's, Mentadent, Pepsodent, Rexona,
Chiquita - Alimentari
E' coinvolta in tutto. Intrighi internazionali, scioperi
repressi nel sangue, corruzione, scandali e colpi di stato.
Utilizza massicce quantità di pesticidi, erbicidi e insetticidi.
Approfitta della sua posizione di potere per imporre prezzi
molto bassi delle aziende agricole da cui si rifornisce.
Nel 1994 il sindacato SITRAP ha denunciato l'esistenza di
squadre armate all'interno delle piantagioni in Centro America e
in Ecuador. I lavoratori sono sottopagati, senza alcuna
assistenza medica. Le attività sindacali sono represse talvolta
con la forza.
Procter & Gamble - Detersivi - Cosmesi e
Alimentari
Questa multinazionale statunitense (fatturato annuale 76mila
miliardi di lire) ufficialmente è boicottata dalle associazioni
animaliste (Buav, Peta e Uncaged) perché testa i suoi prodotti
sugli animali. Ultimamente però la Procter & G è tornata alla
ribalta con le patatine Pringles. Contengono organismi
geneticamente modificati.
Per quanto riguarda l'ambiente, nonostante le politiche di
riduzione degli imballaggi e dei componenti inquinanti,
l'azienda rimane una delle maggiori fonti di rifiuti del mondo:
i pannolini. In America sono il 2% della spazzatura totale del
paese.
E' nota anche per appoggiare associazioni "ambientaliste" che
difendono le politiche delle aziende e delle grandi industrie.
Nel 1997 aveva messo a punto un prodotto di sintesi, battezzato
Olestra, da utilizzarsi come sostituto dell'olio. Dopo lunghe
pressioni sulla Food and Drug Administrator il prodotto era
stato autorizzato all'impiego. E' stato accertato che provoca
diarrea e impedisce l'assorbimento di vitamine liposubili.
La P&G controla i marchi: Intervallo, Lines, Tampax, Bounty
(carta assorbente), Tempo, Senz'acqua Lines, Dignity, Linidor,
Pampers, Lenor, Ariel, Bolt, Dash, Tide, Nelsen, Ace, Ace
Gentile, Baleno, Febreze, Mastro Lindo, Mister Verde, Spic&Span,
Tuono, Viakal, Pringles, Infasil, Heald&Shoulders, Keramine H,
Oil of Olaz, AZ, Topexan, Infasil, Dove, Panni Swiffer,
Novartis - Chimica e Alimentari
Leader, insieme alla Monsanto nel settore delle biotecnologie.
Specializzata nella produzione di mais geneticamente modificato.
Distribuisce con i marchi: Isostad, Vigoplus (bevande
dietetiche), Novo Sal, Ovomaltine, Cereal, Piz Buin (crema
protettiva)
Esso (Exxon Mobil)
I Verdi del Parlamento Europeo hanno lanciato una campagna di
boicottaggio perché la Exxon, l'industria più ricca del mondo,
ha sostenuto fortemente l'abbandono del protocollo di Kyoto per
la difesa ambientale da parte degli Stati Uniti.
Multinazionali non ufficialmente
boicottare, ma da cui è meglio stare alla larga
Monsanto - Agrochimica gruppo Pharmacia
Metà del suo fatturato annuale (34mila miliardi di lire)
proviene dalla produzione di erbicidi, di ormoni di sintesi e di
sementi geneticamente modificate. Il resto proviene dalle
attività farmaceutiche.
E' il terzo produttore del mondo di pesticidi e controlla il 10%
del mercato mondiale. E' una delle maggiori aziende del mondo
nella produzione di sementi geneticamente modificati (capaci di
resistere agli stessi erbicidi prodotti dalla stessa Monsanto).
Nel 1997, negli Stati Uniti, ha pagato una multa di 50mila
dollari per pubblicità ingannevole. Aveva definito l'erbicida
Roundup un prodotto "biodegradabile ed ecologico".
Ancora nel 1997, in occasione della conferenza sul clima di
Kyoto, la multinazionale ha fatto pressioni affinché la
conferenza non inserisse gli HFC (idro fluoro carburi, sostanze
pericolose perché contribuiscono in misura notevole all'effetto
serra) fra i gas da ridurre.
Nel 1999 è stata denunciata per abuso di posizione dominante nel
settore delle biotecnologie.
Sempre nel 1999 è stata denunciata perché testava i suoi
prodotti sugli animali.
Controlla i marchi: Mivida Misura
Burger King In Gran Bretagna è stata
al centro dell'attenzione perché stipulava contratti
denominati "a zero-ore". I dipendenti non venivano pagati quando
ad esempio il negozio era vuoto e quindi non stavano facendo
niente.
Kodak
Nel 1990 è stata condannata a pagare una multa di 2 milioni di
dollari per essere una delle 10 maggiori produttrici di sostanze
inquinanti e cancerogene (è il maggior "emettitore" di metilene
cloride degli USA).
Mitsubishi
E' coinvolta nell'importazione illegale di legname in Giappone.
Sarebbe legata anche al commercio di armi e all'industria
nucleare.
Coca Cola
Recentemente alcune associazioni di difesa dei lavoratori
colombiani hanno deciso di intentare una causa contro la Coca
cola per l'omicidio di alcuni sindacalisti. Secondo i portavoce
delle associazioni la multinazionale usa vere e proprie squadre
della morte per "minacciare" i dirigenti sindacali che
intraprendono battaglie per i diritti dei lavoratori. Nei primi
sei mesi del 2001 sarebbero stati uccisi 50 dirigenti sindacali,
128 lo scorso anno, piu' di 1500 negli ultimi dieci anni.
Pepsi cola
Al centro della campagna contro la Pepsi il fatto che la
multinazionale appoggia e sostiene paesi con regimi dittatoriali
(Birmania, Messico, Filippine). La Pepsico utilizza inoltre
animali nei suoi studi ed esperimenti.
Shell
E' accusata di aver ucciso 80 persone e distrutto più di 500
abitazioni durante una manifestazione di protesta in Nigeria nel
1990.
Nel gennaio 1993 ha represso con la forza una seconda
manifestazione organizzata dagli Ogoni. La repressione fu
violentissima: 27 villaggi completamente distrutti, 2mila morti.
La multinazionale nega ogni coinvolgimento in queste repressioni
violente.
Sun
Diamond
E' un consorzio di cooperative statunitensi. In Italia
distribuisce con il marchio Noberasco. Secondo la sezione
sindacale americana Teamstars Local Union usa pesticidi
pericolosi. E' stata accusata di licenziare gli scioperanti e
dare salari molto bassi.
Nel 1985, in un momento di difficoltà finanziaria, la
multinazionale ottenne dai lavoratori un'autoriduzione dei
salari del 30-40% e un maggior sforzo lavorativo. Nel giro di
poco tempo l'azienda recupero' e i profitti aumentarono del 40%.
Nel 1991 i lavoratori chiesero di far tornare i salari ai
livelli originari, ma invece di accogliere la richiesta, la Sun
Diamond licenzio' i 500 dipendenti in sciopero rimpiazzandoli
con nuovi braccianti.
Controlla i marchi: Diamond, Sunsweet
Walt Disney Ad Haiti possiede una delle
maggiori industrie del mondo di abbigliamento. Migliaia di
lavoratori poco più che quindicenni, pagati 450 lire all'ora.
Lavorano dalle 10 alle 12 ore al giorno. Il rumore all'interno
degli stabilimenti è assordante, non si può andare in bagno più
di due volte al giorno e la pausa pranzo dura 10 minuti. Si
calcola che per guadagnare la cifra che l'amministratore
delegato della Disney guadagna in un ora, un'operaia haitiana
dovrebbe lavorare 101 anni, per 10 ore tutti i giorni!
Totalfina-Elf
Appoggia il regime oppressivo in Birmania. Recentemente è stata
al centro del disastro naturale causato dall'affondamento del
piattaforma petrolifera Erika.
Industrie
farmaceutiche
Molte sono le multinazionali farmaceutiche boicottate perché
sfruttano gli animali negli esperimenti. Fra i nomi importanti:
Bayer, Henkel, Johnson & Johnson, L'Oreal
Colgate-Palmolive, Reckitt Banck e Johnson Wax.
Nel caso della Bayer citiamo poi il caso Lipobay. 52 persone
decedute.
Recentemente è stata inoltre aperta un'inchiesta contro la Glaxo
per un farmaco antidepressivo, lo Seroxat.
Segnaliamo invece come buona notizia la concessione della Roche
al governo brasiliano di ridurre del 40% il prezzo di un farmaco
anti-aids.
Danone
Per aumentare gli utili dell'anno 2000 la Danone, uno dei
maggiori produttori e distributori di acque minerali del mondo,
decise di licenziare 1800 persone. A Calais 500 famiglie si
unirono in una campagna di boicottaggio. Grazie all'intervento
di alcune associazioni per la tutela dei consumatori la campagna
ha superato le Alpi arrivando anche in Italia (dove la Danone
distribuisce con i marchi Saiwa, Galbani e Ferrarelle).
Benetton
In Patagonia tutte le terre di Rio Negro sono di proprietà
Benetton. Le molte popolazioni tribali che le abitavano sono
state segregate in piccole strisce di terra e vengono utilizzati
come manodopera. Sotto pagati (200 dollari al mese), ritmi di
lavoro estenuanti (10-12 ore), nessuna assistenza medica,
nessuna possibilità di riunirsi in sindacati. In estate, alle
popolazioni locali è vietato attingere dai fiumi (in alcuni
tratti per impedire l'accesso utilizzano il filo spinato e la
corrente elettrica), per molti unica risorsa di vita.
Del Monte
Ufficialmente la campagna di boicottaggio della Del Monte è
finita, con ottimi risultati. Il vecchio direttore delle
piantagioni in Kenya è stato licenziato e la multinazionale ha
firmato una serie di accordi che prevedono la regolarizzazione
delle assunzioni, l'aumento dei salari minimi in modo da coprire
i bisogni fondamentali per tutta la famiglia, la garanzia della
libertà e delle attività sindacali, la salvaguardia della salute
dei lavoratori e la difesa dell'ambiente. L'azienda si è inoltre
impegnata in un progetto di monitoraggio e controllo da parte
delle associazioni sindacali e del Comitato nazionale di
solidarietà.
Banche
Istituti di credito
italiani e esteri coinvolti nell'esportazione legale di armi
(anni 1998/2000) prevalentemente destinate a paesi poveri o già
in guerra.
Istituto di
credito
Banca Carige
BancaCommercialeItaliana
Banca d'Americae d'Italia
Banca di Roma
Banca Nazionale Agricoltura
Banca Nazionale Lavoro
Banca Pop.Bg-Cr. Varesino
Banca Popolare di Brescia
Banca Popolare di Intra
Banca Popolare Lodi
ELABORAZIONE DATI: OS.C.AR. Report
(Osservatorio sul Commercio delle Armi) di IRES
Toscana (Istituto di Ricerche Economiche e Sociali
della Toscana)
Aziende di
credito
Ubae Arab Italian Bank
Credito Italiano
Istituto San Paolo di Torino
Banca Commerciale Italiana
Banca Nazionale del Lavoro
Banco di Napoli
Banca di Roma
Cassa di Risparmio di La Spezia
Monte dei Paschi di Siena
Banca Nazionale dell'Agricoltura
Banco Abrosiano Veneto
Banca Toscana
Banca Popolare di Brescia
Banco do Brasil
Cariplo
Credit Agricole Indosuez
Banca Popolare di Bergamo-Credito Varesino
Banca Popolare di Novara
Banca San Paolo di Brescia
Cassa di Risparmio di Firenze
Banca Carige
Barclays Bank
Unione Banche Svizzere
Banco di Chiavari e della Riviera Ligure
Banca Popolare di Intra
Credito Agrario Bresciano
Banca Popolare di Lodi
Credito Emiliano
Le multinazionali che si sono arrese
Nike (scarpe e abbigliamento
sportivo)
Nell'Aprile del 1998 la multinazionale si arrese.
La'annuncio è stato dato dal gran capo in persona,
Phil Knight, fondatore, primo azionista e
amministratore delegato del gruppo. A condizione che
la campagna di boicottaggio finisca, Nike ha
accettato di alzare da 14 a 18 anni l'età minima dei
lavoratori nelle fabbriche di calzature e di portare
a 16 l'eta minima di tutti gli altri lavoratori
inpiegati nella produzione di abbigliamento,
accessori e attrezzature.
In 12 fabbriche indonesiane è scattato un aumento
del 37% della retribuzione di tutti i lavoratori che
percepivano il salario minimo (28 mila persone).
L'azienda si è inoltre impegnata a bonificare tutte
le sue fabbriche e a rispettare i livelli di
sicurezza imposti dalla legge. Inoltre aumenterà il
sostegno all'attuale programma di
micro-finanziamento, che gia' coinvolge mille
famiglie in Vietnam, estendendolo anche
all'Indonesia, al Pakistan e alla Thailandia. In
tutti gli stabilimenti asiatici il gruppo, che ha il
quartier generale a Beaverton, nell'Oregon, amplierà
i programmi di istruzione, offrendo ai dipendenti
corsi per ottenere un diplorna equivalente a quello
delle scuole medie e superiori.
Dopo la conferenza stampa che si è tenuta a
Washington, in cui la Nike annuciava la resa, le sue
azioni in borsa sono salite di due dollari.
Reebok
Sempre nel
1998 anche la Reebok ammise, facendo un'indagine
interna, che nelle sue fabbriche in Indonesia gli
operai lavorano in condizioni di pericolo, a volte
per più di dodici ore al giorno. E per l'equivalente
di 85mila lire al mese.
L'autodenuncia fu un passo importante e da quel
giorno le cose sono molto migliorate. I dipendenti
hanno libertà di organizzazione sindacale, gli
stipendi sono stati adeguati ai minimi di legge e i
limiti di sicurezza vengono rispettati.
Rimane però da chiedersi cosa succeda in Cina, dove
la multinazionale ha il 50% della sua produzione e
dove questa indigine interna non arrivò...
da Cacaonline.it
Tutto quello che non ti raccontano altrove
Tutti nati nel 1979, tutti laureati in economia e commercio all’università di Bergamo, dove si sono conosciuti nei primi anni 2000. Un trio al cui vertice c'è proprio il neodeputato e tesoriere. Gestiscono decine di società con base in via Angelo Maj, nuovo quartier generale delle finanze leghiste, sette delle quali controllate- attraverso delle fiduciarie italiane tra i cui soci c'è anche un'anonima impresa svizzera- da una holding lussemburghese che fa capo a un'altra fiduciaria. Impossibile dunque, vista la sofisticata schermatura finanziaria, sapere chi sono i reali proprietari delle società registrate presso lo studio di Di Rubba e Manzoni. E impossibile è anche conoscere l'origine dei capitali attraverso cui sono state costituite. L'unica certezza è che seguendo il flusso di denaro si arriva nel Granducato, uno dei principali paradisi fiscali europei.
Ma non è tutto. Approfondendo gli affari dei cassieri del Carroccio si arriva a un’impresa che noleggia auto, di proprietà di Manzoni e Di Rubba, il cui fatturato si è impennato da quando la Lega è diventata sua cliente. E c’è pure una grande tipografia della bergamasca, anche questa diventata fornitrice di punta del partito dopo l'elezioni di Salvini a segretario federale, il cui proprietario pochi giorni fa ha fatto guadagnare oltre un milione di euro a Di Rubba.
Da aprile scorso Manzoni e Di Rubba ricoprono anche una carica formale e delicata all'interno del partito: il primo è stato nominato direttore amministrativo del gruppo parlamentare alla Camera, il secondo è stato scelto come revisore legale del gruppo Lega al Senato. Non solo: entrambi hanno ottenuto incarichi di peso all'interno della Pontida Fin e della Fin Group, ammiraglie finanziarie del partito. Proprio la Fin Group ha cambiato sede con l'entrata in scena di Salvini e Centemero. Dalla storica via Bellerio, sede e simbolo di una Lega nordista, secessionista, padana, è stata trasferita in via Angelo Maj 24, presso lo studio Di Rubba - Manzoni, con quest'ultimo che è diventato l'amministratore unico della società.
Alle domande de L’Espresso, sia Centemero che i colleghi Di Rubba e Manzoni hanno risposto allo stesso modo. Non hanno fornito informazioni sui beneficiari ultimi delle fiduciarie, ma hanno assicurato che le sette aziende in questione non hanno legami né diretti né indiretti con la Lega. Tuttavia un fatto è indiscutibile: in una di queste imprese l’amministratore è il tesoriere del partito, cioè Centemero, e in una seconda lo stesso ruolo è ricoperto dal professionista Manzoni, scelto per vigilare sui conti del gruppo parlamentare alla Camera.
Sempre presso lo studio di Manzoni e Di Rubba è registrata anche la associazione culturale “Più Voci”: l'organizzazione fondata da Centemero, Di Rubba e Manzoni per incamerare contributi da imprenditori, di cui L'Espresso aveva dato conto in esclusiva due mesi fa nell'inchiesta di copertina “ I conti segreti di Salvini ”.
Esclusivo: caccia ai soldi della Lega
Il denaro investito in modo illegale. E la onlus Più voci per sfuggire ai giudici. Quel che non dice l’uomo che vuole l’incarico di governo
Sull'associazione Più voci questa volta la Lega ha risposto. Lo ha fatto con il tesoriere Centemero: «I soldi ricevuti non sono stati trasferiti al partito o utilizzati in attività di carattere politico, come ad esempio la campagna elettorale». Il tesoriere ha sottolineato che «l’associazione, come da ragione sociale, stimola il pluralismo dell’informazione, perciò i progetti di sostegno (le donazioni private, ndr) sono stati indirizzati su Radio Padania e su Il Populista (il giornale online edito da Mc Srl, ndr)». Insomma, Centemero sostiene che quei soldi non servivano a finanziare la campagna elettorale della Lega, ma a sostenere l’informazione realizzata dai suoi media. Difficile capire quale sia la differenza sostanziale, visto che Radio Padania e Il Populista sono testate attraverso cui la Lega fa campagna elettorale. E piuttosto complicato risulta anche comprendere perché, se le cose stanno così, Esselunga e Parnasi (i donatori dell'associazione che avevamo rivelato due mesi fa) non sono stati invitati a donare soldi direttamente a Radio Padania e a Il Populista. Il tesoriere Centemero ci ha anche fatto sapere che l’associazione è ancora attiva, e che a partire dalla sua fondazione, nell’ottobre nel 2015, «ha raccolto qualche centinaia di migliaia di euro da aziende e privati». Nessuna informazione sui nomi dei donatori: «La normativa delle associazioni e la riservatezza dei dati richiesti mi impediscono di rivelare i nominativi dei contribuenti e i relativi importi», ci ha scritto Centemero.
L'inchiesta integrale
Esclusivo: caccia ai soldi della Lega
Il denaro investito in modo illegale. E la onlus Più voci per sfuggire ai giudici. Quel che non dice l’uomo che vuole l’incarico di governo
di Giovanni Tizian e Stefano Vergine
03 aprile 2018
Un’associazione senza scopo di lucro. Una onlus usata per ricevere finanziamenti dalle aziende e girarli subito dopo a società controllate dalla Lega. La porta girevole è stata creata da tre commercialisti fedelissimi a Matteo Salvini nell’ottobre del 2015, nel pieno del processo per truffa che ha poi mandato sul lastrico il partito imponendo il sequestro dei conti correnti. Ma questo non è l’unico segreto finanziario del nuovo leader della destra italiana, in corsa per diventare capo del governo. Al riparo da occhi indiscreti ci sono anche milioni di euro investiti in obbligazioni societarie e titoli derivati. Scommesse proibite per un partito politico, stabilisce la legge. Eppure la Lega le ha fatte. I documenti ottenuti da L’Espresso permettono di andare oltre i bilanci ufficiali e ricostruire un pezzo delle trame finanziarie architettate dal Carroccio negli ultimi sei anni, quelli cioè che vanno dalla cacciata di Umberto Bossi a oggi. Il risultato è che alla narrazione legalitaria sostenuta pubblicamente da Salvini si sovrappone una gestione economica opaca, che richiama il passato bossiano, tempi che “il capitano” vuole far cadere nell’oblio al più presto.
Ripartiamo dunque dall’inizio. Dov’è finito il tesoro della Lega? Dove sono spariti i 48 milioni di euro messi sotto sequestro dal tribunale di Genova dopo la condanna di Bossi per truffa ai danni dello Stato? Da mesi i giudici di Genova sono a caccia di quei denari: soldi pubblici, perché frutto dei rimborsi elettorali. Finora sui conti del Carroccio sono stati però rinvenuti poco più di 2 milioni. Gli altri? Usati, spesi, spariti: questo hanno sempre sostenuti i massimi dirigenti del Carroccio. «Oggi sul conto corrente della Lega nazionale abbiamo 15 mila euro», ha detto lo scorso 3 gennaio Salvini, che non perde occasione per ricordare come il suo partito sia senza un quattrino. La stessa cosa si legge sui bilanci ufficiali.
Alcuni documenti bancari aiutano però a comprendere meglio che fine ha fatto la ricchezza leghista. Facendo emergere un fatto inedito: sia sotto la gestione di Roberto Maroni, sia in seguito sotto quella di Salvini, parecchi milioni sono stati investiti illegalmente. Una legge del 2012 vieta infatti ai partiti politici di scommettere i propri denari su strumenti finanziari diversi dai titoli di Stato dei Paesi dell’Unione europea. Il partito che si batte contro «l’Europa serva di banche e multinazionali» (copyright di Salvini) ha cercato di guadagnare soldi comprando le obbligazioni di alcune delle più famose banche e multinazionali. Colossi come l’americana General Electric, la spagnola Gas Natural, le italiane Mediobanca, Enel, Telecom e Intesa Sanpaolo. Una fiche da 300mila euro è stata messa anche sul corporate bond di Arcelor Mittal, il gruppo siderurgico indiano che ha acquistato l’Ilva promettendo di lasciare a casa circa 4mila lavoratori.
Ma lasciamo stare per un attimo gli investimenti e torniamo al momento in cui tutto è cambiato. Il 16 maggio del 2012, poco dopo che la notizia dell’inchiesta per truffa ha costretto Bossi a dimettersi da segretario federale, la Lega apre un conto corrente presso la filiale Unicredit di Vicenza. Nel giro di sei mesi vi trasferisce buona parte della liquidità parcheggiata in altre banche: 24,4 milioni di euro in totale. È l’inizio di una frenetica girandola di bonifici e giroconti che porteranno, nel giro di quattro anni, al prosciugamento delle risorse finanziarie padane. O almeno di quelle registrate sul conto della Lega nazionale.
Degli oltre 24 milioni arrivati in Unicredit, una decina sparisce quasi subito: prelievi in contanti, pagamenti non meglio specificati, investimenti finanziari, trasferimenti sui conti delle sezioni locali del partito, bonifici a favore di società di capitali controllate dalla stessa Lega come Pontida Fin, Media Padania ed Editoriale Nord. A gennaio del 2013 un altro colpo di scena. Il partito, allora guidato da Maroni, apre un nuovo conto corrente. Dove sposta una buona fetta del tesoretto custodito in Unicredit. Questa volta la scelta ricade sulla Sparkasse, la cassa di risparmio di Bolzano. Non un istituto a caso.
Esclusivo: anche Matteo Salvini ha usato i soldi rubati da Bossi
L’attuale leader della Lega e Bobo Maroni hanno utilizzato una parte dei 48 milioni di euro frutto della truffa orchestrata dal Senatur e dall’ex tesoriere. Lo dimostrano le carte del partito tra la fine del 2011 e il 2014 che abbiamo consultato
Il presidente della banca altoatesina è infatti Gerhard Brandstätter, già socio d’affari dell’avvocato della Lega di quel momento, il calabrese Domenico Aiello. Sul conto della Sparkasse arrivano, oltre a 4 milioni di titoli finanziari, 6 milioni di liquidità. Bastano solo sei mesi, però, e i soldi spariscono. La maggior parte del denaro viene usata per finanziare la campagna elettorale di Maroni alla presidenza della regione Lombardia: decine di bonifici a società di comunicazione e organizzazione eventi, tra cui spiccano i quasi 400 mila euro diretti alla sede irlandese di Google, punto di passaggio obbligato per chiunque voglia farsi pubblicità sul motore di ricerca più usato al mondo.
Anche in questo caso non mancano i trasferimenti alle sedi locali del partito, ma la parte del leone - come avvenuto pochi mesi prima con il conto Unicredit - la fanno le società di capitali della Lega. Radio Padania: 250 mila. Editoriale Nord: 600 mila. Pontida Fin: 206 mila. Fin Group: 360 mila. Una volta prosciugato il conto Sparkasse, si torna a puntare tutto su Unicredit. Ed è qui che vengono a galla i dettagli sugli investimenti finanziari. Nel dicembre del 2013, quando Maroni è ancora il segretario federale, il Carroccio ha in pancia titoli per 11,2 milioni di euro. Due terzi della somma equivalgono a buoni del tesoro italiani, mentre il resto sono obbligazioni societarie. Ci sono anche 380 mila euro investiti in un derivato, un titolo basato sull’andamento del Ftse Mib, il principale indice azionario della Borsa di Milano. Insomma una Lega che, a dispetto della legge e delle dichiarazioni ufficiali contro la finanza speculativa, ha scelto di rischiare parecchio con i soldi dei rimborsi elettorali.
Strategia che non è cambiata quando a Maroni è succeduto Salvini. Alcuni documenti bancari riassumono il saldo del conto corrente del Carroccio presso Unicredit il 19 maggio del 2014, quando Matteo è ormai da qualche mese in plancia di comando. Le carte raccontano due fatti. Il primo è che anche Salvini ha investito i denari del partito in obbligazioni societarie. Nello specifico, Matteo ha puntato 1,2 milioni su Mediobanca, Arcelor Mittal e Gas Natural. Il secondo fatto salta all’occhio confrontando i saldi del conto corrente leghista a distanza di soli cinque mesi. Da dicembre del 2013 al maggio del 2014 il patrimonio è crollato, passando da 14,2 milioni a 6,6 milioni. Non è dato sapere in che modo siano stati spesi così rapidamente tutti quei soldi. Di certo Salvini fino a qualche tempo fa poteva disporre di parecchie risorse, mentre oggi i conti della Lega sono ufficialmente a secco. Tant’è che lo Stato italiano, attraverso i giudici di Genova, si è dovuto accontentare di sequestrare solo 2 milioni sui 48 teorici.
Perché la Lega ha investito soldi violando una legge dello Stato? E come mai i finanziamenti delle imprese sono arrivati sui conti di una sconosciuta associazione no profit invece che su quelli ufficiali? Alle domande de L’Espresso, il partito guidato da Salvini ha preferito non rispondere. Scelta che alimenta un dubbio: la onlus è stata creata per evitare il sequestro dei soldi da parte dei magistrati? In mancanza di risposte da parte dei diretti interessati, non resta che attenersi ai fatti documentabili.
L’associazione si chiama Più Voci, esiste dall’autunno del 2015. All’apparenza sembra una rivisitazione in salsa padana della fondazione renziana Big Bang. Con la differenza che la onlus sovranista non ha nemmeno un sito internet, figuriamoci una lista pubblica dei finanziatori. A tenerne le redini sono tre commercialisti lombardi che Salvini ha voluto al suo fianco nel nuovo partito: Giulio Centemero, tesoriere, assistito dai colleghi Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni. Se è vero che la onlus Più Voci finora non ha pubblicizzato alcuna attività politica o sociale, il conto corrente di riferimento mostra una certa vitalità. Soldi - 313 mila euro in pochi mesi - che entrano, fanno una sosta e poi ripartono per altri lidi. O meglio, verso altri conti intestati a società della galassia leghista: aziende in cui i commercialisti preferiti da Salvini hanno incarichi di rilievo.
Per chiarire meglio il ruolo dell’associazione Più Voci è necessario tornare tra la metà del dicembre 2015 e i primi mesi del 2016, quando sul conto della onlus piovono due bonifici per un totale di 250 mila euro. La causale è la classica usata per i contributi ai partiti: “erogazione liberale”. I versamenti sono stati disposti dalla Immobiliare Pentapigna srl. Un nome che ai più non rivela molto. Scavando sulla proprietà si arriva a uno dei più noti costruttori della Capitale: Luca Parnasi, titolare del 100 per cento delle azioni dell’immobiliare. Già, proprio l’uomo che dovrebbe costruire il nuovo stadio della Roma, erede di una dinastia di palazzinari (lui preferisce il termine “sviluppatore di progetti”) che con il potere ha sempre flirtato. Il padre Sandro, era un comunista convinto, ha gettato le basi dell’impero, oggi con le finanze scricchiolanti e con i debiti in mano a Unicredit. Il figlio Luca preferisce il basso profilo, anche se qualche anno fa ha tentato di far rivivere lo storico quotidiano di sinistra Paese Sera, ma si è dovuto arrendere poco dopo. Nella sua carriera non ha disdegnato affari con personaggi equivoci. Come quello proposto dal capo della famigerata “Cricca”, Diego Anemone, di recente condannato in primo grado a 6 anni per associazione a delinquere. Una decina di anni fa, Parnasi acquistò da Anemone per 12 milioni un complesso residenziale di pregio dietro il Pantheon, un tempo nella disponibilità del Vaticano.
Perché Parnasi ha versato almeno 250 mila euro all’associazione leghista? L’immobiliarista romano non ha risposto alle domande de L’Espresso. Di certo il primo contributo versato all’associazione Più Voci si concretizza il 12 dicembre di tre anni fa. Nel pieno dunque della retorica sovranista di Salvini, che già in quel momento può contare sul movimento Noi con Salvini per fare proselitismo sotto il Po. E sempre a cavallo tra il primo e il secondo bonifico il leader leghista annunciava la presenza della Lega-Noi con Salvini alle Comunali poi vinte dai Cinque Stelle e Virginia Raggi. Insomma, il sostegno “liberale” offerto dal re del mattone Parnasi potrebbe essere letto in questa ottica locale-Capitale. Un luogo dove il costruttore ha bisogno di mantenere buoni rapporti con tutti, se vuole davvero sperare di costruire lo stadio della Roma.
Ma, forse, non si tratta solo di questioni romane. Perché i Parnasi si stanno giocando partite decisive per il futuro del loro gruppo anche oltre il Tevere e il raccordo. C’è per esempio il caso Ferrara. Qui la famiglia di costruttori è proprietaria del Palaspecchi, un grande complesso immobiliare che versa da anni in stato di abbandono. La politica locale, con in testa la Lega, per diversi anni ha sostenuto l’idea di demolire tutto. Un’ipotesi rischiosa per Parnasi. Per sua fortuna, però, le cose sono cambiate. Dopo anni di tira e molla, all’inizio dell’anno scorso la situazione sembra essere stata risolta con un intervento finanziato principalmente da Cassa depositi e prestiti. L’ente che gestisce i risparmi postali degli italiani dovrebbe permettere di riqualificare l’intera area e realizzare duecentosessanta alloggi sociali, affiancati da attività commerciali, servizi e spazi verdi. Un bel sospiro di sollievo per il gruppo Parnasi, che intanto sta facendo parlare di sé anche nell’altra capitale d’Italia, quella economica, Milano. Un mese e mezzo fa, infatti, il Milan ha affidato al quarantenne Luca Parnasi il compito di individuare un’area adatta a realizzare il futuro campo di proprietà rossonera.
L’immobiliarista ha dunque contribuito in maniera massiccia alla causa di questa sconosciuta associazione leghista. Non è il solo, però. Con 40 mila euro si piazza Esselunga, la catena di ipermercati della famiglia Caprotti. Del resto Salvini stesso non ha mai nascosto l’ammirazione per il gruppo concorrente per eccellenza delle Coop. «Grande uomo, mai servo di nessuno», scriveva nel suo addio su Facebook il giorno della scomparsa di Umberto Caprotti. La causale del bonifico di 40 mila euro versato a giugno 2016 recita “contributo volontario 2016”. Quasi a voler sottolineare che anche per quell’anno sono in regola con l’attestazione di fiducia verso la Lega sovranista. Esselunga è stata l’unica a rispondere alle nostre domande. La catena di supermercati non ha spiegato perché abbia scelto di versare almeno 40 mila euro all’associazione leghista invece che donarli direttamente al partito. Si è limitata a farci sapere che quella cifra «è stata destinata a Radio Padania nell’ambito della pianificazione legata agli investimenti pubblicitari su oltre 70 radio». Ma allora perché le aziende non versano il loro contributo direttamente alla Lega o a Radio Padania? È un modo per confondere le acque ed evitare il sequestro dei soldi? E per quale motivo scrivere nella causale “Contributo volontario” se di pubblicità si trattava? Domande a cui non è possibile dare risposta. Il loquace Salvini, questa volta, ha preferito il no comment.
C’è da dire, però, che in effetti, poco dopo essere arrivati sul conto della onlus i soldi, non solo quelli di Esselunga, vengono girati a società di capitali del gruppo leghista. In quattro mesi 265 mila finiscono proprio alla cooperativa Radio Padania, quella della storica emittente del Carroccio, mentre altri 30 mila euro vengono versati sul conto della Mc srl, società leghista che controlla il giornale online Il Populista, diventato lo strumento principe della propaganda salviniana in rete. Insomma, l’operazione ha tutta l’aria di essere una partita di giro. Anche perché l’amministratore unico sia della Mc che di Radio Padania è lo stesso Giulio Centemero, tesoriere del partito, che siede nella onlus da cui partono i denari.
Le azioni della Mc sono saldamente in mano alla Pontida Fin, altra cassaforte storica del Carroccio ormai caduta in disgrazia, il cui 1 per cento continua a essere in mano al Senatur Umberto Bossi. Frammenti di un passato che Salvini vorrebbe rottamare, ma che non riesce a tenere fuori dalla porta. Anche se una cosa Matteo Salvini l’ha cambiata davvero. Roma per i sovranisti cresciuti tra le valli di Pontida non è più ladrona. Ai tempi di Umberto Bossi era proibito frequentare i salotti. Il Senatur aveva avvertito i parlamentari padani, guai a mischiarsi con il potere romano, tra manager, stelle dello spettacolo e palazzinari. Con la Lega modello Front National, certe rigidità appartengono al passato secessionista.